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Archive for marzo 2008

Caro Pinetz, stavo seguendo da osservatore esterno il tuo garbato e laconico scambio di battute con la mia amica Elena, un po’ come farebbe il curato che controlla che i maschietti del coro non mettano le mani sotto alla gonna delle femminucce.
Non mi sarei intromesso se tu non fossi uscito con l’infelice "non fare battute".
Ma hai presente che testa di cazzo sono?
Dirmi "non fare battute" è un po’ come dire
– ad un neonato "non pisciarti addosso"
– ad un bambino di sei anni in un prato "non correre"
– ad un figlio adolescente "non rompere i coglioni"
– al Silvio e al Walter "non raccontate balle in tv" 
– alla buonanima di Moana Pozzi "non toccare quei cazzi" 

Oppure è come dire "non pungere" ad uno scorpione.

C’era uno scorpione che fuggiva nella foresta in fiamme, e correva, e correva, finchè si trovò la strada bloccata da uno stagno; pensò:"Se salto nell’acqua non brucerò, ma annegherò certamente". Mentre pensava vide una rana nell’acqua e cominciò a gridare:"Ehi, vieni qui, aiutami! Fammi salire sulla tua schiena e portami in salvo dall’altra parte, ti prego!".
La rana, che era un’anima candida, gli rispose:"Io ti aiuterei, ma chi mi dice che, mentre ti sto salvando, tu non mi punga?"
Lo scorpione le fece notare che lui non sapeva nuotare e che, se l’avesse punta, lei sarebbe morta ma lui sarebbe annegato, quindi…
La rana si lasciò convincere e se lo caricò sulla schiena. Quando furono in mezzo allo stagno lo scorpione cominciò a desiderare di pungere quella schiena morbida e cicciosa ma strinse i denti e si trattenne.
Ma solo per poco: la forza di volontà non fu sufficiente e così conficcò il suo pungiglione mortale nella schiena della rana che cominciò a tremare negli spasmi dell’agonia, facendo cadere in acqua l’ingrato passeggero. Con le ultime forze guardò lo scorpione e disse:"Perchè …mi hai …ucciso? …Ora morirai… anche tu".
Con il poco fiato che gli restava lo scorpione già mezzo annegato le rispose:"Lo so… è che sono fatto così…"

Ora mi sta giusto venendo voglia di inventare una perfida bugia e raccontare a chidicoio che fai il cascamorto in rete ammansendo caramelle virtuali alle sconosciute e per di più sul mio blog, obbligando i miei occhi innocenti ad assistere a tutto questo sconcio.
Questo è un blog serio, non è mica una confortevole Citroen DS nel parcheggio di una discoteca, nei primissimi anni ottanta,  dentro cui finivano, con la fresca conquista, tutti quelli che  broccolavano in sala.
Non voglio mica ritrovarmi come il padrone di quel lupanare a quattro ruote, a ripulire e a smadonnare "cazzo, i sedili in pelle…porca troia!" 

Pensandoci bene, credo che non farò nè battute nè scherzetti perfidi: forse non ti abbiamo mai ringraziato abbastanza…

Dottordivago

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Bon, col titolo siamo a posto.
Vediamo i fatti, che sono una vera perla.
Ieri sera il TG1 ha aperto così: “Una vera e propria minaccia planetaria incombe sulla terra…”
Ora, io che ho visto ottantadue volte Deep Impact -eh, lo so che è una minchiata, ma la scena delle onde vale il biglietto- ho fatto uno zompo sulla sedia -no, dico, ‘na grama volta che mi metto a tavola ad un’ora da cristiani…- pensando subito all’asteroide fatale.
Zittisco Bimbi ed alzo il volume “…dalla banchisa antartica si è staccato un iceberg grosso il doppio dell’Isola d’Elba…”
Ed io, terrorizzato ho subito pensato a quell’altra iper minchiata ammericana in cui si congela mezzo pianeta in tre giorni e, unica cosa bella del film, dagli Stati Uniti tutti scappavano in Messico, invertendo il flusso ortodosso di clandestini.
“…minaccia di spostarsi per gli oceani di tutto il pianeta…” ed io tremavo per la sorte di migliaia di Titanic, con annesse migliaia di gnocche burrose come Kate Winslet costrette a battere i denti tutta la notte guardando il loro bello che tira gli ultimi.
“…e finirà per sciogliersi ma questa è la prova del surriscaldamento globale che bla bla bla…”
Ma vadavialculo…
Seconda notizia -giuro: quella era la prima e questa la seconda- “Allarme mozzarella di bufala. Il Giappone ha deciso di sospendere l’importazione di mozzarella di bufala campana…danni per trenta milioni di euro…”.
Ma porca puttana, la Campania ci costa trenta fantastiliardi di euro al minuto per i rifiuti e questi si preoccupano della mozzarella!
Come uno con l’AIDS che s’è beccato l’ebola e si preoccupa per una fastidiosa congiuntivite…

E veniamo al titolo: cui prodest? A chi giova tutto ciò?
Abbiamo Alitalia, la sanità allo sfascio, le poste e le ferrovie che sono in mezzo ad una strada, siamo la palla al piede dell’Europa e la barzelletta del mondo e tra due settimane si va a votare: e mi aprono il TG1 in quel modo?
O questi si sono completamente rincoglioniti o qualcuno ha interesse che si parli d’altro.
Cui prodest?
Io non lo so e non lo voglio sapere. E col cazzo che vado a votare. Cosa c’entra?
C’entra, c’entra…
O forse no, ma non sarò loro complice comunque.

