Non passiamo una bella notte.
Primo, perchè rientriamo dondolando come ubriachi per la cottura che stiamo accumulando; secondo, perchè tutti questi sbalzi di umore ci stanno leggermente rompendo i coglioni; terzo, perchè trovarsi a circa 2000 km da casa, per fortuna con i soldi in tasca, ma senza auto, bagagli e amici, non è il massimo della vacanza.
E poi c’è il pensiero che possa essere successo qualcosa a quei due: Ginko non sarà il Campione Mondiale di Bonifico Bancario, però non è neppure uno che perde il traghetto se non c’è un motivo più che grave: e quello delle 3.30 era l’ultimo traghetto della giornata, proprio quello che avrebbe dovuto prendere.
Poi, la stanchezza ci prende e ci fionda in un sonno cupo, fitto di risvegli e brutti sogni.
Ci alziamo alle nove, andiamo a cercare il padrone di casa –Teophilo o qualcosa del genere- e gli spieghiamo l’accaduto: l’unica cosa è prendere il primo traghetto e andare a Volos a cercare gli amici.
Lasciamo libero l’appartamento che abbiamo miracolosamente trovato e neppure goduto, paghiamo la notte (per quattro, Dio lo maledica…) e ci avviamo verso il porto con un umore da monatti.
Tento un abbozzo di piano operativo; c’è il rischio che, mentre noi andiamo a Volos, Ginko arrivi con un altro traghetto: non domandatemi perchè, questa vacanza sembra gestita da Mr. Murphy in persona, quindi una sfiga ulteriore è una possibilità più che concreta; questa situazione me la devo ricordare quando dico peste e corna dei cellulari: in quel momento avremmo dato due reni per due Nokia da 20 euro ma non esistono ancora nè cellulari nè euri…
Guardo Bimbi: “E se tu aspettassi qui per vedere se arrivano? Teniamo come riferimento il ristorante –col cui proprietario sono già fratello di sangue…- e relativo telefono; puoi controllare gli arrivi seduta al ristorante e, appena scopro qualcosa, ti telefono e ti dico se li ho trovati ed arriviamo o se devi salire su un traghetto e raggiungermi…”
“Scordatelo. In questo posto di merda non ci sto più neanche un minuto”
Poco logico ma comprensibile: “Ok, facciamo i biglietti e partiamo…”
Siamo al porto; mentre passiamo davanti al ristorante butto l’occhio per salutare il mio nuovo e perduto amico ristoratore, quando sento Bimbi che fa: “Ma quella, non è la tua macchina?”
Mi giro e a venti metri da noi c’è la mia macchina con Ginko e Ginka semidormienti: l’ha parcheggiata proprio in mezzo al passaggio obbligato, autisti e camperisti smadonnano per le manovre che devono fare.
Ma in quel posto io sarei stato obbligato a vederlo o lui a vedere me, caso mai fosse stato sveglio…
Gente, non ho mai abbracciato nessuno così: Ginko è di sana e robusta costituzione ma a Ginka faccio scricchiolare le ossa.
Tutto questo dura dieci secondi, poi caccio uno strillo che sulle altre isole la gente si è fermata di botto, domandandosi cosa sia successo.
“Porca troia!… La casa!!!”
”Che casa?” fa Ginko
”Monta in macchina e seguimi cento metri, poi ti spiego!”
Arrivo davanti al negozio/ufficio di Teophilo in dieci netti, giusto in tempo per vedergli stringere la mano di un capofamiglia che ha appena concluso l’affare e si è beccato il MIO appartamento.
Mi vede, poi vede Bimbi con altri due e capisce l’antifona: allarga le braccia sconsolato indicando la famigliola con lo sguardo.
Pazienza: gli stringo la mano raccomandandogli di fare il possibile per trovarci un buco e andiamo a fare colazione.
Va già meglio: siamo tutti riuniti intorno a un tavolo ed il problema casa lo risolveremo, anche se non sembra una cosa facile; alla mala parata, ci spostiamo “in continente” e qualcosa troviamo.
Cosa è successo?
I Ginki hanno preso il traghetto come da programma e sono arrivati alle quattro, dieci minuti dopo che noi ce ne eravamo andati, dopo aver avuto la conferma, da due merdosissimi coglioni, che per quella notte i giochi erano fatti.
Gli racconto il “miracolo” sfumato dell’appartamento e, a quel punto, la domanda è: “Cosa si fa?”
Mi viene un flash: “Gli Emigranti!”
Ginko. “Va bene che siamo messi male e che noi ci siamo fatti due notti in bianco… ma addirittura cambiare stato…”
”Ma no… gli Emigranti… i Molisani/Svizzeri!…”
Ginko non mi segue, non conosce i fatti.
”Voi state qui. Io vado a cercare gli Emigranti”
Parto a razzo e, botta di culo, li trovo davanti all’Hotel Aphrodite, in procinto di partire per la spiaggia.
