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Archive for dicembre 2010

…per evitare discussioni tra un anno, mettiamo subito le cose in chiaro.

Il tuo compare 2010 sta chiudendo bottega senza lasciarmi grandi rimpianti visto che, tanto per dirne una, per colpa sua ho compiuto cinquant’anni e questa me la sono legata al dito: a parte il fatto anagrafico, ho cominciato a vedere qualche capello bianco, roba che prima solo il barbiere ne trovava qualcuno, mentre gli amici cominciavano a sospettare, come dice sempre Evandro, che io fossi fatto di plastica.

Ci tengo a far due parole con te perchè mi sembri un tipo sveglio, uno che sa come vanno le cose; però, prima di vedere cosa mi aspetto da te, due dritte mi sento di dartele.

Questo pianeta non è nè buono nè cattivo, è uno che si fa i cazzi suoi; più che altro è la gente, quella che potrebbe romperti i coglioni.
Ti dico già che c’è una coda di qualche miliardo di ipocriti e pochi illusi che, in questi giorni, ti chiederà di portare la pace, la libertà e la giustizia nel mondo.
Eh lo so, non dirlo a me…: no, dico, tu devi ancora arrivare e questi ti chiedono pronti via delle cose che migliaia di tuoi compari prima di te non sono riusciti a fare, neanche sotto Natale, con quasi un anno di esperienza…
Bravo, esatto, vedo che hai già capito: sono sempre i soliti che quando arrivano, a gennaio, “io di qua, io di là…”, poi si piazzano lì e già a ottobre aspettano solo di andare in pensione e ti mollano tutto sulla scrivania.

Non te l’aspettavi?
Credimi, c’è una montagna di lavoro da sbrigare ma è tutta roba che è lì da mò e che può ancora aspettare.
Se vuoi un consiglio, lasciali dire, lasciali fare, ti basta fare la solita manfrina: che sei appena arrivato… che è il tuo primo giorno di lavoro… che adesso devi capire come funziona tutta la faccenda… ma, stiano tutti tranquilli, che te lo segni nelle prime cose da fare.
Si tratta di arrivare fino all’Epifania, poi non ti rompe più il cazzo nessuno

Io ti anticipo che sotto l’aspetto pace, libertà, giustizia, sconfiggere la fame e le malattie… con me, puoi star tranquillo: mai chiesto miracoli a nessuno.
Piuttosto un po’ di salute, quella sì; poi… ah, ecco, fai in modo che Bimbi non si renda conto di quanti uomini migliori di me ci sono al mondo.
Mi piacerebbe anche… sai, sono quelle cose che a dirle… ti sembra di essere un po’… come dire… va beh, io la butto lì, poi vedi tu: vorrei ridere di più.
Sì, lo so, ho già avuto parecchie occasioni: è solo che ultimamente… sai, sono quelle cose di cui non ti stufi mai, come le patatine fritte. 
Poi… ma sì, le solite cose: un po’ di lavoro, due euri… i dettagli li vediamo più avanti.

Vedo che ti sei segnato tutto… Metti un bell’ATTENZIONE, sottolineato: PREVEDERE LE STESSE COSE PER TUTTI QUELLI CHE MI VOGLIONO BENE.
Gli altri? Che cazzo me ne frega, degli altri… Per conto mio, puoi pure prendere la loro pratica e metterla sotto a quella della Pace sulla Terra…

Uh… ecco, su una cosa non transigo, quindi segnatelo bello grosso: all’8 di febbraio voglio compiere 49 anni, chiaro?

Dottordivago

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Sull’argomento ho già dato in un remoto passato, quel “3” non è lì per caso.
Raccontavo di non riuscire a capire come faccia tanta gente a farsi prendere per il culo a pagamento, lanciandosi in acquisti dissennati, sia di beni materiali che di balle di fumo.  
Da lì nasceva l’idea di mettere in piedi un’attività ad hoc, un vero e proprio Centro Malessere: se uno è disposto a pagare per farsi ricoprire di fango dalla testa ai piedi o di covare due ore sotto al fieno con una temperatura ambiente di 50°o perchè qualcuno gli impedisca di toccare cibo, perchè non dovrebbe venire nel mio Centro Malessere?
Il tono era questo:

…un beauty center che pratica trattamenti a base di elasticate sulle orecchie ghiacciate o una “terapia asciugante” che prevede come unico cibo salatini, semi di zucca e Pringles.
Unica bevanda, Red Bull.
Tiepida.
Per me terrei il ruolo di PR: accoglierei i maschietti con un bel calcio nei coglioni, mentre alle signore potrei infilare un topo vivo nella scollatura, terapia che riattiva la circolazione e rialza il seno; con un piccolo sovrapprezzo distribuirei frustate di commiato, poi aspetterei i clienti all’uscita e mi congederei con un sorriso e un calcio nella portiera dell’auto.

Dopo aver letto un post della Niki in cui propone di partecipare ad una cura disintossicante e di ringiovanimento, mi sono ricordato del mio amico Mauro e del suo periodo disintossicante e ritemprante.
Periodo che vado senz’altro a raccontarvi.

Di Mauro vi ho già accennato: lui e la Lella ci hanno ospitato tre settimane nel periodo dell’alluvione, nel ‘94; più che due coppie, eravamo una strana forma di simbiosi.
Mauro è un uomo fortunato: lavora dieci ore al giorno da quasi trent’anni ma fa una cosa che lo appassiona, quindi passa metà della sua vita praticamente divertendosi.
Appena tornato dalla naja, nell’82, s’è messo a cercare lavoro, solo che il Liceo Scientifico, pur formativo, se privo del coronamento della laurea, cosa a cui Mauro non pensava proprio, nella ricerca di un lavoro serve a poco.
Prima qualche lavoretto di quelli da farsi prendere per il culo da qualche banditello, poi la svolta: venditore per un broker.
Me lo ricordo come se fosse ieri; come tutte le sere, ci trovavamo da Baleta; due cagate, poi la notizia: “Ma sai che oggi ho iniziato un lavoro che è una figata? Davvero, mi piace da matti!”

Era il suo lavoro. 
Dopo pochi di anni è diventato subagente INA, sbriciolando tutti i record mondiali di “aumento del portafoglio clienti”.
Nel ‘97 mi ha abbandonato, il bastardo, per diventare agente generale INA in una ridente città rivierasca; “abbandonato” per modo di dire: Bimbi ed io eravamo più a casa loro che a casa nostra, avevamo la nostra camera da letto sempre pronta, partivamo per il week end il venerdì, appena finito di pranzare, e tornavamo di lunedì, a volte pure di martedì.
’Azz… stava quasi per scapparmi un “Bei tempi…”, detesto farlo, meno male che mi sono trattenuto…

Proprio in quel periodo, Mauro viene folgorato sulla via di Glendora, California, città natale di Tony Robbins, il “Guru dei Guru” dei manager.
Questo signore, cito testualmente

nei suoi libri e nei suoi seminari parla principalmente di come raggiungere il successo nella vita, superare le proprie paure, realizzare sé stessi, ottenere un corpo in salute ed energico, comunicare in modo persuasivo, migliorare le proprie relazioni, cambiare le proprie credenze negative, modificare il proprio stato d’animo a piacere e modificare i propri e altrui comportamenti negativi.

Minchia! E io sto qui a fare le finestre…
Dunque, Mauro e un’altra sessantina di agenti dell’INA vengono “invitati” dalla Compagnia a partecipare, a pagamento, ad un seminario del fenomeno.
La mamma di Mauro, figlio unico, non ha fatto figli scemi, quindi lui non gira il culo alla Compagnia e, obtorto collo, si ritrova un venerdì a Milano.
Si presenta questo gigante di oltre due metri, con uno staff di cinque o sei collaboratori, tutti in una forma fisica talmente clamorosa da essere inquietante.
E comincia a predicare il Verbo.
Venerdì e sabato fa un elmo spaventoso a tutti quanti, domenica ribadisce i concetti, dopo di che sale su un aereo con un assegnuccio da 200 milioni di lire, equamente coperto da Mauro e colleghi: uno sgobbo di oltre tre milioni pro capite.

