Per una volta vorrei fare la persona seria e dire due parole sul meraviglioso romanzo di Johann Wolfgang von Goethe.
Ma no, và: sarei tentato ma… magari un’altra volta.
Però, giusto per non sprecare un bel titolo…
Ho conosciuto Bimbi nel 1985, al mare, e non ci siamo cagati quanto eravamo lunghi.
Ci siamo rivisti, sempre al mare, l’anno successivo: ed è scoccata la scintilla o, come diceva Vito Catozzo, è scattata la malvasìa.
Dunque, come dico spesso, le cose, semplicemente, accadono.
Se noi avessimo immesso le nostre caratteristiche ed i nostri gusti personali nel computer delle moderne agenzie per Cuori Solitari, oggi lei sarebbe sposata con un Siberian Husky o, visto che non le piacciono i maschi pelosi, probabilmente con il padrone dell’Husky, come minimo un biondo scandinavo che scende dalla slitta solo per partecipare alla Vasaloppet.
Io starei con una bella napoletana rotondetta ed amante della cucina, dopo aver divorziato da una ballerina di Las Vegas o, visto che allora ero molto più underground, da un’artista concettuale stanca di prendere delle botte dalla mattina alla sera: nella mia vita non ho mai alzato un dito su una donna ma un’artista concettuale potrei gonfiarla come una zampogna, tutti i giorni, prima e dopo i pasti.
Due cose hanno contribuito a far sì che ci rivolgessimo la parola: lei era una bella gnocca e per me, al momento, era sufficiente; io ero un mezzo bandito, anche se gentiluomo, e a lei, per una storiella balneare, la cosa non dispiaceva: mi ha confessato, proprio qualche giorno fa, che quando andava a scuola si era beccata un cazziatone dalla nonna che le aveva trovato una foto di Vallanzasca sul diario.
Per sicurezza, ogni tanto le domando se vado ancora bene, adesso che sono un onesto lavoratore…
Evidentemente, oltre a queste ridicole affinità c’era qualcos’altro, così, lei di Aosta + io di Alessandria = sei anni da pendolari dell’ammore.
Come succede a 999 coppie su 1000, l’uomo si adatta e si abitua, la donna comincia a scalpitare; così, una domenica mattina di giugno 1992, mentre facevamo colazione, lei mi dice: “Sai, pensavo… dopo le vacanze… se io mi fermassi qua?”
”A far cosa?…”
”Ad abitarci, cretino…”
”Ah…”
Io con Bimbi ci stavo benissimo; me ne rendevo conto, visto che i momenti in cui mi mancava maggiormente erano proprio i periodi che seguivano una vacanza insieme: chiunque si sopporta per un week end, mentre la convivenza spesso sfinisce e divide molte coppie; e se a noi succedeva il contrario…
Solo che io avevo passato un terzo della mia vita un giorno qua e un giorno là ed il pensiero di mettere su casa…
Probabilmente c’è stato un momento in cui quel boccone di colazione si è trasformato in un riccio di mare e devo averci messo un attimo in più del solito per deglutirlo.
E ho visto l’accenno di un’ombra negli occhi di Bimbi.
In realtà, in quell’attimo, io stavo prendendo i souvenir di una parte della mia vita e li stavo mettendo in un baule, per portarli nella cantina della mia memoria: insomma, stavo preparando il posto per Bimbi.
Ma a quel punto un “Sì, certo, perchè no?…” non sarebbe stato sufficiente a fugare quell’accenno di dubbio che le stava nascendo dentro, così ho rilanciato: “Beh, già che ci siamo… sposiamoci…”
Lei ha sgranato gli occhi, così mi sono sentito in dovere di sdrammatizzare: “Anche perchè, se ci mettiamo a convivere, nessuno ci regala un cazzo…”
Cinque minuti dopo, con un calendario in mano e la sensazione di avere un po’ di farfalle nel cervello, stavamo decidendo la data: 12 settembre, neanche tre mesi dopo, manco si trattasse di un matrimonio riparatore da celebrarsi nel minor tempo possibile.
Qualche giorno dopo, la data è slittata al 19 settembre, per un motivo di forza maggiore: dei primi venti ristoranti a cui ho telefonato non ce n’era uno disponibile per l’altra data; sì che poi hanno divorziato quasi tutti ma in quel periodo si sposava un mucchio di gente…
Riguardo a dove celebrare il matrimonio non potevano esserci dubbi: rigorosamente a Cuccaro Monferrato, nella chiesa del mio grande amico, il Prevosto; d’altronde, quando da una vita sei cliente in un posto, mica puoi fargli le corna in un’occasione del genere…
Da quel giorno sono passati più di diciotto anni e vorrei passarne altri mille così.