Dottordivago

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 bandiera-tibetana cina
La frase finale del post precedente era :” e domani ne pettiniamo qualcun altro”. Ed era una settimana fa.
Fatevi un appunto: mai fidarsi del Dottordivago, noto omm’i’mmerd’.
Allora, chiudiamo questa trilogia con giusto ancora due pirlate sull’argomento “di cosa parlano i politici in campagna elettorale”.
Abbiamo visto Napoli e ‘a munnezza, Alitalia e Malpensa.
Lasciamo perdere l’aborto perchè è un argomento che non mi diverte e lo lascio alla coscienza di ognuno; da parte mia dirò che considerare essere umano cento grammi -o meno- di embrione è come ritenere politici eleggibili Berlusconi, Casini, Ferrara, Veltroni e tutti gli altri: se uno se la sente, faccia pure.

Con tanti argomenti desaparecidos nei bla bla elettorali quali l’energia e l’ecologia -capisco che sono aspetti estremamente marginali in una società moderna ma, magari, due parole… eh?- ce n’è un altro  che viene fuori ogni tre parole e che mi intriga un bel po’: la Cina. 
Giuro che ho sentito un politico (e non mi ricordo chi, mannaggia a ‘a capa mia…) affermare “Noi non stiamo con gli industriali che portano la produzione in Cina, paese che non rispetta la libertà dell’individuo e dei popoli”.
Ma… stiamo parlando della stessa cosa?
No, perchè la Cina che conosco io è un posto dove tutti quelli che producono qualcosa vorrebbero andare di corsa, se ne avessero la possibilità o gli agganci; quindi, salvo cercare il voto dei dipendenti pubblici, mi sembra un’affermazione suicida, sia dal punto di vista politico che logico.
E siccome i nostri politici, come ho già detto, riescono sempre a dare nuovi significati all’accezione “faccia di merda”, molto probabilmente, in altra sede, lo stesso politico avrà affermato che “un grande paese come la Cina, che coniuga tradizioni millenarie e tecnologie futuristiche…”; salvo dichiarare a mezza bocca, in altra occasione, che da lì arriva solo la peggio schifezza.
Per la Cina vale tutto e il contrario di tutto, va bene per tutte le occasioni.
Io sarò un Bastian Contrario ma non sono incazzato coi cinesi quanto lo è la maggior parte della gente che conosco o almeno non lo sono per gli stessi motivi.
Di sicuro non stanno facendo un figurone in Tibet, ma sono, nè più nè meno, le stesse cose che tutti gli imperi comunisti hanno fatto per cinquantanni, quindi non mi fa incazzare particolarmente, non più che negli ultimi trentanni.
dalailamaE volendo diventare il campione del mondo di impopolarità vi confesserò che quando sento parlare del Dalay Lama come di “una delle persone più importanti del mondo” (l’ha scritto anche Grillo sul Blog dei Blog) mi viene un po’ da ridere.
Per carità, deve essere una persona meravigliosa, con cui mi piacerebbe  sicuramente fare due chiacchiere, ma tutta ‘sta grandezza io non la vedo come non la vedo in nessun leader spirituale, dal Papa in poi. 
Certo è che, a differenza di altri venditori di fumo, questo non ha mai detto una mezza parola storta nei confronti di chicchessia ed ha un’aria proprio simpatica, ma gli do il peso che merita uno che sostiene di essere la quattordicesima -o quindicesima, non ricordo- reincarnazione di un superfenomeno vissuto intorno al sedicesimo secolo… Ecco, è già una di quelle cose che, a mio avviso, tolgono un po’ di credibilità: persino Berlusconi le spara meno grosse.
E’ comunque il rappresentante di un popolo oppresso e merita tutto l’appoggio possibile, quanto meno per aiutare la sua gente, visto che lui la prende già abbastanza bene… 
pechino2008
E questo ci porta alla voce “Olimpiadi”, altro argomento ormai quotidiano dei politici nostri e altrui, che sostengono essere un fenomeno puramente sportivo. George Dabliu ha detto che non si perderebbe l’inaugurazione per niente al mondo, mentre Sarkò ci sta pensando, ma senza sfiorare nemmeno la parola boicottaggio, visto che, appunto, di vicende sportive si tratta.
Ma… parliamo della stessa cosa?
No, perchè le Olimpiadi che conoscevo io erano il momento di maggior comunione di tutti i paesi del mondo; un tempo si sospendevano le guerre e pochi anni fa tutto l’Occidente ha boicottato quelle di Mosca per protestare contro l’invasione dell’Afghanistan, salvo vedersi restituire il favore dal blocco sovietico quattro anni dopo.
Eh, bello mio, è comoda fare i difensori dei deboli e degli alti princìpi quando non c’è una lira di mezzo: a quei tempi gli scambi commerciali da ovest ad est erano limitati ad articoli di lusso per pochi dirigenti di partito, mentre da est ad ovest viaggiava caviale e un po’ di gnocca.
Fai incazzare i cinesi adesso, se c’hai il coraggio…