Il week end successivo, ovviamente, siamo con lui e la Lella.
Il mio amico è trasfigurato, fisicamente e mentalmente.
Non fuma più ma, nonostante ciò, ha perso qualche carato di peso, parla in modo diverso, più fermo e volitivo ma senza l’ombra di aggressività.
Mi racconta tutta la faccenda, è letteralmente infatuato del Guru e delle sue teorie.
”Pensa –mi dice- che da una settimana ho messo in pratica i suoi insegnamenti e già mi sento un altro…”
”Ma cosa vi ha detto, di preciso?”
”Beh, l’aspetto psicologico e motivazionale è un po’ lungo da spiegare; però, per la vita di tutti i giorni…”

Continuo io per lui.
Prima non faceva un passo, per andare dal divano al cesso stava meditando di comperare una Smart, adesso è sempre a piedi come San Francesco.
Prima fumava trenta Marlboro al giorno, ora neanche una.
Prima si filtrava mezza bottiglia di vino a pranzo e l’altra mezza a cena, ora mezzo bicchiere.
Prima si sedeva in poltrona dopocena e si faceva un paio di whiskini di categoria, mò si succhia i denti. 
Prima aveva una dieta da iena, ora mangia carne una volta alla settimana e la sostituisce con il pesce.
Prima non toccava frutta e verdura, adesso sembra Bugs Bunny con la carota perennemente in bocca.
Prima lasciava fare alla Lella per quanto concerneva la cucina –e la Lella era nota per avere un consumo di condimenti pari ad una mensa aziendale- adesso dice “basta basta!” appena la bottiglia dell’olio inizia ad inclinarsi e non prende in considerazione il burro, neanche se gli proponessero di girare “Ultimo tango a Parigi 2”…

Scusate un attimo: mi scappa di divagare.

Ora è cambiata ma, come accennato, la Lella aveva la mano pesante con i condimenti. Una volta, dopo aver dichiarato che avrebbe preparato una pasta con i gamberi, le ho visto versare un litro di extravergine in una casseruola; ho pensato che la ricetta prevedesse di dorare prima le bestie e di elaborarle successivamente, poi me ne sono andato a comperare il giornale con Mauro. Quando ci siamo seduti a tavola, ho scoperto con orrore che nella stessa casseruola c’erano finiti pomodori, peperoncino e tutto il necessario, solo che l’olio era rimasto…
Lei ci aveva spadellato la pasta dentro, rendendola immangiabile: ad ogni masticata, la bocca si riempiva d’olio.
Da quella volta ho cominciato a farle un discorsetto sull’uso del condimento…
Un’altra volta l’ho proprio sgridata: era tornata da un giro in Francia con una miracolosa salsa per condire l’insalata: “Pensa, zio, mangio solo più insalatone senza aggiungere un goccio d’olio…”
”Mi fai vedere quella bottiglia?”
Era la solita emulsione di olio, maionese e qualche aroma: 700 calorie per 100 grammi, a fronte delle 900 dell’olio.
Solo che lei ne usava mezza bottiglia per volta.
Ho fatto due conti rapidi: ogni “insalatona” valeva circa 2000/2500 calorie, il fabbisogno giornaliero medio di un manovale.
Adorabile Mammalella…

“Ma la cosa più affascinante –conclude Mauro- è l’ottimismo e la carica positiva di quella persona…”
”Ah… è pure un cuor contento… “
”Assolutamente sì, ha un sorriso perenne stampato sulla faccia…”
Ostia… mi riscappa di divagare.

250px-Doctor_Hibbert Quando stavo in negozio, avevamo un cliente piazzato come il dott. Hibbert, il medico dei Simpson, uno che ride sempre, anche se sta dicendo ad un paziente che non c’è più niente da fare.
Un giorno il mio socio mi fa: “Certo che Massimo… o ha un bel carattere o è mezzo scemo: ride sempre…”
Poi abbiamo scoperto che era l’unico nipote di una quindicina di zii, tutti mediamente benestanti e senza figli; di questi zii ne partivano un paio all’anno e lui passava il suo tempo da uno studio notarile all’altro per intestarsi beni mobili ed immobili appartenuti a persone che non aveva mai cagato di striscio.
Così abbiamo capito: non era il carattere, era effettivamente un mezzo scemo. Ma aveva indubbiamente un sacco di motivi per ridere…

Tony Robbins non è uno scemo.
Ma sui motivi per ridere è messo bene anche lui: 200 milioni –spese escluse- per un week end, girando il mondo, per una quarantina di week end all’anno, trasformerebbero persino Buster Keaton in una specie di Joker…

“Allora, Mauro, fammi capire: vi ha detto di smettere di fumare, di ridurre drasticamente gli alcolici, di fare più movimento, di ridurre carne e grassi, di consumare molta frutta e verdura. Giusto?”
”Giusto”.
”E a proposito di un lungo pediluvio caldo, contemporaneamente ad una maschera-viso al cetriolo, sorbendo con la cannuccia una tisana di gramigna, non vi ha detto niente?”
”E questo cosa c’entra?…”
Gli indico quel metro cubo di riviste da donna che la Lella compera mensilmente:

C’entra. Se tu avessi dato un’occhiata ad una qualunque di quelle riviste, avresti letto le stesse identiche cose, risparmiando tre milioni, con in più la dritta sul pediluvio/maschera/tisana.
Ok, sulla rivista ti dovevi beccare anche venti pagine di sesso teorico ed isterismi epistolari ma se proprio ti serviva un rompicoglioni che ti dicesse le stesse cose a pagamento, potevo farlo io a metà prezzo, pirla!

Non c’è un cazzo da fare: le barzellette, bisogna saperle raccontare.
Chiunque gli avrebbe consigliato le stesse cose; ma se te lo dice uno che ti barba tre milioni in due giorni, allora ci credi.
Come le scosse alle orecchie per smettere di fumare: non sono le scosse che ti fanno smettere, è il pensiero di aver dato 500 euro a un dritto che ti ha dato la scossa alle orecchie, che non ti fa ricominciare!…

Nella primavera 2006 ero 85 kg mal distribuiti su 175 cm: “Mmm.. mi sa che mi tocca fare un po’ di fame…”
Per ottimizzare i sacrifici, vado da una dietologa amica di Bimbi (Elisabetta Borgini, piccolo spot…) a cui spiego cosa faccio di sbagliato (lo sappiamo tutti) e cosa sono disposto a fare; lei elabora i dati sulla base dei miei gusti e mi molla tre o quattro paginette di dieta.

In quattro mesi ho perso otto chili senza mai aver avuto fame.
A tutti quelli che si complimentavano per la mia linea ritrovata, facevo il nome della dietologa e, immancabilmente, tutti dicevano: “Eh sì, la Borgini è proprio brava…”

Lei è brava?
Per quattro mesi non ho preso un merdosissimo aperitivo e non ho guardato il barattolo della Nutella.
A metà mattina mangiavo un pacchetto di crackers anche se avrei potuto mangiare “40 grammi di pane con trenta grammi di prosciutto” ma se a quell’ora io entro in un bar, mi mangio il barista, non il panino della Barbie.
Per quattro mesi mi sono mangiato lo yugurt magro a metà pomeriggio…
E quella brava è lei?
Io sono bravo, porca puttana di merda!

Quindi, se siete interessati all’iniziativa della Niki, le faccio volentieri da cassa di risonanza; se non vi interessa ma volete spaccare la faccia a qualche euro, ricordatevi del Centro Malessere che sto progettando.

decorazioni-natalizie 2 Ed ora un finale natalizio.

Come stanno Mauro e Lella?
Benissimo.
Mauro ha ricominciato a fumare, mangiare e bere normalmente, è uno dei più brillanti assicuratori d’Italia e prevedo per lui un posto nel Consiglio di Amministrazione della Compagnia.
La Lella gode di ottima salute ed è sempre la persona più solare ed ospitale del mondo.

Solo che hanno divorziato.
Li vediamo ancora, raramente e separatamente, giusto per renderci conto di quanto, nel loro caso, 1+1 facesse 1000, non 2.
Ci manca da morire, quella coppia di squinternati.

