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Archive for gennaio 2009

Ci sono gli stupidi ed i stupidi, forma contratta di “i più stupidi”.

Come da programma, gli stupratori di Guidonia sono in carpione.
In prigione, al gabbio, ditelo come volete: l’importante è che li abbiano presi.
E su questo non avevo alcun dubbio: non che io ritenga le nostre forze dell’ordine in grado di venire a capo di ogni crimine, tuttaltro, sono quelle che ci meritiamo, come i politici.
Molto più semplicemente, la mia certezza si basava sulla consapevolezza che ‘sti stupidi si sarebbero fatti beccare commettendo qualche cazzata.

Gli elementi propulsivi delle indagini sono due: la soffiata e la stupidità di molti criminali.
Scordatevi il tenente Colombo che trova una cartina di minerva col nome di un locale di Los Angeles, ci va a farsi un giro e parlando con un cameriere scopre che il proprietario era in Vietnam con un tale, diventato un influente politico che, nel corso di una chiacchierata sul campo da golf, gli dice di andare a cagare; questa cosa lo porterà a rompere le palle a mezza California finchè va a sbattere il muso nel colpevole.

Qui funziona diverso: fatto il colpo, tutti i criminali vogliono la fetta più grossa e quello che si becca le briciole manda gli altri dritti in galera con una soffiata.
Oppure organizzano il colpo in sei, lo mettono a segno in cinque, perchè sennò tocca prendere due macchine -vuoi mica fare le rapine con la Multipla…- e quello tagliato fuori li tromba.

Oppure entra in gioco la stupidità: oggi la minchiata che va per la maggiore è quella di rubare, già che ci sono, il cellulare della vittima e cominciare ad usarlo per i cazzi proprii, come quei rumeni svelti d’uccello e lenti di cervello. Uno di loro, poi, si credeva un genio del male ed ha buttato la sim, “così non mi beccano”: è durato mezza giornata.

Ormai il cellulare è meglio delle impronte digitali e dei Nas: quanti assassini sono stati presi grazie al fitto scambio di telefonate con la vittima?
Una marea.
E quanti politici sono finiti in galera a causa di compromettenti esternazione telefoniche?
…No, ho sbagliato esempio, ma ora mi ripiglio.

Un’altra?
Un’altra.
Quando vi parlo di cinema, cito sempre roba nazionalpopolare, anche se di classe: ricordate Un’adorabile infedele, 1984, con Nastassja Kinski e Dudley Moore? E’ una commedia esilarante, in cui il marito sospetta il tradimento della moglie e decide di ucciderla: finchè progetta e fantastica, Dudley è una spietata macchina di morte che si muove sul filo dei millimetri e dei secondi; quando tenta di realizzare il diabolico piano non ne azzecca una; per fortuna, visto che l’adorabile Nastassja è donna costumata ed innamoratissima. E tutti i salmi finiscono in gloria.

Nella realtà succedono le stesse cose.
Questa storia non fornisce un ritratto lusinghiero dei malavitosi alessandrini, ma ve la racconto lo stesso, anche perchè, a giudicare dal nome, il nostro eroe proprio alessandrino alessandrino non era: pochi anni fa, un stupido (giustifichiamo il titolo…) decide  di rapinare un ufficio postale e, per stare nelle spese, sceglie un paese vicino e ci va con la sua macchina; il piano è chiaro, l’uomo è pronto e determinato.
Entra duro e deciso, tant’è vero che dopo un attimo esce col bottino; arriva alla macchina e… scopre di aver dimenticato le chiavi sul bancone dell’ufficio postale!
Si rende conto che, non dico l’FBI “del Kansas City” (ancora grazie, Albertone ), ma anche i Carabinieri del paese, con le sue chiavi in mano, lo beccano in due giorni.
Torna indietro di corsa ma i rapinati, che erano corsi fuori in attesa dei Carabinieri, lo vedono arrivare e si barricano dentro.
Lo scemo li supplica di dargli le chiavi, poi minaccia, poi va in caserma coi Carabinieri che nel frattempo sono arrivati.
Marca bravo a Gambadilegno.