La vera, clamorosa botta di culo è che se ne vanno il giorno dopo –in anticipo sul previsto– con altre due coppie, per un motivo di forza maggiore di uno dei loro amici e lasciano libere tre stanze; la cosa ancora più bella è che non l’hanno ancora detto al proprietario dell’albergo, visto che fino a pochi minuti prima non avevano la certezza assoluta della partenza!
Parliamo col boss e spieghiamo che loro se ne vanno ma subentriamo noi, quindi lui non ci perde e gli emigranti si risparmiano discussioni; per gli arrivi della settimana prossima non c’è problema: il boss dice che ci mette una pezza lui.
Abbiamo due camere d’albergo!
Problema: gli emigranti se ne vanno il giorno dopo, quindi ci toccherà aggiustarci per la notte.
Bimbi ed io ci siamo beccati una notte in macchina ed una un po’ sul muretto del porto e un po’ in camera da Teophilo, oltre ad aver fatto un paio di docce; i Ginki sono reduci da due notti in macchina ed hanno ancora addosso i vestiti con cui sono partiti da Lubjiana: il problema “ascelle” si può risolvere con un tuffo nel greco mare ma la prospettiva della terza notte di fila nelle stesse condizioni non li entusiasma.
Così lasciamo le donne sulla fetentissima spiaggia davanti all’albergo –in linea d’aria è a 500 metri dal porto ed è una vera schifezza, a differenza di tutte le altre spiagge dell’isola- e noi uomini partiamo alla ricerca di un tetto per una notte, anche se so già che l’unico sistema è quello di dare un sacco di botte ad un poliziotto, sperando che ci arresti tutti per una notte…
Infatti non troviamo un cazzo, pur fermandoci in ogni casetta sperduta della costa e dell’entroterra.
Ma abbiamo l’appoggio logistico dell’albergo, quindi servizi e deposito bagagli garantiti ed io, dopo una doccia e con la prospettiva di un buon ristorante, posso sbattermene le balle dell’arrivo di un asteroide che minaccia di cancellare la vita sul pianeta, figuriamoci una notte in spiaggia…
Dopo cena, Bimbi ed io ci accampiamo sulla spiaggia fetente per non perdere di vista l’albergo: non si sa mai, il boss ha un’aria levantina, se non proprio viscida…
Il Corpo di Guardia è rinforzato dai Ginki, che dormiranno in macchina per la terza notte consecutiva, parcheggiati davanti all’ingresso.
E bene che facciamo.
Verso le sei ci svegliamo, anzi, mi sveglia l’unica bestemmia che, in tutta la vita, è uscita dalla bocca di Bimbi, provata dall’avventura in generale e da un fatto contingente: nella notte il vento le dava fastidio, così si è avvolta la testa “a mummia” con un pareo che adesso sembra messo giù col Bostik.
Lei tira come una disperata ma quello non si smuove di un millimetro, incastrato tra naso, orecchie e mento; intervengo io –che posso vedere quello che faccio- e la libero in un attimo.
Con quel roboante bestemmione nelle orecchie, mi guardo la mia Bimbi: forse è proprio quello il momento in cui decido che, prima o poi, la sposerò.
Mentre mi stiracchio vedo il proprietario dell’albergo che parla con alcuni turisti; appena capisce che lo sto guardando, cambia espressione, si tradisce, il bastardo: è chiaro che sta cercando di piazzare le nostre camere ad un gruppo di napoletani, a tariffa da sciacallaggio, suppongo.
I Ginki sono fuori gioco, la simbiosi con i sedili della mia macchina gli ha conferito una forma strana, sembrano due burattini spezzati che dormono…
In quel momento, gli Emigranti iniziano a scendere con i bagagli ed io non faccio una piega: ho la faccia come il culo sì o no?
Sì, certo, e allora usiamola: entro in albergo, prendo due delle nostre valige e seguo gli amici elvetico/molisani fino su, dove deposito una valigia per ognuna delle due camere che ci spettano, aggirandomi tra letti sfatti e gente che gira in mutande.
”Nessun problema, fate come se non ci fossi…”
Poi scendo e rifaccio il giro, poi un altro.
Dopodichè raggiungo il proprietario e lo metto davanti al fatto compiuto: “Se vuoi mettermelo nel culo, sappi che per buttarmi fuori ci vogliono i lacrimogeni, sempre che non chiami io la polizia…”.
Il proprietario vede sfumare l’infamata ma non batte ciglio, dice che è tutto ok, non c’è di che preoccuparsi ma l’unico napoletano del gruppo che parla inglese cambia faccia, gira i tacchi e va a informare il gruppo: mi spiace ragazzi, vi capisco, ci avrei provato pure io; poi prendo a braccetto il boss e vado a compilare la documentazione per formalizzare la faccenda.
Ci tocca aspettare fino alle dieci, quando le stanze ci vengono consegnate ufficialmente, così possiamo ammirare l’opera di Apostolìa, la governante ventenne e obesa che con un secchiello d’acqua sbriga tutto l’albergo: la prima stanza si becca l’acqua pulita, l’ultima la melma.
Domani metteremo a posto anche questa…
Adesso lasciatemi iniziare ‘sta cazzo di vacanza.
Dottordivago