Dottordivago

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Stavamo dicendo Alitalia e Malpensa.
Sento tanto parlare di salvare le professionalità di Alitalia, le rotte, i servizi, l’immagine della nostra compagnia di bandiera.
Ma… parliamo della stessa cosa?
No, perchè l’Alitalia che conosco io fa veramente cagare.
Li senti parlare, i nostri politici, e snocciolare dati e ti fai l’idea che Alitalia, nei settori specifici (manutenzione, incidentalità ecc. ecc.), è a livelli d’eccellenza: come mai la somma di tante virtù  dà come risultato una compagnia che, repetita iuvant, fa cagare?
Vogliamo parlare degli aspetti più evidenti, tipo le cameriere volanti che sembrano tutte nobildonne che servono il pranzo di Natale ai senzatetto? O dei loro colleghi uomini, per la maggior parte burini che si credono dandy? O che non esista una destinazione, salvo convenzioni per amici e figli di, che non sia tre volte più conveniente con altre compagnie? O che quando arrivo in aeroporto, io, che non voglio vedere Alitalia da dieci anni, parto regolarmente e vedo quasi sempre qualche cliente della nostra compagnia di bandiera che resta a terra per lo sciopero degli addetti ai rifornimenti o dei piloti o degli uomini radar o dei loro cugini che, anche se fanno un altro lavoro, non si parte lo stesso.
L’ultima volta che ho volato con ‘sti stronzi è stato dieci anni fa; per fortuna andavamo solo in Turchia perchè, se il viaggio fosse stato più lungo, avremmo subìto danni permanenti all’udito e all’apparato osteo-articolare: giuro che c’era un rumore da non potersi parlare ed eravamo seduti in posti tipo sedile posteriore di una Porsche -non chiedetemi che aereo fosse: non ne ho mai più trovati, forse è un modello specifico realizzato per l’Amatriciana Airlines-. Abbiamo però goduto delle particolari attenzioni di un cameriere volante che ci ha ribadito la propria solidarietà e, smanioso di offrirci un servizio extra, ci ha venduto tre schede telefoniche “specifiche per la Turchia”.
Se ci avesse venduto Boninsegna, Pizzaballa e Frustalupi  (raccolta Panini 72/73)  forse qualche speranza di telefonare l’avremmo avuta: quelle altre erano finte!
In compenso ci hanno regalato un giorno di vacanza in più, visto che al ritorno, per problemi di overbooking, hanno imbarcato solo quattro di noi (ed eravamo in otto).
Avete presente quando si dice “farci una croce sopra”? E’ stata una delle poche promesse che ho mantenuto nella mia vita.

Ocio che adesso viene il bello: avete sentito come parlano di Malpensa?
Scalo strategico, punto nevralgico, porta del mondo, risorsa nazionale; Malpensa 2000: la Gardaland del viaggiatore.
Ma… parliamo della stessa cosa?
No, perchè io, con quel nome lì, conosco un aeroporto veramente da radere al suolo con metà dei dipendenti dentro, così diamo una sfoltita al settore “ladri di bagagli”. 
Unica nota positiva il Travel Parking, che non c’entra con l’aeroporto e, forse per quello, fornisce un servizio coi fiocchi al prezzo giusto; superato lo scoglio di quel nano pelato di merda che tutte le volte finge di dimenticarsi il resto, tutto funziona e ti scodellano alle partenze, rapidi ed efficienti.
E’ quando vedi i terminal, che hai voglia di tornare a casa.
O di espatriare e non tornare più.
Ma avete mai visto un posto più brutto? Io no; ho passato tre anni della mia vita in tutti gli aeroporti del mondo, ho visto terminal con cascate e fontane ed altri in cui il banco del
check in era un tavolino del Pernod, ma un posto così brutto non lo ricordo proprio.
Il terminal 2, poi, è una perla: non so se sono sfigato io, ma tutte le volte che atterro mi tocca fare due piani di scale che in confronto quelle del mio condominio sembrano quelle di un musical di Busby Berkeley.
Dieci giorni fa sono andato lì a recuperare i miei suoceri di ritorno dal “letargo” brasiliano; orario di arrivo le 19. Seguo tutto il giorno il volo su internet che mi dà come arrivo previsto le 20,05. Perfetto: il tempo di imbarcare Bimbi in uscita dal lavoro e partire.
A parte il fatto che, se non voglio attraversare venti paesi devo fare un tragitto che ricorda una chiave di SOL o di violino, alle 20 in punto sono al terminal 2, dove il monitor mi conferma l’arrivo previsto per le 20,05 e ne è così convinto che insiste fino alle 21,30, quando mi rompo le palle ed andiamo a mangiare qualcosa.
A Gallarate.
Salvo accontentarsi di un Buondì del ’96 -peraltro annata strepitosa per le brioches…- del distributore automatico.
Sì, perchè agli arrivi del terminal 2 di Malpensa non c’è, ma che dico, un ristorante,  ma manco un bar; e ci saranno state duecento persone ad aspettare i voli, roba da guadagnare la giornata lavorando due ore.
Torno alle 22,05 e l’arrivo è sempre previsto per le 20,05; temo per un attimo che si tratti delle 20,05 dell’indomani quando compare la scritta “22,10 – atterrato” quasi come a dirmi “visto che bravi?”.
Dio vi maledica.