Lo so, normalmente sono un amante del lieto fine.
Ma quelli come me, a Natale, sono tutti più stronzi.

Dottordivago

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Allora, come ho già dichiarato cinquanta volte, per Natale non faccio e non accetto regali.
E amici e parenti si sono adeguati.
Poi c’è Bimbi, che non dice niente e fa quello che le pare.
Io so solo che:

a lei regalini ne fanno    +
lei non è una cafona      =
——————————–
Bimbi ricambia i regali.

Per me va bene, la mia è una scelta personale, lei può fare ciò che vuole: basta che mi lasci tranquillo. 
Mi inquieto un momentino quando fa un’uscita del tipo: “Ho preso ‘sta confezione di formaggi per mia zia ma non mi convincono tanto: quasi quasi potremmo mangiarli noi e a lei regalo i Baci di Gallina…”.

Micro divagata.
No, Bimbi non è impazzita: a fronte di un nome non precisamente invitante, i Baci della Premiata Pasticceria Gallina sono l’equivalente alessandrino dei Dieci Giusti di Sodoma e Gomorra, quelli che, se mai Abramo fosse riuscito a trovare, avrebbero salvato le città dalla distruzione divina.
Bene, Dio non ha ancora fatto piovere il fuoco su Alessandria proprio per non privare il Creato di una vera delizia paradisiaca; tutte le città hanno un bacio di dama taroccato, spacciato come specialità locale, solo che sono quasi sempre dolci anonimi, se non delle mezze schifezze a base di cioccolato e un qualche liquoraccio fetente, roba che ti fa quasi rimpiangere il sapore dell’ultima volta che sei andato dal dentista.
I Baci di Gallina sono deliziosi: un impasto dagli ingredienti più segreti della formula della Coca Cola, in cui si intuiscono il burro, le selezionatissime nocciole piemontesi e cacao di qualità, mentre i due mezzi sono incollati con un finissimo cioccolato: anche dopo essersi sfigurati di cibo, è praticamente impossibile non mangiarne dieci.
Sembrano nati per predisporre la bocca ad accogliere un caffè, l’equivalente di un tappeto rosso srotolato per accogliere un personaggio di rango o, se amate la poesia, come un’abbondante strato di vaselina nel buco del culo, in attesa di un arrivo importante.
Davvero: a stomaco leggero, magari con una tazzina di caffè d’accompagnamento, ci si può veramente fare del male.

E io mi becco il misto-formaggi?
Eh no, bella mia: i Baci restano qui. 
Inoltre, le confezioni regalo, siano esse composte da formaggi, vini o chiavi a bussola al vanadio, hanno una caratteristica imprescindibile: il costo totale è sempre molto più alto della somma dei singoli componenti.
D’altronde, o ti comperi tutte le cosine belle, contenitore compreso, e te le metti insieme con le tue manine o passi sotto la Forca Caudina dell’esercente che dice:

Il totale fa tot, più la manodopera, più la cresta che mi va di fare, visto che
1) manco un cane muove la coda per niente
2) è Natale e devo regalare la tuta da astronauta a mio figlio, quindi…

Quindi sta all’acquirente regolarsi: se sei convinto che per un regalo la confezione conti più del contenuto, vada per il cestino.
Ma se io voglio un formaggio, lo guardo, lo annuso, lo assaggio, lo compero, lo porto a casa e lo mangio; unico extra ammesso è la carta, da formaggio, appunto, visto che sono un tipo pragmatico.
E per me il formaggio ammette come unico abbinamento un bicchiere di vino rosso e una bella micca di pane, non venticinque vasetti di composta di pomodori verdi o marmellata di mele cotogne con il rafano o una crema di carciofi al guano del Cile.

Come dice Woody Allen parlando di ostriche: “Mangio solo roba morta; non ferita o moribonda: morta”.
Bene, io mangio solo il formaggio, non i vasetti, il cui contenuto mi fa cagare nove volte su dieci ma amo il contenitore, che poi mi scoccia buttare perchè sono uno che terrebbe tutto, anche i lacci vecchi delle scarpe, figuriamoci i vasetti di vetro piccoli e bellini…
Poi c’è la confezione… Vorrai mica buttare via un cestino così carino, no? Dio-mi-maledica-se-so-cosa-farci ma finisce regolarmente in un mobile e resta lì fino al prossimo trasloco, garantito.
Quindi la zia si becca la confezione regalo.
O quello che Bimbi ha deciso di regalarle in seconda battuta: mi basta non saperlo.

Poi ci sono i bambini.
A conti fatti, se tutti si comportassero come Bimbi, mi conveniva metterne al mondo una mezza dozzina e vivere di rendita rivendendo i giocattoli alla Mattel.
Bimbi è come gli addestratori di delfini: salto–sardina, scodata-sardina, pernacchietta-sardina; ad ogni gesto o manifestazione corrisponde il premio.
Se Bimbi pensa di trovarsi nel raggio di cento metri da un bambino, ha già un regalo pronto, il motivo o la ricorrenza sono aspetti secondari.
Lo trovo leggermente diseducativo: secondo me il regalo va motivato da un merito o da un evento, altrimenti diventa un obbligo e predispone il bambino ad una mentalità da dipendente pubblico cioè una vita costituita da diritti acquisiti.
Oltre ai regali di Natale, sacrosanti, Bimbi si porta avanti con il lavoro e si rifornisce già per le visite future; spero che non ragioni come per la zia, anche perchè potrei farmi andare bene i formaggi, ok, ma con un transformer o una cucina in miniatura proprio non saprei cosa farci.

Insomma, sto diventando un vecchio bastardo: niente regali, niente auguri.
A proposito di auguri: fino all’anno scorso mandavo un sms, uguale per tutti, che diceva

uiuisciuamerricristmasendeeppiniuiar

Ricevevo alcuni “Ehhh?!…”, qualche “Buone feste anche a voi” e solo il mio amico Fabrizio, una volta, mi ha fatto ridere con un “gingolbel” di risposta.
Quest’anno, un po’ per gli impegni di lavoro, un po’ per prova, ho fatto la figa, cioè non ho cagato nessuno. 
Oh, m’avesse chiamato uno…

Non ho capito se la mia teoria ha fatto proseliti o se non conto più un cazzo.

Dottordivago 

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Sono un’oasi di tranquillità e rilassatezza in questo momento di folle fibrillazione.

Come faccio?
Niente yoga, niente training autogeno, niente meditazione trascendentale, niente ipnosi, agopuntura o psicofarmaci.
E allora?
Va beh, prendete carta e penna e segnatevi la ricetta.

Prendete un Natale.
Ah, ferma la mula: se avete figli piccoli, lasciate perdere, per voi la ricetta non vale. Per coloro che non si sono riprodotti, andiamo avanti.

Prendete un Natale.
Asportate, come faccio io, la componente religiosa cattolico-romana: operazione marginale, ve ne resterà un buon 90%.
Privatelo, come faccio io, della parte d’importazione, Babbo Natale: va già meglio, solo che l’80% lo salvate ancora.
Per eseguire queste operazioni, state a casa, non partite per ponti e vacanze: da molti anni me ne vado per due settimane a gennaio e, privato di quest’aspetto, il Natale si riduce ad un 50%.

Ok, non distraetevi, state facendo un buon lavoro
Eliminate puntigliosamente, come faccio io, l’aspetto commerciale; non serve aver fatto la Bocconi, è sufficiente non fare e non accettare regali.
Dopo aver eseguito quest’operazione, vi ritrovate come dopo aver fatto aprire le cozze nel pentolone: tolti i gusci, resta il 10%, la parte edibile.
Cioè quello che si mangia.

Ecco, l’aspetto gastronomico del Natale è l’unica cosa che mi fa capire di essere in un particolare momento dell’anno.
Quindi ho drasticamente ridotto le cene con amici: ci sono stati anni in cui, da Santa Lucia all’Epifania, non riuscivo a cenare a casa una sera. Stomaco, fegato e girovita ringraziano.
Resta proprio solo la mangiata di Natale e Santo Stefano ma, ringraziando la Madonna, quest’anno le due festività cascano nel week end ed io, nel week end, mangio sempre un po’ di più che lungo la settimana, quindi non percepisco la minima differenza.