Anche se quella donna mi ha rovinato.
Formato a sua immagine.
Plagiato.
Me ne sono reso conto domenica, al quinto giorno filato di nebbia (oggi siamo all’ottavo…), qui nel buco del culo del mondo, mentre Bimbi era a sciare al sole della Val d’Aosta e in Liguria la gente era svaccata in spiaggia, in maglietta.
Ho girato il mondo ma resto comunque alessandrino, quindi con la nebbia nel sangue e, spesso, nel cervello: ovviamente non mi è mai piaciuta, la nebbia, però c’è sempre stato un rapporto di buon vicinato.
Adesso, dopo anni passati a sentire le madonne che Bimbi tira dietro a “’sta nebbia di merda…”, il suo pensiero si è fatto strada come una goccia nel granito e se non vedo al più presto un raggio di sole, dovrò farmi prescrivere degli antidepressivi: mi faccio forza pensando che fra due settimane si parte per il Brasile.
Tranquilli: nel soleggiato Nordeste, a più di duemila km di distanza dalle piogge torrenziali ed assassine di questi giorni.
Altra forma di plagio: io sono sempre stato un merdone felice.
E per niente schizzinoso: nei villaggi dell’Africa del sud mi bevevo la busaa, birra di miglio o mais, con la consistenza di un frappè, tiepida, magari offerta in una mezza zucca in cui oggi non metterei neanche le crocchette per il cane, non tanto per il bene del cane, più che altro perchè mi farebbe schifo prenderla in mano.
In Oriente ho mangiato polipi neri, che diventavano grigi quando lo chef li recuperava per cucinarli e le mosche volavano via: oggi, se un cliente mi propone “Prende un caffè?” e la casa non è pulita da sembrare quelle delle pubblicità, rispondo “Grazie, l’ho preso cinque minuti fa…”
Tutta colpa di Bimbi.
Bimbi non ha un’attività biologica apparente, non ha un odore proprio, come Jean-Baptiste Grenouille: se la rapissero o se finisse sotto una valanga, il nasone dei bloodhound ce lo potremmo mettere nel culo, per quello che servirebbe…
In compenso le sono concesse cose vietate a noi umani: può andare in palestra all’ora di pranzo e andare in ufficio lasciando la roba sudata nella borsa, con la certezza, alla sera, di aprirla e vedere svolazzare fuori petali di rosa; se lo facessi io, l’unico in grado di aprire la borsa sarebbe un medico della Morgue.
Questo la porta a pretendere che il resto del mondo sia come lei.
A me è capitato, raramente ma è successo, di dormire in veri e propri merdai e di fare una tirata di sette/otto ore di sonno; dopo la cura-Bimbi sono diventato un caga-amaretti: nella mia borsa c’è sempre un piccolo botticino d’alcol per dare una passata al water dell’albergo, se lo ritengo necessario.
Una decina di anni fa, per Capodanno, con alcuni amici abbiamo passato qualche giorno a Cadaques; al ritorno abbiamo deciso di allungare la vacanza di un giorno, a Nizza, così siamo finiti all’Hotel Mozart, consigliatoci telefonicamente da un amico a cui non ho mai più chiesto consulenze.
Tra l’altro, l’ho cercato un minuto fa su internet e non l’ho trovato: il tempo è galantuomo.
Un tre stelle dignitoso, ingresso piccolo ma ascensore spettacolare, tutto in acciaio inox e lucine che si rincorrevano: sembrava una macchina del tempo.
Lo era.
Più che al terzo piano ci ha trasportato nell’800: “Ma sì, dàì, per una notte…”
Una bella doccia prima di andare a cena; dispiego un asciugamano –più che altro lo apro come un libro, tanto era rigido e apprettato- e scopro che, insieme con l’asciugamano, hanno lavato, inamidato e stirato un ciuffo di capelli sufficiente per un’extension media.
Va beh, ‘tanto è roba pulita, meglio non dire niente a Bimbi, così faccio sparire le tracce nel water.
Esco dal bagno e Bimbi è esattamente come l’ho lasciata, vestita di tutto punto. Dovete sapere che è una cosa normale: io faccio la doccia in cinque minuti, tempo in cui Bimbi si sbottona il cappotto.
Però capisco che c’è qualcosa di strano: Bimbi è immobile e indica col dito la moquette; guardo e vedo un’unghia tagliata lunga un centimetro: mi sfugge un “Ma qui, c’hanno dormito o hanno smembrato un cadavere?”