E domani ne pettiniamo qualcun altro…

Dottordivago
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La campagna elettorale è una cosa meravigliosa.
L’ipocrisia e la falsità assurgono a vette normalmente inarrivabili e diventano arte, che vale la pena salvare.
Quella del 2006 era noiosa e monocorde quanto l’attuale è scoppiettante e variegata, non ha un tema dominante ma rimbalza da uno schieramento all’altro spaziando per tutti i campi dello scibile umano.
Ci sono, però, alcuni “cavalli di battaglia” che tutti cavalcano a briglia sciolta ma che mi lasciano perplesso al punto di domandarmi se stiamo parlando la stessa lingua.
Nessuno può esimersi dal portare la propria solidarietà al popolo napoletano, inquinato, intossicato, sommerso di veleni e vittima, vittima assolutamente incolpevole dei cattivi politici e dei perfidi industriali del nord che hanno portato i loro carichi di morte “nei posti più belli del mondo”.
Ma… parliamo della stessa cosa?
No, perchè la Napoli che conosco io sarà, sì, pittoresca ma è da mò che le bellezze se le sono giocate e non per colpe unicamente altrui. Tuttaltro.
Così come JFK non si chiedeva cosa poteva fare il proprio paese per lui, ma cosa poteva fare lui per il proprio paese, i napoletani -e, per estensione, i campani ed i meridionali in genere- dovrebbero domandarsi, oltre a ciò che la politica fa contro di loro, che classe politica possa uscire da una società che vive nella perenne illegalità.
Se nasci in Germania ed a tre anni parli già tedesco, non sei un genio, sei semplicemente tedesco.
Se nasci in un posto in cui nessuno rispetta una legge che è una, dove non vedi un motociclista col casco, un automobilista con la cintura, dove non si paga il canone Rai (peraltro giustissimo, ma mi serviva un esempio…), dove ci si attacca abusivamente a luce, acqua e gas, dove tutto è abusivo, dalle attività agli edifici, dove il “nero” rappresenta i tre quarti del prodotto, dove niente di pubblico funziona -e le colpe del “pubblico” sono la somma delle colpe private- come fai a sviluppare una coscienza civica?
E’ un po’ la storia dell’uovo e della gallina: é la politica che rovina la società o viceversa?
Non so come funziona in Campania, ma so che nelle nostre campagne i contadini sanno quanti fili d’erba ci sono nei loro prati: se gli zanzi due patate, il giorno dopo vedrai il ‘gricolo che tappa il buco smadonnando come un carrettiere; ognuno sa quanti trattamenti o concimature fa il vicino e pure il lontano; vedono una potatura malfatta su una pianta a cento metri. 
Alla seconda volta che gli passi davanti a casa, ti hanno già preso la targa, alla terza volta si piazzano sulla porta e ti guardano con l’aria “qui non ci piacciono i forestieri”.
Credetemi, sono cresciuto in campagna: non gli sfugge niente.
In Campania no, il contadino non vede niente.
Dalla sera alla mattina gli sotterrano una cisterna con il camion attaccato -e chissà quale schifezza dentro- e lui niente.
Gli mollano in un prato migliaia di bidoni -per cui sono state necessarie decine di viaggi- e lui se ne accorge dopo Striscia la Notizia e comincia a spiegarsi tutte quelle pecore che nascono con due teste e arti dispari.
Ci vuole un po’ ma, una volta che se ne accorge, il contadino campano non lo ferma più nessuno; se poi tira aria di risarcimenti per la bonifica, si scatena. E porta le telecamere a testimoniare che i suoi ortaggi crescono vicino alla Cernobyl de noiartri e si dice preoccupato per chi se li mangerà.
Oddio, piuttosto che preoccuparsi sarebbe meglio non raccoglierli proprio, in attesa che le istituzioni provvedano a distruggerli. Ma tutto questo in un paese civile.
Lo so, sembro Calderoli e non mi piace. Giuro che dovendo scegliere se vivere a Bergamo o a Napoli non avrei dubbi: sole, pizza e ammore. E gente più simpatica. 
Ma mi resta il dubbio: io ed i politici parliamo della stessa cosa?

Altro tormentone da campagna elettorale: Alitalia e Malpensa.
Ma li teniamo al caldo per domani.

Dottordivago
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Da qualche tempo su questo blog si aggira un pirla che mi scombina l’impaginazione.
Non chiedetemi come fa: il mio guru informatico Claudio Chenecapisceparecchio ha provato a spiegarmi qualcosa, ma alla seconda parola tecnico-informatica nel mio cervello si alza una barriera dietro cui Paperoga e Ciccio di Nonna Papera suonano l’ukulele.
So solo che si scombina l’impaginazione e la barra laterale precipita sul fondopagina come quando, nel mondo reale, cade un quadro.
E’ sufficiente cancellare il commento incriminato -che poi non è un commento ma qualcosa tipo un link, e morire se so cosa significa…- che lo smerdo svanisce e torna il sereno.