Mi sto già pregustando un fantastico week end come tutti gli altri.

Buon week end a tutti.

A chi non volesse o non potesse seguire la mia ricetta, con la certezza di sbattersi come una bestia ma con buone probabilità di divertirsi più di me, a voi, amici, auguro di cuore un felicissimo Natale.

Dottordivago

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Ocio…

Siamo alle solite: mi piace sembrare più ignorante e stronzo di quanto in realtà sono; poi, se c’è il rischio che qualcuno mi creda sulla parola, allora rettifico, anche se, come si dice nel mondo dell’informazione, “una rettifica è una notizia data due volte”…

Leggendo i post precedenti, quelli sui call center, qualcuno potrebbe pensare che, nella mia visione del mondo, l’unica strada per il successo sia il lavoro manuale.
Niente di più sbagliato e pensavo fosse chiaro.

Gente, studiate.
Detto da uno che ha dato tre esami all’università…
Per il vostro bene, se solo potete, studiate.
E se non ne avete voglia, almeno andate a scuola, che non è la stessa cosa che studiare.
Tra la gente che conosco vedo la differenza fra chi è andato a scuola e chi si è fatto mangiare i libri dalla vacca: anche solo passare qualche anno in più, a quell’età, con l’obbligo di esprimersi correttamente tutti i giorni, di tenere una penna in mano tutti i giorni, di confrontarsi tutti i giorni, è una cosa che forma una persona, che apre la mente, anche se i risultati scolastici non sono poi eclatanti.

La scuola ti lascia un non so che, anche nelle situazioni più stupide: afferri meglio certi concetti, sei più pronto, più aperto. 
Certo, frequentare non basta, per i risultati è necessario l’impegno, però la frequentazione scolastica è un po’ come la storia che raccontava sempre Joe Louis, il Bombardiere Nero: per essere campioni del mondo dei massimi devi avere il fisico e farti un culo così in allenamento, questo è poco ma sicuro; però, se vuoi padroneggiare fino in fondo le tue mani –e quindi i tuoi pugni- devi lavarti i denti un giorno con la destra e l’altro con la sinistra, la stessa cosa per allacciarti le scarpe, per abbottonare la camicia o per scrollartelo.
Poi ci vuole la volontà, infatti il vecchio Joe si lavava la faccia con la salamoia, per rendere la pelle del viso più coriacea e resistente ai colpi.
Ecco, la mera frequentazione della scuola non è di per sè sufficiente ma ha l’effetto di quei piccoli accorgimenti: male non fa, anzi…

Ho fatto l’esempio di Ale, ingegnere/serramentista, solo per spiegare che non ci si deve incaponire su una strada, se questa non porta da nessuna parte o se non si è disposti ad aspettare che lo faccia.
Ma a fronte dell’esempio di Ale, ho decine di amici medici, avvocati, ingegneri o commercialisti che hanno dato un senso alla laurea conseguita e contenti che sono.
Peccato che si tratta di laureati che non danno niente al mondo.

Il mondo cambia grazie ai cervelli.
Che poi il mondo vada avanti grazie al culo che si fanno tante formichine, è innegabile, ma è necessario che qualcuno indichi la via.
Succede anche che qualcuno indichi la via ai cervelli e che l’indicazione porti all’estero; da noi questo viene visto come uno scandalo –e lo sarebbe pure- ma allora, cosa dovrebbero dire gli Israeliani? O gli Indiani che, su oltre un miliardo di ciucci, hanno dieci cervelli buoni e sono tutti all’estero?

Poi, ‘sta storia dei ricercatori…
Ci servono come il pane, sono i famosi cervelli, già citati, che indicano la via.
Ma solo se cercano qualcosa di nuovo e utile per la comunità, sennò via, a friggere le patatine da McDonald: conosco un ricercatore (da ieri anche una ricercatrice, vero Voodoo Dolly?) che racconta certe cose…
Mi spiegate come si fa a prendere per dieci anni uno stipendio modesto -ma sempre uno stipendio…- per “ricerche” sulla letteratura italiana dell’800?
Anche perchè il ricercatore in oggetto non è perennemente in giro per soffitte a cercare inediti di Foscolo o Leopardi: questo non fa un cazzo tutto il giorno e, per sua stessa ammissione, se mai qualcuno gli domandasse cosa ha fatto negli ultimi anni, dovrebbe essere molto bravo a cambiare discorso, visto che non saprebbe cosa rispondere.
Dico davvero, spigatemi cosa c’è ancora da ricercare e scoprire su quell’argomento: forse nuove interpretazioni?
Ok, quando sei libero dal lavoro –uno vero…- ti metti lì e fornisci nuove interpretazioni di tutto quello che vuoi, anche del “W la figa” che ti hanno scritto sul cofano della macchina.
Ma non è mica finita, eh? La morosa dell’insostituibile luminare, meglio introdotta di lui, càmola un altro stipendio, più sostanzioso, per “ricerche” sull’arte orientale, con vari viaggi in loco caricati sulle nostre capaci spalle di contribuenti.
Queste cose le so io che frequento cantieri, chissà quante ne potrebbe raccontare qualcuno che conosce l’ambiente…

Purtroppo il nostro paese è pieno di laureati che non trovano sbocco nel mondo del lavoro; oppure, come Ale, trovano un lavoro che non li retribuisce sufficientemente, in termini di soldi o di soddisfazioni.
Ma non è colpa della società, è colpa loro che hanno scelto di specializzarsi in una materia con pochissimi sbocchi o tantissima concorrenza.
A quel punto, allora sì, occorre ripensare la propria vita.

Ho studiato filologia romanza, insegno lettere e guadagno 1200 euro al mese: sono contento?
Sì, resto.
No, voglio guadagnare di più: con questo lavoro ci riesco?
Sì, facendo così e cosà…
Oppure: no, quindi mi lamento e basta.
Oppure: no, cambio mestiere.
Cosa faccio?

A quel punto puoi anche decidere di sporcarti le mani, come Ale.
Così come la violenza è l’ultima risorsa degli incapaci, farsi un buco del culo come uno sbadiglio potrebbe essere l’ultima risorsa di un laureato insoddisfatto, no?

Dottordivago

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Benvenuto Bisca!

benvenuto

Mi limito al benvenuto tradizionale con cesto d’ordinanza e non mi dilungo sul Bisca: l’ho già citato nel post precedente e non vorrei, vista la tenera età, che qualcuno mi scambiasse per un pretone interessato al nuovo chierichetto…
Anche se ho una sensazione strana, per quel poco che ho letto, mi sembra fin troppo maturo per la sua età…

Senti un po’, vigliacco, non è che sei il padre del Bisca e che usi la sua email, eh?

Comunque, benvenuto.

Dottordivago

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Tanto per cambiare, non ho capito un cazzo.
Ho scritto il post precedente aspettandomi una serie di insulti e di “tu fai presto a dire…”.
Invece arrivano commenti a senso unico, un consenso generalizzato, anche se qualche parere discorde arriverà, prima o poi: quando si tocca il mondo del lavoro ed i suoi “martiri” istituzionali, la levata di scudi è dietro l’angolo.
Ma soprattutto, così come è vero che “nessuna buona azione resterà impunita”, è altrettanto vero che “nessuna mancanza di ipocrisia sarà perdonata”.

Ho scritto ieri le prime righe che avete appena letto.
Ringraziando la Madonna, sennò sembra che i commenti me li scriva in proprio, stamattina ho trovato una voce fuori dal coro:

Ehm, ma con l’esempio dell’ingegnere intendevi “cazzi tuoi se ti sei fatto un culo così al politecnico, ti conveniva buttare la tua testa fine nel cesso e farti il corso per elettricisti (vuoi mettere il suv e la villetta con tavernetta con i soldi evasi)”? Bella roba.