C’è poi un mix devastante, per un’onorata carriera criminale: la stupidità unita alla soffiata.
Ricordate l’omicidio Gucci?
Circa un anno dopo l’omicidio, quando ormai le indagini sono alla frutta e la polizia brancola nel buio, un delinquentello da due soldi prende una camera in un alberghetto di Milano e per qualche giorno fa il fenomeno col custode, un altro mezzo scemo; stufo di sentire l’ospite che se la tira da genio del crimine, un bel giorno il custode gli dice “Và che anche io non sono mica un pirla: sto aspettando un mucchio di soldi da una maga, amica della vedova di Gucci; quella voleva eliminare il marito e ci abbiamo pensato noi. E chi è lo scemo, adesso?”.
Il delinquentello, che aveva qualche conto in sospeso con la giustizia, dopo due minuti era in questura a raccontare tutto: morale, tutti dentro.

Anni fa, mi raccontava un amico poliziotto, avevano un sistema acchiappastupidi quasi infallibile: dopo una rapina, si mettevano a frequentare assiduamente i vari night club della provincia e si facevano dire chi fossero, in quel momento, i migliori clienti, quelli che stappavano più bottiglie e tappavano più puttane: quasi sempre erano gli autori della rapina.

Cari ragazzi, mai come oggi è stato facile beccare qualcuno: il problema è condannarli, con tutte le leggi che i politici hanno fatto per salvare il proprio culo, leggi che, alla lunga, devono valere per tutti.
Se poi, per somma sfiga, un criminale viene condannato, non c’è il posto dove metterlo e, nel migliore dei casi, finisce ai domiciliari.
Dico io, ma se ti nasce un bambino, cambi casa con una più grande o, come minimo, cambi macchina; se aumentano gli ammalati, si costruiscono gli ospedali, salvo poi lasciarli incompiuti, ma si fanno; i cimiteri, rispetto a centanni fa, sono grossi il triplo.
La rete stradale non ha seguito l’aumento del parco autovetture ma in cinquantanni è aumentata dieci volte.

Le galere non si toccano.
Abbiamo 48.000 posti al fresco, con 60.000 detenuti, più non so quanti ai domiciliari: facciamo un bel capannone e li sbattiamo dentro?
No, li liberiamo.
Porca puttana, negli Stati Uniti, in galera c’è il 2% della popolazione, da noi l’uno per mille: 60.000, non uno di più.

Cos’è, l’Europa ci ha attribuito le quote come per il latte?

Il problema è politico.
Ma parlando di politici devo passare ad un altro post: lo intitolerò “I stronzi”.

Dottordivago

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Eravamo rimasti all’ex Presidente Ciampi che, quand’era Governatore della Banca d’Italia parlava normalmente, quando è diventato Presidente della Repubblica si è messo a parlare come un vescovo, cosa che, in Italia, succede a tutti i Presidenti.

Non lo so… ci deve essere una scuola da Presidente, un corso full immersion che si deve frequentare quando si entra al Quirinale: entri che parli da cristiano e dopo un attimo puoi trasformare in pura retorica anche una canzone di Piero Ciampi, omonimo ma non omologo del più celebre Azeglio.
Ti impostano anche l’intonazione: vibrante, patriottica e mortalmente noiosa.

Guardate Obama, ma anche un qualsiasi altro presidente made in USA: superata l’odiosa marchetta di presentarsi ovunque con mogli e figli, si lanciano in discorsi scritti precedentemente da un team di venti persone, ma che sembrano improvvisati, con spazio a battute e variazioni di ritmo, che sono gli ingredienti che rendono ascoltabile un qualsiasi monologo ed in particolar modo un discorso politico.

Quando parla Napolitano, e prima di lui tutti i suoi predecessori, sembra una scena di Matrix, il film.
Nel primo mezzo minuto tutto rallenta, puoi vedere le traiettorie delle pallottole; subito dopo, chi ha spiccato un salto resta fermo in aria, tutto è congelato; durante i discorsi del Capo dello Stato non si invecchia, il metabolismo si blocca, si va in animazione sospesa.
Avete presente il paradosso del figlio più vecchio del padre?
Non serve passare 50 anni su un’astronave che viaggia alla velocità della luce…
Dài retta ad un ignorante: basta ascoltare in televisione il discorso di fine anno di Napolitano; quando finisce, chi guardava Striscia la Notizia, o altro, è mezzora più vecchio; a chi seguiva il Presidente non si è spostata una cellula, quel globulo rosso è esattamente dove si trovava mezzora prima ed il cervello non ne risente perchè, in quel lasso di tempo, non ha svolto alcuna attività vitale, quindi non necessitava di apporto di ossigeno.