Se all’ascolto c’è qualcuno che, come nei film, è capace di rintracciare Mr. Simpatia, me lo faccia sapere.
Purtroppo lo scoglio che mi blocca è la parte informatica:
per  l’aspetto materiale se ne possono occupare un paio di amici moldavi.

Dottordivago
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Votatevelivoi.

Chi, al 13 aprile, volesse fare qualcosa di veramente costruttivo può gettare il certificato elettorale nei cassonetti della carta.
Non gettatelo nell’indifferenziato, che produce spazzatura.
Non bruciatelo, che produce CO2.
Non usatelo per votare, che produce politici tossico-nocivi.
Sì, lo so, raccontatemi quello che volete: che quello del voto è un diritto/dovere, che così facendo blablabla, che se tutti blablabla.

M’ pass’ manc’ pu’u cazz’. Votateveli voi.

Avevo già avuto modo di spiegare che, nella nostra precedente situazione politica, l’alternativa di voto tra i  due schieramenti Prodi/Berlusconi era come l’alternativa posta al naufrago che approda ad un’isola in cui gli unici due cibi disponibili sono vomito e merda di pipistrello. Qualunque sia la scelta fatta, sono due alimenti con cui si campa poco, e quel poco non è un bel vivere.
Oggi hanno ristampato il menu, ma la dispensa sempre quella è: si possono degustare anche unghie di pipistrello, croste di pipistrello e, per dessert, secrezioni di pipistrello.
Servitevi pure: io preferisco morire di fame. 

E dire che ero così contento di votare nel ’94…
Speravo ancora che Tangentopoli avesse un seguito e, contemporaneamente, il Berlusca costituiva “il nuovo che avanza” nonchè una ventata di imprenditorialità e di innegabile simpatia personale, che ancora oggi provo pur ritenendolo politicamente ripugnante.
In più stava con la Lega che, pur avendo dimostrato di essere corruttibile come gli altri, parlava comunque in favore del Nord, dell’impresa ecc. ecc.
Ecco, AN mi convinceva meno; vedevo ancora troppa gente pronta ad alzare il braccino, ed è una cosa che mi disturba quanto falce e martello, ma numericamente era poco significativa e, se proprio devo scegliere tra le dittature preferisco quelle di destra: durano meno.
E dagli il voto al Berlusca.
Che dopo due anni va a ramengo con mio grande disappunto e grandissimo dispiacere del mio amico Giorgio che, per pochi mesi, non matura la pensione minima da senatore.
Ah, gli ideali… 
Dico:”Poverino, non lo lasciano governare” e lo rivoto.
Non Giorgio: il Berlusca.
Vince Prodi.
Dopo due anni Baffinodalema lo tromba e, mentre Scalfaro fa il palo, rifà il governo con il voto di Cossiga e Diliberto: quando si dice “affinità elettive”. 
Lo rivoto nel 2001, il Berlusca, turandomi non solo il naso ma anche le orecchie -comincio a stufarmi di ciò che dice- e pure gli occhi -sono cominciati trapianti e lifting-.
Non parlatemi di quei cinque anni: sono anche colpa mia, lo so.
Arriva il 2006 ed io sono pronto al grande voltafaccia: Silviuccio… guarda che bel votino… guarda che bello…
Toh! Col cazzo che te lo do!
Sono pronto a tutto: voterei “di là” anche se la sinistra avesse come candidato premier Stalin, Beria o la buonanima di Pol Pot.
E mi presentano Prodi.
Vedo quella faccia e penso a boiardi di stato, megapresidenti per diritto divino, megadirigenti per diritto di nascita, megaladri che non si devono neppure sudare il voto una volta ogni tanto: essi esistono, essi sono, come il tempo e i pilastri dell’universo.

Sapete come si contano i punti a scopa? Scope, settebello, ori,ecc.ecc. Per la primiera è un po’ un casino: in caso di parità, a seconda delle regioni, si contano gli assi, i sei, i tre…
In caso di ulteriore parità vince chi ha il tatuaggio più bello o la moglie più gnocca.
Piuttosto che non votare o fare anghingò tre civette sul comò, io ho fatto la stessa cosa: Silvio e Romano per me pari sono, idem gli schieramenti, quindi ho contato gli assi, i sei, i tre e sono arrivato al due da picche, appannaggio del Berlusca.
Volete sapere qual è? Ve lo confesserò: ho pensato che con Prodi avremmo sentito rantolare e ronfare per cinque anni; col Berlusca, almeno, qualche barzelletta ogni tanto ci scappava.
Mi sono sentito molto “Jessica Rabbit”, che sta con Roger perchè la fa ridere. 
Ha rivinto Prodi, per modo di dire.
Ma si è attaccato a quei pochi voti di differenza per rifiutare un governo di salvezza nazionale, rifiuto fotocopiato dal Berlusca quando “Gano di Magonza Mastella” ha tradito “Rolando Prodi”.
Per quindici giorni ho persino sperato in Veltroni -tu pensa la disperazione cosa ti fa fare…- poi ho visto, anzichè proporre tecnici coi controcazzi, candidare operai sopravvissuti e precari, che vanno tanto di moda e portano qualche voto, ma ne capiscono quanto me: si è scordato un “pensionato che non arriva a fine mese”, ma provvederà quanto prima.
Arridatece Bettino! Anche se andrei a piedi in Tunisia per cagare sulla sua tomba, devo riconoscere che è l’ultimo governante che abbiamo avuto.