Primo: do il benvenuto a Bisca.
E gli faccio i complimenti. Non tanto per il commento, che analizzeremo, quanto per il fatto che il giovanotto è nato nel 1995 e fa la 2a A, come si evince dal suo blog e dall’indirizzo email.
Giù il cappello: io, alla sua età non avrei mai e poi mai partecipato ad una discussione su un argomento così poco “oh yeah!…” (bello oh yeah, vero? Credo che non userò mai più “cool”. Ah, non l’ho mai fatto? Bene, un ottimo motivo per non iniziare…)
Marca “bravo” al Bisca.

La voce fuori dal coro è partita intonata: non è giusto che un appassionato di aerei e di qualsiasi altra roba che vola, che si laurei in Ingegneria Aerospaziale, si ritrovi a fare un mestiere per cui non era necessario tanto impegno prima.
Il fatto è che Ale, l’Inge, aveva iniziato con il lavoro per cui era teoricamente qualificato; e dico teoricamente perchè –te ne accorgerai- quando si entra nel mondo del lavoro, puoi prendere tutto quello che hai imparato e tenerlo lì, caso mai ti servisse.
Ale è di Alessandria, l’Alenia è a Torino, dalla parte sbagliata per noi che proveniamo da est: comprese tangenziali, circa 150 km, da fare due volte al giorno.
Dopo quattro anni aveva spaccato la faccia a due macchine e si mangiava lo stipendio tra distributore, casello e concessionaria, così si è trovato un paio di soci e ha messo su casa a Torino.
Uno con meno di trent’anni, a Torino, resta a casa a guardare “Chi l’ha visto”? No, giustamente esce tutte le sere.
E con 1300 euro non arriva a fine mese.
Nel frattempo ha visto un paio di colleghi, forse più dotati, forse più leccaculo, superarlo nella gerarchia; contemporaneamente si è ritrovato per due mesi a guardare sul computer un dado tridimensionale –hai presente i dadi dei bulloni? Proprio quelli- destinato al nuovo Caccia Europeo: il suo compito era quello di proporre numerose varianti e migliorie come forma e materiali.
Varianti di un dado.
Migliorie a un dado.
Che girava lentamente sullo schermo.
Magari dopo una serata allegra.
Magari con un po’ di carogna addosso…
E col pensiero che potesse essere un assaggio del suo futuro.

Ale non è un Panda; e se non sai cosa intendo, vai a leggerti Perchè il panda deve morire.
Ale non voleva estinguersi: una specie ha maggior successo quanto più si adatta all’ambiente.
Se manca il bambù, il panda crepa, perchè per migliaia o milioni di anni ha trovato più comodo adattarsi al bambù, che non scappa, piuttosto che usare denti e artigli, che ha in abbondanza, per sbranare altri animali che, però, corrono come il Demonio.
Comodo, certo, ma poco redditizio: un panda deve mangiare bambù per 16/18 ore al giorno, un leone si sbatte un’ora per la caccia, poi dorme due giorni.

Ale ha capito quello che molti si rifiutano di capire: “Ok, ho studiato una cosa che mi piace ma non riesco a realizzarla e, soprattutto, non riesco a mantenermi: quindi? Resto, cambio io o cambio il mondo?”
Alla tua età la risposta è scontata: cambio il mondo.
Non ci riuscirai, fidati.
Con la mentalità corrente, che spero per te non sia o diventi la tua, Ale avrebbe dovuto incendiare qualche cassonetto e spaccare qualche vetrina per convincere chi di dovere a creare un posto di lavoro su misura per lui, così come si vorrebbero mantenere più insegnanti che studenti, solo per il fatto che si sono laureati e che nei campi o in fabbrica non vogliono andare.

Ale, invece, si è adattato all’ambiente.
Ha pisciato sul bambù e si è messo a correre.
Si è sfiatato e ha preso qualche zoccolata sul muso, poi ha piantato i denti nella carne, ha sentito il gusto del sangue.
E si è messo un po’ di ciccia intorno alle ossa.
Ma, soprattutto, ha imparato la lezione: se le cose dovessero mettersi male, sarà pronto a cambiare ancora.
È la prima regola della vita.

Non sono d’accordo con la seconda parte del commento: i SUV mi fanno cagare, della villetta se ne potrebbe parlare ma, per essere sicuro di non avere una tavernetta, potrei costruire una specie di palafitta; la tavernetta è la cosa più idiota del mondo: nel momento in cui ti sei fatto una bella casa, inizi a vivere sottoterra… Ma per piacere…
Il discorso dell’evasione è diverso, è colpa mia come tua.
È indecente che un pizzaiolo sia proprietario di una decina di appartamenti, giri con macchine da 60.000 euro e ne dichiari 15.000 all’anno.
Sai perchè può farlo? Perchè tu, o qualcun altro (non io) quando vai in pizzeria non richiedi la ricevuta.

Io faccio finestre e per una vita i miei clienti mi hanno richiesto i lavori in nero, per non pagare l’IVA; e questi, al 90%, erano onesti dipendenti: “Sa, noi non scarichiamo niente…”; mentre un qualsiasi titolare d’azienda che evade per comperare il SUV, pretende la fattura.
Una volta sono andato a fare le misure a casa di un finanziere; è venuto ad aprire la porta in divisa, per farmi capire l’antifona: lavoro in nero e sconto extra, cosa avevi capito?…
Un contratto del genere comporta di rischiare, per non guadagnare un cazzo.
Gli ho detto “Ok, si può fare; le premetto, però, che io tratto prodotti molto costosi…”
Quando gli ho portato il preventivo, era il doppio del dovuto; anche con il supersconto fasullo che fingevo di applicare, la cifra era sempre superiore agli altri preventivi. Arrivederci e grazie, sarà per un’altra volta.

Oggi esiste la possibilità di detrarre dalle tasse il 55% dell’importo delle finestre e tutti gli onesti dipendenti pretendono, giustamente, la fattura.
Solo che la vorrebbero con l’importo maggiorato, per detrarre di più, che equivale a rubare soldi alla comunità, esattamente come fanno gli evasori.
Ovviamente non se ne parla, e non per un fatto di correttezza: sulla differenza richiesta dovrei pagare io le tasse al posto loro e mi mangerei il guadagno.

Il più pulito c’ha la rogna, ragazzo mio.
Vai in piazza, non spaccare niente, protesta per le cose che ti competono, non per salvare i privilegi di una casta di Magnifici che, proprio in questi giorni, per anticipare il Decreto Gelmini, sta assumendo parenti a raffica: dopo non potranno più.

Ti approvo in pieno il finale: sì, stravolgere quello che doveva essere il suo futuro, lavorare e decidere con la propria testa, guadagnando di più, per Ale è stata proprio una “bella roba”, come dici tu.

E mò continuo con quello che avevo già imbastito ieri.

Quello che non capisco è per quale motivo quello di operatore di call center è diventato il Lavoro di Merda per antonomasia.
Non ricordo in quale film di Aldo, Giovanni e Giacomo, uno dei tre si prende a parole con un venditore di panini sul treno, per altro con ragione: “Guardi, lasciamo perdere, ho avuto una giornata orribile e mi sono anche svegliato alle cinque per prendere il treno…”
E quello, che è un grandissimo stronzo, risponde: “Io mi sono svegliato alle tre…”
”Ah beh… allora ha vinto lei, mi dia pure il panino marcio…”

Ecco, in uno dei vari Ballarò o Annozero è successa la stessa cosa: c’era uno nel pubblico che ha infilato una serie di stronzate da Guinness, mischiate a stereotipi da sinistra incazzata; veniva quasi da dare ragione alla controparte: una missione impossibile, visto che, non ricordo chi fosse ma si trattava di un berlusconiano di ferro, il quale, dopo aver argomentato non male, ha fatto l’errore di dire: “Non so che lavoro faccia, lei, ma…”

Io lavoro in un call center.

È stato come domandare “Come va?” a uno che risponde: ”Ho appena perso moglie, figli e genitori nell’incendio di casa mia”: è serpeggiato un brusio tra il pubblico e il conduttore gli ha persino appoggiato la mano su una spalla.
Con quel lavoro, può dire ciò che vuole…

Gente, i lavori di merda sono quelli dove non si rischia il mobbing ma si rischia la salute o la pelle.
Ed anche se sono assolutamente convinto che otto morti su dieci nel mondo del lavoro sono colpa del morto stesso o di un suo collega, non del “sistema”, sono altresì convinto che se i sindacalisti facessero davvero il proprio mestiere, darebbero meno peso a cause sindacali da call center e presterebbero più attenzione alle varie Thyssen Krupp.