”Perchè? Cosa hai trovato in bagno?…”
”Eh?… No, no, niente… dicevo così…”
Poi troviamo, ai piedi del letto, una cenere di sigaretta lunga quanto la sigaretta stessa: qualcuno si è addormentato con la sigaretta in mano, per fortuna sua col braccio fuori dal letto; a noi sarebbe convenuto che fosse andato a fuoco l’albergo, il giorno prima…
Quando siamo tutti pronti, nella hall, caragno con la proprietaria, che promette di sistemare tutto, anche se con poca convinzione.
Naturalmente anche i nostri amici, tre coppie, hanno trovato qualcosina che non andava ma sorvolano.
Cena, passeggiata e nanna.
Cena e passeggiata per tutti, nanna per gli altri: Bimbi è così schifata che riesce a condizionarmi e va a finire che dormiamo vestiti, senza coprirci, il che, sommato al letto piccolo alla francese, Dio li maledica, ed al cuscino a salamone alla francese, il Diavolo se li pigli, fa sì che riusciamo a mettere insieme qualche pisolino di cinque minuti.
Al mattino siamo due stracci; i nostri amici, che non sono principesse sul pisello come noi, sono belli freschi e lucidi come pavoni.
Da quella volta ho detto a Bimbi che se mai si fosse ripetuta una cosa simile, lei sarebbe stata zitta o avrebbe cambiato albergo.
Lei, ovvio: io, senza condizionamenti, posso ancora dormire abbracciato a un cinghiale.
Mi scappa una breve divagata.
Devo dire che casa mia è pulitissima ma non quella pulizia maniacale fatta di pattine sotto i piedi e cellophane sui mobili, per carità, magari puoi trovare anche un velo di polvere; ma dove serve, fidatevi, potete fare la prova del guanto bianco.
Mi capita di cucinare spesso a casa di amici e sulle manopole del gas è fisiologico trovarci un velo di unto, una cosa impercettibile, me ne accorgo solo io, visto che sono abituato a casa mia, dove le manopole fanno il rumore dei piatti appena lavati.
Diciamo che Bimbi è una via di mezzo tra una pulitrice normale e una disinfettatrice di ferri chirurgici, tipo sua madre; anche lei non ti costringe a vivere con le pattine, a casa di mia suocera sto bello rilassato come a casa mia: lei ti lascia sporcare poi, appena ti distrai un attimo… Zac!
Quando ti rigiri scopri che ha già ripulito tutto!
Solo una cosa non ho mai perdonato a mia suocera: il coprilavatrice.
Tempo fa, entro in bagno e vedo al posto della lavatrice un monolite fiorato: avete presente le orrende tovaglie di plastica? Ecco, solo che questa era fatta su misura per la lavatrice, con le sue belle cerniere per liberarla da quella specie di pianta carnivora che l’avviluppava.
Ora: in bagno, c’è qualcosa di meno esteticamente invasivo di una lavatrice bianca bella lucida?
Non esiste, vero?
E allora, perchè coprirla con quella schifezza? Ovviamente, in quanto domatore ufficiale di mia suocera (sono l’unico in famiglia che, qualche volta, riesce ad averla vinta…), le ho spiegato che nella lavatrice rimane sempre un po’ d’acqua e se la macchina respira, è meglio; non ottenendo risultati, l’ho presa per il culo fino allo sfinimento, mio, non suo, visto che ha mantenuto quella bestemmia floreale.
Salvo buttarla via non molto tempo dopo, insieme alla lavatrice che era diventata un blocco di ruggine… |
Alcuni condizionamenti a mio carico a Bimbi non sono ancora riusciti, tipo farmi andare piano in macchina: non sono mai stato un pirata, magari un momentino turbotarro sì ma adesso, visto che gli anni passano per tutti, ho quella che si può definire una guida brillante ma fluida e non intendo diventare uno dei tanti Mr. Magoo che si vedono in giro.
Ed io, a lei, cosa ho passato?
Diciamo che le ho smussato qualche spigolo, se la prende meno per certe cazzate.
Sicuramente le ho inculcato il gusto per la buona tavola: una volta, per lei, il cibo era poco più che un fatto di sostentamento, oggi apprezza le cose buone e se qualcosa non va, ha un naso e un palato che non perdonano.
Ha perso anche un brutto vizio: era gelosa al punto che, in confronto a lei, Otello era uno scambiatore di coppie.
Ma se oggi non minaccia di azzannare alla gola una che mi chiede che ore sono, non è per merito mio, anzi, probabilmente è colpa mia: mi sa che non sono più il bel bocconcino di una volta…
Dottordivago
P.S. Mi sono accorto adesso che siamo al commento n° 2999:
Chi si becca il 3000?
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