Morale?
A questi non gliene frega un cazzo dell’Italia e degli Italiani: vogliono i voti ed il potere. E basta.
No, non lo scopro adesso.
Vorrei che lo scopriste voi.

Dottordivago
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Intermezzo. E due…

Come al solito “E due..” significa che più sotto c’è  “Intermezzo” da leggere tassativamente; non perchè “sennò non sapete cosa vi perdete”: perchè, più semplicemente, non capireste una fava.

Eravamo rimasti alla cinica frase “quando qualcuno si fa male è quasi sempre colpa sua”.
Brutto da dire, ma quanto di più vicino alla verità esista, parlando di morti sul lavoro.
Ho già fatto un paio di esempi ma vorrei essere più chiaro del sole, quindi ne faccio qualcun altro.
Abbiamo appurato che sono un cretino? Sì, almeno cento volte. Ma, nel caso persistessero dei dubbi, vi confesserò che non ho mai posseduto un paio di scarpe anti infortunistiche; vabbè che in cantiere non ci vivo: arrivo con le mie belle scarpette della festa, faccio due parole con chi di dovere, se serve faccio due misure e morta lì.
Ma rischio, pur sapendo che chi di mestiere fa il muratore ha un solo, unico hobby: spargere per il cantiere centinaia di assi irte di chiodi come il collare del mastino nemico di Silvestro.
Quindi, sono più stupidi loro che seminano trappole come i vietcong -ma girano con le scarpe giuste- o sono più stupido io che riconosco il pericolo ma giro il cantiere con le Merrel?
Va là che è una bella lotta…
E quante volte mi capita di salire in piedi sul davanzale di una finestra per misurarla? E quante volte il cretino del sottoscritto -che non sa cosa significhi soffrire di vertigini- se la ride mentre la padrona di casa supplica “Oh mama-stia-attento-che-sto- male-io-per-lei “?
C’è da dire che mi muovo bene.
Cazzo c’è da ridere? Non parlo di una sfilata di moda o roba tipo Momix: mi muovo bene quando il gioco si fa duro.
Poche regole semplici: muovere sempre e solo un arto per volta -il che significa averne tre in presa- e mai, mai distrarsi.
Con la teoria ci siamo ma bisogna ricordarsi che si può cadere anche solo per essersi asciugato il sudore con una mano mentre l’altra impugna un trapano o perchè all’improvviso ti vola in faccia un piccione o per ammazzare una zanzara sul collo.
Capiterà a me un giorno?
Chi lo sa, mi sento un po’ come un fumatore che sa cosa rischia ma pensa che tocchi solo agli altri, come le corna e le altre sfighe.
E poi è più forte di me: se si tratta di lavoro normale lo faccio fare agli altri, se c’è un pizzico di rischio mi piace far vedere quanto sono cazzuto… No, non è vero, lo faccio io perchè mi fido più di me stesso che di chiunque altro.
E sono certo che se un giorno, per una ragione qualsiasi, cadessi da una finestra e ci restassi secco, tornerei a popolare di incubi il sonno del primo politico, giornalista o sindacalista che dovesse definirmi ” un disperato che ha perso la vita per pochi spiccioli”:
primo perchè disperata sarà sua sorella che non la tromba nessuno, secondo perchè per pochi spiccioli si muoverà sua mamma su un marciapiede, terzo perchè quasi certamente sarà stato per colpa mia e come mi gireranno i coglioni, ragazzi…

Dottordivago

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Intermezzo.

Mi accingevo a scrivere “Gliel’ha detto il dottore? E tre…” quando sento il servizio sulla tragedia del giorno: quattro morti per pulire un’autocisterna che trasportava zolfo o zozzerie generiche.
Avrei preferito scrivere le solite quattro pirlate sui Panda e i Pandismi ma questa notizia mi rende poco incline alle mie incazzature semiserie, anche se le solite reazioni a questo ennesimo dramma sono veramente significative su quanto ci stiamo Pandizzando.
Quindi possiamo imbastirci su quattro chiacchiere, ma cambiando il titolo: a quei poveracci, che nel frattempo sono diventati cinque, non l’ha detto il dottore. 