Comunque, dopo aver scritto il post mi sono domandato che lavoro farei, o che sarei disposto a fare, se non avessi un’aziendina da mandare avanti.
Vediamo…
Un lavoro faticoso, no; forse forse -se avessi un pezzo di terra- potrei fare l’ortolano; coltiverei verdure con il gusto che ci si aspetta di sentire, di cui c’è una grande richiesta, da vendere al giusto prezzo, tendente al caruccio, a ristoranti e negozi di categoria: chi vuole la qualità, è disposto a spendere.

Ma il famoso pezzo di terra non ce l’ho, quindi?
Ho un vantaggio, rispetto ad altri: canto bene.
Potrei andare per locali con alcune basi registrate ed un repertorio di tendenza.

E se non funzionasse?
Dunque, una t shirt cinese di merda costa mezzo euro, una di ottima qualità costa un euro; stamparci sopra una minchiata simpatica, un soggetto ispirato al momento contingente o uno carino o ruffiano –basta evitare le solite cazzate o la solita faccia brutta “Iron Maiden”- costa due o tre euro: con un investimento di mille euro si può già allestire un banchetto dignitoso, da arricchire con oggettistica “furba”, che esiste e che si vende.

Ma mettiamo che, al mondo, io sia la persona meno dotata di creatività e di gusto.
Bene, piuttosto che guadagnare trenta euro al giorno in un call center o in un negozio con una titolare merdosa che sa solo rompere i coglioni, metterei sette o otto stecche di sigarette di contrabbando in una borsa ed andrei a venderle, a prezzo da tabaccheria, nei locali e nei ristoranti: fidatevi, i tossici in astinenza si fanno pelare come conigli.

Quello che funziona sempre è il cibo.
Ma i banchi attrezzati sono un investimento considerevole.
Io recupererei i contenitori delle mozzarelle, cubi di polistirolo 50x50x50 e li rivestirei di Cuki; ne riempirei uno di würstel e salsicce calde, uno di crauti e uno di peperoni alla piastra e cipolle saltate; quattro salse e via: mi piazzerei davanti ad una discoteca al momento giusto.
Fidatevi, sarebbe sufficiente lavorare solo nel week end, con un guadagno molto superiore alla paga settimanale da call center.

Permessi? Licenze? E quando mai, in Italia, un “altrimenti disoccupato” troverebbe qualcuno così crudele da fargli il culo?
Se i panini sono buoni, Polizia e Carabinieri apprezzeranno; e voi potrete metterli nelle spese di rappresentanza.

Queste sono tutte idee che mi sono venute al volo, in dieci minuti, infatti hanno tutte un grosso difetto: bisogna far lavorare il cervello, inventare, improvvisare, organizzare.

Voi come la pensate? Fatica fisica no? Fatica mentale no?
Fatica in genere no?
Beh, allora ringraziate che esistono i call center.

Dottordivago

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Il mio negozio è comunicante con l’ufficio/laboratorio dei miei amici/padroni di casa.
Non chiudiamo neanche le porte divisorie e, considerando che anche l’elettricista, affittuario come me, ha lo stesso amore per la sicurezza, se entra un ladro fa filotto .
Non siamo nè pazzi nè riponiamo troppa fiducia nel genere umano: semplicemente, non c’è un cazzo da rubare; i portatili vengono a casa con noi e se proprio qualcuno ha bisogno della mia stampante da 40 euri, si accomodi pure, così ne ricomprerò due e farò un regalo al mio amico, che non ce l’ha e viene sempre a rompere i coglioni a me.
Per meglio chiarire l’atmosfera da Rione Sanità che regna tra noi vicini, aggiungo che il mio amico ha la macchina espresso e, visto che c’è la sua, non ne ho ancora comperata una mia, mi limito a comperare le cialde della Illy: lui ha le braccine cortissime e compera delle cialde super economiche che gli ho già consigliato di sostituire con sottopiedi o tampax usati, a seconda della sua vena del momento.

Stamattina vado di là per bere un caffè e dire quattro cagate; entro, come al solito, con un roboante “oh, banda di ricchioni…” e vengo zittito…
Eh la Madonna… cazzo succede?

Ma pensa te… tutta ‘sta preoccupazione perchè un venditore di Telecom è al telefono con un call center della premiata ditta, per sistemare una delle mille troiate che gli operatori telefonici fanno quotidianamente: nella fattispecie, ai miei amici non arrivano le fatture e non possono pagare le bollette, solo che Telecom reclama comunque il pagamento.
Kafka era un bambino…

Dopo un paio di minuti, trionfante, l’homo tecnologicus dichiara: “Apri la mail, ha trovato le fatture e te le sta inviando”; detto ciò, si guarda attorno in cerca di consensi.
Ovviamente non se lo incula nessuno.
Lo conosco, è un tipo in gamba, gentile e disponibile, solo che questo piccolo successo gli dà alla testa: non ci sta a non essere cagato, cerca l’applauso, come un comico che fa una pausa e guarda il pubblico con aria piaciona…
”Sapete qual’è il problema dei call center?…”
Ne conosciamo almeno centocinquanta ma lo lasciamo parlare: che si goda il suo momento…

”Il problema è trovare la persona giusta…”

Gli faccio notare che l’affermazione è valida per baristi, avvocati, pompinare e tutte le attività, arti e professioni che esistono in cielo in terra e in ogni luogo.
”No, sai… non è così semplice: quelli dei call center fanno un lavoro di merda e non guadagnano un cazzo, così…”
”…Così mi hanno rotto i coglioni!”
Ci siamo, mi è partitolo l’embolo.

Tengo a precisare che, finchè le cose mi andranno così –e magari anche un filino peggio- non lascerò il mio lavoro per un call center, garantito.
Ma le miniere di zolfo sono un’altra cosa.
E anche i manovali nelle fonderie o gli asfaltatori di strade in pieno luglio o –sapeste quant’è bassa la terra…- i raccoglitori di ortaggi, sono tutti messi peggio.
Non ne posso più di sentire ‘sta storia che gli addetti dei call center sono i nuovi schiavi: viene quasi da pensare che alla sera si ritrovino coricati per terra in una lurida capanna a comporre spirituals, come i negher in Georgia nei secoli andati.

Coraggio, ragazzi, c’è di peggio, ve lo garantisco e, se proprio volete migliorare la vostra situazione, per info contattare Ruslan.

Ruslan è la punta di diamante della mia azienda: un ragazzone moldavo con la forza di un rimorchiatore, un cervello niente male ed una voglia di lavorare che, se ce l’avessi io, come minimo sarei già l’Imperatore del Giappone.
Una giornata di Ruslan vale 150 euro puliti, se va lungo anche 200 (l’ho già detto “puliti”? Sì, allora continuo); c’è solo un problema: io per primo, e insieme a me tutti quelli che lavorano in un call center, piuttosto che beccarmi delle giornate come quelle di Ruslan, dico la verità… piuttosto andrei a rubare.
Solo che io so fare qualcos’altro –e mi faccio venire la voglia di farlo- tanta gente no, però la fatica non è nelle loro corde.
Tra l’altro, quello di Ruslan è un lavoro che non richiede obbligatoriamente la capacità di sollevamento di un muletto, molti miei collaboratori non sono nè La Cosa nè Hulk ma se la cavano benissimo.

Il modello Ruslan vale anche per le donne: Claudia, la sciura ucraina che fa le pulizie nel mio negozio, gira come la pallina di un flipper tutto il santo giorno; mezza giornata qua, due ore là, altre due là, a volte sostituisce per la notte la sorella badante, giusto per ricominciare al mattino dopo.
Mi viene da domandarle: “È una vita?”
Sì, lo è, è la sua vita.
Intanto, dopo cinque anni in Italia, lei -ex insegnante- e il marito -ex concertista- che aiuta un panettiere di notte, dorme qualche ora e poi aiuta la moglie, loro due, dicevo, si sono comperati la casa.

Nel mio mestiere servono anche i facchini: faccio finestre bellissime ma hanno il difetto che da sole non si muovono, tocca caricarle sulle spalle e cammellarle al piano.
Come dicono gli ammericani, “il quarterback non porta il Gatorade”, quindi i miei posatori non fanno i facchini, li voglio lucidi e freschi, non sudati e stremati. Così mi rivolgo ai compaesani dei miei uomini, gente appena arrivata che, per cinque euro l’ora in nero, manda avanti i cantieri di mezza Italia: io pago dieci euro l’ora e, in cambio, loro volano su dalle scale con le finestre in braccio.
C’è solo un problema: durano poco.
Non perchè muoiono o si stufano ma perchè si trovano un lavoro fisso, molto spesso in regola, come un sacco di loro compaesani prima di loro, a differenza degli Italiani, che proprio un lavoro non lo trovano.
Tranne che nei call center, dove il fatto di conoscere la lingua rappresenta un discreto vantaggio.

Qualcuno, molto correttamente, ha inventato una categoria sindacale per gli stranieri: “I lavori che gli Italiani non vogliono più fare”. Appunto: non che non possono più fare.
Non vi rendete conto di quanto lavoro manuale c’è da fare, solo che per gli Italiani è assai più nobile vendere il culo che usare le mani: una troia che la dà via per mille euro a botta, diventa un personaggio da sfoggiare in discoteca, mentre una che pulisce le scale è considerata una pezza da piedi.

L’Italia può essere un bel posto, per chi ha voglia di lavorare; e lo è anche di più per chi tra un orecchio e l’altro non ha una corrente d’aria.
Vasile, rumeno della prima ora, è arrivato nel 2003.
Presso un impresario alessandrino che conosco molto bene, rigorosamente in nero, ha fatto il bufèn (il manovale, quello che “buffa”, che ha il fiatone) per un mese, poi è passato mesa casòla (mezza cazzuola), dopo tre mesi hanno capito il soggetto e l’hanno assunto a tempo indeterminato come miradùr (muratore).
Ha saltato un passaggio nella gerarchia edile alessandrina, quello di miradùr finì (muratore finito o mastro muratore), semplicemente perchè è saltato al successivo; dopo un anno dall’arrivo in Italia, con uno stipendio sicuro, ha salutato il datore di lavoro che gli avrebbe fatto ponti d’oro ed è diventato impresario, si è messo in proprio.
Ha iniziato a farsi un buco del culo come uno sbadiglio e ora vive in una bella villetta di proprietà, fuori città, che si è costruito nel tempo libero, anche se mi domando dove cazzo l’ha trovato, “il tempo libero”… probabilmente non avrà dormito per un paio d’anni.

Silvano, albanese di cui nessuno riesce a pronunciare il nome di battesimo, è arrivato a Bari o Brindisi con il famoso “Bastimento carico di…”, credo nel ‘90.
Era un militare e, quando ha saputo che partiva una nave carica di banditi a cui erano state spalancate le porte delle carceri, non l’ha fermata: ci è saltato su, in divisa e con il kalashnikov in spalla.
Arrivato in Italia si è qualificato, ha consegnato il gingillo alla Polizia e il giorno dopo era a casa di una lontana parente, in Alessandria.
Il marito della cugina, italiano, lavorava come dipendente da un parquettista, che ha accettato di buon grado di far lavorare il nuovo arrivato. 
Dopo due anni si è messo in proprio e dopo altri due ha perso tutto a causa dell’alluvione.
Come tutti, ha imbertato un mucchio di soldi di risarcimento e si è ingrandito, poi ha lavorato come un pazzo per un po’ di anni; oggi sta liquidando l’azienda e se ne torna al paesello, dove ha costruito un albergo in riva al mare e dove conta di andare incontro ad una serena vecchiaia.

Ma questa povera Italia non è solo l’Eldorado degli stranieri svegli, può essere un buon posto anche per gli indigeni, solo che… aspetta che leggo le controindicazioni… Ah, ecco: serve voglia di lavorare.
Il mio amico Ale, italianissimo ingegnerie aero-spaziale, prendeva 1300 euro al mese all’Alenia.
Quando ha capito che con quello stipendio vizi se ne toglieva pochi, si è ricordato del padre fabbro e di me: papà ci ha messo un pezzo di capannone, mentre io gli ho imbastito l’officina e gli ho insegnato il mestiere, così lui si è messo a fare un po’ di finestre.
Oggi si fa un culo nettamente superiore ad un tempo ma alla fine del mese non dice “bambole, non c’è una lira”; piuttosto dice “cazzo, ma è già passato un mese?”
E intanto si è comperato un appartamentino e un paio di moto.

Alla faccia degli italiani che non arrivano a fine mese.

Certo, lavorare in proprio ha un costo che non tutti accettano di pagare: preoccupazioni, qualche notte a fissare il soffitto, il fatto di svegliarsi la prima mattina del mese e pensare: “Bene, per questo mese che inizia ho già speso 5/10/20 mila euro: adesso andiamo a guadagnarli…”
Se non ve la sentite e non siete qualificati per stipendi di livello superiore, vi restano due strade: lavoro manuale ben pagato o lavoro sedentario poco pagato.

Siamo un popolo di piangina.
Come dico sempre, Dio maledica il ‘68: partito per cambiare la società, ha devastato la mentalità.
Con la trovata del voto politico, per cui tutti avevano diritto non solo all’istruzione ma anche alla garanzia di riuscita senza impegno, ci siamo abituati a pensare che tutto sia dovuto.
Nello stesso periodo, alcuni furboni si sono inventati la “spesa proletaria”, che consisteva nel prendersi le cose senza pagare, nonchè il diritto al lavoro (inteso come stipendio) così si è formata una mentalità che prevede di fare il cazzo che si vuole e contempla solamente i diritti, per i doveri ci stiamo attrezzando…

Nei cortei di questi giorni, in cui si è ribadito il concetto che chi rompe non paga, si legge su mille striscioni “Diritto all’istruzione gratuita”.
Perchè?
Anzi, no, niente perchè. Ok, mi va bene la richiesta, però ti devi laureare in quattro anni dove il corso di studi a pagamento ne prevede cinque; se non ce la fai, risarcisci tutto, non che passi dieci anni a fare il lavativo a scuola con i soldi delle mie tasse e il bohemienne in giro per locali con la pensione dei nonni.

La mia è una proposta indecente, c’è la stessa controindicazione del posto di lavoro: bisogna avere voglia di studiare.
Invece, per nove contestatori su dieci, dopo cinque o sei anni fuoricorso, una volta conseguita una bella laurea in Lettere e Filosofia o in Scienze Politiche, qualcuno ti deve obbligatoriamente trovare un bel lavoro sedentario da Letterato, Filosofo o Scienziato Politico; se poi di scienziati ce ne sono già troppi, ci si accontenta anche solo di un posto politico.

Ho fatto esempi stantii, me ne rendo conto: oggi tira molto “Scienza della Comunicazione”, in cui anche Valentino Rossi è Dottore; a lui la laurea l’hanno regalata perchè, oltre ad andare a 300 all’ora su una ruota, è bravino davanti ai microfoni.
Sarebbe una gran bella specializzazione, roba che ti spalanca le porte del mondo del lavoro.
Ai primi tre.
Tutti gli altri… “Buongiorno, sono Maria/Mario: come posso esserle utile?”

Gente, per fare un cazzo e, contemporaneamente, un mucchio di soldi, devi essere un fenomeno, un bandito o un politico; noi persone normali dobbiamo lavorare.
Se proprio devo dirla tutta, io per primo non ho conseguito i risultati dei vari Vasile, Silvano e compagnia migrante, anche se sono partito prima di loro.
Perchè sono più scemo? No, perchè sono più lavativo: l’ho già detto, una vita come la loro non mi si addice, come il lutto ad Elettra.
Nel tempo libero voglio salire su un aereo e cambiare aria, voglio andare al mare a pescare, voglio leggere un libro o, nella peggiore delle ipotesi, guardare un documentario su Sky.
E intendo farlo finchè il culo e il cervello me lo consentiranno.