Ho buttato giù qualche riga, poi mi sono dovuto fermare qualche giorno; nel frattempo, come per i pitbull e i sassi dai cavalcavia, l’attenzione dei “giornalisti” è puntata su ogni morto sul lavoro, che diventa uno scandalo ed un martire: se in questo periodo Rocco Siffredi fosse colto da infarto girando un film si ritroverebbe dedicata una piazza, con tanto di antropomorfo “obelisco della rimembranza”…

Tutta l’indignazione che ruota intorno a queste morti può essere definita solo in un modo: Pandismo.
Come avrete capito, uno dei comportamenti più classici dei Panda ricorda un po’ quello della Fiat, che socializza le perdite e privatizza gli utili; allo stesso modo i Panda socializzano le proprie colpe, anche se non possono privatizzare i meriti perchè i Panda non hanno meriti.
Quello di incolpare “il sistema” o “la società” o “i padroni” o “il mondo del lavoro” è uno dei più bei Pandismi che io conosca, nonchè la dimostrazione che un sacco di gente o non capisce un cazzo o è in malafede o non ha mai fatto un cazzo.
Se mai Diliberto, o Bertinotti, o uno qualsiasi dei politici più scaldati sulla (più che sacrosanta) sicurezza dei lavoratori avesse avuto, nella vita, l’occasione di lavorare mezza giornata, sbraiterebbe molto meno.
Mò il comunista, per una volta, lo faccio io: quando dico lavorare mezza giornata, non intendo progettare, relazionare, pianificare, supervisionare, razionalizzare, coordinare, andateacagare…
Intendo lavorare, faticare, lottare, sudare, farsi un culo così.
Come i miei ragazzi.
E come, ogni tanto, capita anche a me, col vantaggio, da parte mia, che se lo faccio è perchè ne ho voglia: è una di quelle cose che mi fa sentire vivo.
Non divento bolscevico al punto di sostenere che l’unico lavoro vero è quello fisico e non è che i “lavoratori” siano solo quelli che faticano: ogni compito ha la sua utilità e dignità, salvo tre quarti dei dipendenti pubblici.
Faccio la distinzione tra lavoratori e faticatori perchè questi ultimi sanno che per fare la frittata si devono rompere le uova. Così come chi va in guerra sa che in giro potrebbe esserci una pallottola col suo nome sopra, chi va in macchina sa che potrà avere un incidente e chi svolge compiti manuali sa che prima o poi la sfiga si presenta. Poi, come in guerra c’è il veterano che porta a casa la pelle e c’è chi guida l’auto tutti i giorni con attenzione e coscienza, facendo del bene a sè ed agli altri, c’è anche la recluta che non sopravvive al primo giorno di trincea ed il coglione che si schianta un sabato notte con quattro amici che, fino a dieci secondi prima, erano i cinque ubriachi più veloci della provincia.
Allo stesso modo c’è chi si rende conto del pericolo insito in ogni lavoro “fisico” e chi, per distrazione, pigrizia o incoscienza se ne dimentica. Come causa esiste anche la disperazione, ma è talmente raro nella nostra realtà quanto è frequente nei discorsi di politici e sindacalisti.
L’extra comunitario che lavora in nero in un cantiere a cinque euro l’ora è un disperato, ma se cade da un ponteggio, nove volte su dieci, è semplicemente uno che ha fatto un errore; che può essere un eccesso di fiducia nei proprii mezzi come può essere l’accettare di lavorare in condizioni di rischio palese: disperazione o no, resta sempre una tua scelta.
Non è politicamente corretto dirlo, ma se un portuale rimane schiacciato da un carico sospeso che precipita, non è per colpa dei turni o dell’organico: è solo che lui ci stava sotto, e non avrebbe dovuto essere lì. E se il carico è precipitato non è colpa della società, ma di un collega che lo ha legato o agganciato male.
Un po’ come i soldati colpiti da fuoco amico sono una percentuale spaventosa dei caduti, i morti per distrazione o negligenza, propria o altrui, sono la stragrande maggioranza.
Se prendessi un calcio nel culo ogni volta che fermo con un urlo un mio operaio che sta rischiando di farsi male, avrei la chiappe frollate come un fagiano. Avete mai visto cambiare il disco della moletta -il “flessibile”- a mani nude e col cavo collegato? A me succede tutti i giorni, e serve poco spiegare che, se quel coso parte, per contare fino a cinque avrai bisogno di due mani. Certe cose le posso ammettere per il mio amico Sandro che leccava il minipimer collegato alla presa e che, improvvisamente, è partito, lasciandogli come ricordo una trentina di punti in bocca.
Ma lui è neurologo, e quello è il massimo del rischio a cui può essere esposto.
Quello che voglio dire, ed è brutto da dire, è che se uno si fa male, molto spesso la colpa è sua.
Cominciate a scandalizzarvi: appena ho un attimo ci risentiamo.
Continua.
Dottordivago

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“E due…” significa “prima leggetevi il post precedente” . Come “dove”? Più sotto.