E se va bene a me… buona attività in proprio a tutti.

Dottordivago

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Fino al 2001 non sapevo accendere il computer.
Ne avevo uno in officina ed uno in negozio; il problema era che, in entrambi i luoghi, avevo qualcuno che lo faceva funzionare al mio posto.
Vedermi era uno spettacolo, ero come il burino analfabeta che andava da Totò scrivano e dettava la lettera “Car’ cuggin’ compar’ nepot’…”: non avevo assolutamente la benchè minima idea di come funzionasse, tutto sembrava prodigioso, le dita della segretaria, in officina, o del mio socio, in negozio, mi sembravano quelle di Rubinstein.
Un poveraccio.
Un giorno ho anche domandato: “Quanto cazzo spendiamo, per tutte ‘ste email che mandate, eh?”
Mi hanno spiegato che “per mandare un’email non devi mettere il gettone come nei telefoni pubblici, asino…”
ciuchino

A quel punto mi sono sentito un coglione.
Mi è successo spesso, nella vita, e mi succede ancora ma sempre per cose a cui non posso mettere una pezza.
Con il computer, invece, potevo farcela.

Così ho precettato il mio primo Guru Informatico, mi sono fatto accompagnare da Computer Discount e, fatto l’acquisto, me lo sono fatto installare a casa: Bimbi era ignorante come me, quindi non avrei avuto nessuno a cui far fare le cose, così, nuota o annega, ho iniziato a capirci qualcosina.
Fino al 2007 mi sono limitato ad usarlo come una macchina da scrivere (chiedo scusa ma macchina per scrivere proprio non mi viene…) con cui non era necessario buttare via il foglio se sbagliavi una virgola, con qualche puntatina ‘ngopp’ internette.

Poi ho scoperto i blog.

A novembre 2007 è nato IL PANDA DEVE MORIRE e l’anno dopo ho assimilato il copia/incolla.
Oggi ho scoperto che ci si può personalizzare il blog come un abito di sartoria, solo che non ho idea di cosa siano e a cosa servano tutte quelle opzioni.
Però ho fatto una figata.
Quando Claudiochenecapisceparecchio, il mio attuale Guru Informatico, mi ha piazzato il tutto, nei commenti mi ha battezzato ilpandadevemorire (credo si dica loggato) ma a me non piaceva. Naturalmente non mi sono mai ricordato di chiedergli la modifica quindi da tre anni firmo Dottordivago ogni pirlata che scrivo nei commenti.

Bene, oggi, 16 dicembre 2010, ho scoperto che sì, ce la potevo fare, così mi sono battezzato da solo, con queste manine d’oro e da oggi, nei commenti, risponderò con il mio nome.
Lo so, renderlo noto a quest’ora è un’infamata per tutti i giornali che dovranno rifare le prime pagine e pure per la CNN che sta già spostando sotto casa mia gli inviati da mezzo mondo.
E mi scuso pure con voi, amici miei, che andrete a letto in un tale stato di eccitazione che rischiate di giocarvi la nottata.

Non gliene frega un cazzo a nessuno?
Beh, quando ho letto il mio primo commento firmato Dottordivago, mi rideva anche il buco del culo.
È proprio vero che nella vita basta accontentarsi…
Buona serata, cari.

Dottordivago

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Devo sbrigare una tale quantità di lavoro d’ufficio per cui, francamente, pensavo di non scrivere una riga per un bel po’: ho il diavolo che mi corre dietro, davvero.
Ma un commento di Marco mi stuzzica, è un forcipe che mi spinge a partorire un’orrida creatura quale è un pensiero malato, anche se, come metafora, sarebbe più corretto dire che è un potente lassativo che accompagna all’uscita il gigantesco stronzo costituito dalle rimanenze metabolizzate del mio pensiero politico.

Per chi non leggesse i commenti, propongo l’antefatto.
Parlando di eventuali, futuri governi, ho dichiarato:

Ho votato Radicale e Lega fino al ’94, ho ingrassato il Puttaniere fino al 2006 poi, schifato, ho fatto una puntatina con Veltroni nel 2008 (sì, ci ho creduto per un attimo anch’io…) e Grillo alle Europee 2010.
Continuerò con Grillo e, se si ritirasse, piuttosto che ‘sta banda di merdoni, aspetterò una lista di Alvaro Vitali o di Martufello.
Come sogno nel cassetto, anelo un listone “Aldo, Giovanni e Giacomo”…

Risponde Marco:

Scusa se m’incazzo un filo. Radicali e Lega, insieme a PRI e Forza Italia, hanno avuto anche i miei di voti. E fin qui ci ritroviamo: si tratta di scelte fatte per costruire qualcosa e in favore di un progetto politico.
La classe politica di destra attuale è quella che è, e va bene: basti pensare che lascia spazio a un mentecatto come Bocchino, che all’epoca dei vecchi faceva il bravo peone e, senza l’altro mentecatto, il sig. destramoderna, lì sarebbe rimasto.
Antiberlusconiano si diventa, e va bene.
Ma grillino no.
Se uno è di destra come fa a votare Grillo (che è come dire Di Pietro, cioè “l’ampolla dell’essenza” della merda, del calcolo, dell’insipienza e dell’ignoranza storica e politica)?
Ti seguo ormai da un pezzo, ma questa non riesco a capirla. Proprio non ci arrivo perchè, per quel poco che ho capito, il voto in favore dello “sfascio” (per uno che peraltro sta a poca distanza da quei bastardi che hanno spaccato Roma ieri), mi pare incompatibile con la tua indole, e il voto a Grillo per ragioni politiche mi pare veramente un insulto alla tua intelligenza. Mah.

Bel tipo, il Marcolino, eh?
Ora, che qualcuno possa ancora pensare che esista un Dioqualunque mi stupisce ma mi adeguo, che qualcuno possa credere a Babbo Natale, anche; francamente, che qualcuno si appelli alla mia intelligenza… beh, mi suona strano, anche se gratificante.
Seriamente, capisco la tua perplessità, che poi è anche la mia: quell’uomo è un capobranco per animali che detesto, tipo No Global da Centri Sociali, ed è un Dio per persone che compatisco, tipo i Verdi a tutti i costi. 
Però non sono poche le cose dette da Grillo che mi trovano d’accordo.

In primis, ci prova, nell’opera apparentemente senza speranza di azzerare questa classe politica: mettere i ladri a gestire la cosa pubblica è come legare il cane con la salsiccia e togliere ai pregiudicati (se li hanno già beccati significa che oltre che disonesti sono anche stupidi…) la possibilità di entrare in Parlamento, mi sembra già di partire con il piede giusto.
Impedirgli, poi, di diventare dei leviatani della politica, limitando a due legislature la vita di un candidato, mi sembra meritorio.
Qualcuno sostiene che, così facendo, per mancanza di esperienza non si formerebbe mai una classe politica.

E dici poco?

La classe politica, semplicemente, non deve esistere: il politico deve portare capacità, energia e idee nuove, poi “a casa”, prima di poter consolidare ed incancrenire rapporti d’affari e connivenze.
E se ancora ha qualcosa da dare, può farlo da dietro le quinte, in veste di decano.
Un politico deve essere un limone, come quei calciatori alla Gattuso: vanno spremuti finchè ne esce una goccia, poi via.

Abbiamo tante cose da cambiare e da aggiustare, solo che questa gente non lo farà mai; quindi, prima di cambiare le cose, si deve cambiare la gente.
È la cosa più logica del mondo ma solo Grillo la dice.

Concludo con un discorso di convenienza, anzi, di doppia convenienza, visto che mi conviene rimettermi al lavoro, sennò sono rovinato: la convenienza politica è che, almeno per i primi tempi, Grillo proporrebbe persone oneste, magari solo per la ragione che non hanno mai fatto un cazzo prima.

Con quelli che “hanno costruito una grande azienda prima di scendere in campo”, abbiamo già dato…

Dottordivago

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