Nel post precedente “Non datemi retta” me la prendevo con i telegiornali che parlano di costo della vita proibitivo e portano come esempio la colazione al bar e il mantenimento di animali domestici: propongo di inserire la Jacuzzi nelle merci a prezzo imposto e controllato e di fare qualcosa, tassativamente, per frenare la corsa al rialzo dei prezzi delle mazze da golf, perché non se ne può veramente più.
Mi spiegate perché in un paese in cui, a detta dell’opposizione di turno, molti non arrivano a fine mese -eh lo so, è un mio chiodo fisso-, la maggior parte delle persone sono sovrappeso se non obese?
Dobbiamo continuare a raccontarci che l’obesità è una malattia?
Tutti i nutrizionisti, dietologi e medici vari concordano sul fatto che il sovrappeso è imputabile, al massimo, per un 30% a predisposizioni  genetiche.
Tutto il resto è “mandibola”, brutti zozzi. 
Scrivetemi, telefonatemi, urlatelo come volete che “io mangio come un passerotto ma peso 180 kg” oppure “mia zia vive di insalata ma è un quintale e mezzo”.
Citatemi scienziati, portatemi prove, pubblicate trattati: fate quel cazzo che volete.
Resta il fatto che se non mangi non ingrassi.
Un qualsiasi mammifero ha un consumo inevitabile, si chiama metabolismo basale ed è ciò che il corpo brucia per rimanere vivo, quello che anche ad un orso in letargo, quindi quasi in animazione sospesa, fa perdere decine di kg nel periodo di digiuno forzato.
E’ chiaro che ci sono persone che hanno un metabolismo anomalo per cui hanno più tendenza a bruciare o ad assimilare, ma resta il fatto che se non ingerisci niente non puoi ingrassare, per il semplice fatto che dovresti creare materia e questo, forse stupidamente, non è previsto dalle leggi che governano la vita sul nostro pianeta.
Fataci caso: se per strada vedete uno, o una, che sta mangiando qualcosa, dal gelato al trancio di pizza, o anche solo un boccone di pane preso dalla borsa della spesa, nove volte su dieci sarà grasso.
Sarei veramente curioso di prendere un obeso e di chiuderlo in una stanza, fornendogli solo acqua: non Gatorade, integratori, soluzioni nutritive; no, solo acqua, e lasciarlo morire. 
Dopo due mesi, o tre, facciamo quattro, siamo d’accordo che crepa? Oh, se non crepa lo lasciamo ancora lì e aspettiamo.
Quando siamo proprio sicuri che è andato lo pesiamo; secondo voi, sarà morto grasso o magro?
Sono anni che non gestisco un campo di sterminio, ma mi pare di ricordare che esperimenti simili abbiano dato riscontri univoci: crepano tutti magri come il fulmine.

Porto uno stupidissimo esempio che mi ha visto protagonista. Due anni fa pesavo 86 kg ed era una lamentazione continua per il fatto che “una volta mangiavo il doppio e non prendevo un etto”; secondo me mangiavo pochissimo e mi vedevo condannato a diventare un ciccione che si cibava d’aria.
Poi ho parlato con una dietologa e le ho detto ciò che facevo e ciò che ero disposto a fare, del tipo “Se non mangio la pasta o il pane a pranzo, a las cinco de la tarde svengo”. “No hay problema”, mi tranquillizza la tipa, “ma 100 grammi, non un secchiello…” 
Per un mese ho pesato il cibo, giusto per farmi l’occhio alle dosi, poi ho continuato, appunto, ad occhio.
Risultato? Persino eccessivo. Dopo quattro mesi pesavo 76 kg, senza aver sofferto la fame una sola merdosissima volta: è stato così facile che temevo di avere un brutto male e che fosse lui a consumarmi.
Dove sta il Pandismo in tutto questo? Arriva, arriva.

Cito il Corriere della Sera: in Inghilterra esiste il National Health Service, creato dal governo laburista di Clement Attlee nel 1948 sul principio che «nessuna società può legittimamente definirsi civilizzata se a un malato sono negate le cure per mancanza di mezzi ».
Bene, in un posto del genere, non nella fascista America di Bush, il primo ministro Gordon Brown, non Pinochet, ha proposto di sospendere l’assistenza sanitaria a fumatori ed obesi, cioè le categorie che costano di più, in cure, ai contribuenti.
Precisiamo: se un fumatore si rompesse una gamba gliela aggiusterebbero sempre a gratis; per un maramau ai polmoni, un enfisema o porcherie collegabili al fumo sarebbero cazzi suoi.
Giusto.
Mica gliel’ha detto il dottore di intossicarsi.
Idem per i lardosi: dal torcicollo all’ebola offre la ditta; non parlarmi di diabete che ti mangio la casa.
E coi soldi che risparmio aiuto chi si aiuta.
Sacrosanto.
Mica gliel’ha detto il dottore di mangiare il triplo del necessario.
Il Pandismo sta nello scandalizzarsi per una proposta che più corretta non può essere: vuoi farti del male? Accomodati pure, ma non venire a fare il piangina, poi. E soprattutto non sprecare risorse utili a chi soffre di malanni che non si è cercato; uno non può evitare di ammalarsi, ma può evitare di rovinarsi con le sue mani. 
Ci sarebbe il Pandismo nel Pandismo: vogliamo dire che il fumatore paga quasi cinque euro un pacchetto che, al netto delle tasse, costerebbe meno di uno e che questi soldi vanno al sistema che dovrà poi curare lo scemo? Un pacchetto al giorno diventano più di cento euro di tasse al mese, versate per molti anni: una specie di perversa assicurazione medica che in trentanni non copre il costo dei primi dieci giorni di cure, in caso di maramau polmonare. E’ una partita di giro che non conviene a nessuno.
Inoltre, in Italia diamo la pensione d’invalidità ai grandi obesi: a quando un sussidio ai rapinatori incapaci o un posto da maestro d’asilo ai pedofili timidi?

Adesso spostiamoci e staniamo altri Panda.
Il WWF si preoccupa a sproposito: di Panda ce ne sono un mucchio.

Dottordivago.

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