Potrebbe essere la soluzione per i voli interplanetari: fai un bell’ mp3 con il discorso di fine anno, quello del 25 aprile, del Primo Maggio, del 2 giugno e del 4 novembre, il tutto a ciclo continuo, dopodichè Cape Canaveral – Marte, un anno e mezzo da casello a casello, torni a casa che puoi tirare le balle ai tuoi amici con qualche capello bianco in più, mentre tu non sei cambiato di una scaglia di forfora.
Per tratte maggiori, basta scaricare anche i discorsi alle feste di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza; e se proprio il giro viene lungo, c’è sempre il Messaggio agli Studenti.
Forse con un Greatest Hits si potrebbe persino ringiovanire, ma non voglio creare illusioni, è solo una teoria ottimistica.

Guardate Berlusconi, che se li cucca quasi tutti, quei discorsi: dalla sua discesa in campo, nel ’94, non è invecchiato di un minuto.

Ecco, Berlusconi…
Và che sto per dirla grossa, eh?
Quasi quasi mi auguro che diventi Presidente della Repubblica, così tra una barzelletta oggi, un cù-cù domani, una mano sul culo a questa ed una figura dimmerda con quello, non ci sodomizziamo più le orecchie.
Contenuti a parte.
E poi, tornando alla realtà, con tutto quello che ha combinato il Silvio, Veltroni and Company non trovano di meglio che attaccarlo sulle cazzate tipo “Obama è abbronzato” o “Ci vorrebbe un soldato per ogni bella ragazza”: va bene che Al Capone è finito in carpione per evasione fiscale, ma così è come ingabbiare Hannibal Lecter perchè si è mangiato le unghie.
Le sue, intendo…

Tornando ad Obama, l’avete visto quando ballava con la moglie?
Sembrava un messaggio a tutte le Lewinsky del mondo: banda di puttane, non c’è trippa per gatti.
Dopo un momento rilascia la prima intervista ad Al Arabia col piglio di quello che non ha mai fatto altro: ha la capacità di sembrare sempre al suo posto.

Mi viene in mente il ministro Franco Frattini: la prima volta che l’hanno mandato a Bruxelles, nel 2002, sembrava, ed era, un Remigino al primo giorno di scuola; il problema è che non riusciva a nasconderlo: guardava con soggezione i Grandi della Terra, ma allo stesso tempo non riusciva a cancellarsi dalla faccia un sorrisino non proprio intelligentissimo, mischiato all’espressione “non ci posso credere…”.
Ancora adesso, in compagnia dei potenti, sembra uno di quei cagnolini che, se solo gli fai un grattino, pisciano sul pavimento; poi, appena lo intervistano, in automatico alza un sopracciglio e, mentre dà l’idea di avere un auricolare in cui qualcuno gli dice “Fai la faccia intelligente”, inizia a parlare.
E anche con lui, non è che si invecchia un gran che…

Ragazzi… Frattini!…
Qui si sta raschiando il fondo del barile, meglio chiudere.

Dottordivago

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Sì, vabbè, titolo scontato, da te ci aspettavamo di meglio bla bla bla…

Obama mi piace.
Anzi,  mi piace parecchio, il morettino
Non riuscirà a fare la metà delle cose che la gente si aspetta da lui, ma mi auguro che comunque ci metta una pezza.

Barack Obama nasce al Kapi’olani Hospital[6] di Honolulu da Barack Hussein Obama Sr., un keniota agnostico, ex pastore di capre ed all’epoca studente straniero, e da Ann Dunham, proveniente da Wichita, in Kansas; al momento della sua nascita entrambi i genitori erano giovani studenti universitari.[7]

E’ l’America, bellezza…

Che si tratti di un fenomeno squisitamente americano, e per niente italiano, lo si vede dalle prime righe della biografia, che comunque non ce la racconta giusta.
Che un keniota ex pastore di capre si trasferisca a Lampedusa in gommone e passi il resto della vita a fare lo sguattero, ci sta.
Che si trasferisca ad Honolulu -non Cogoleto, Honolulu- e lì non campi lucidando tavole da surf ed infilando ombrellini nei cocktail, ma si possa permettere l’università, mi fa pensare che quando ha venduto le capre se l’è fatte pagare bene, e doveva averne anche parecchie.

Se poi fosse stato in Italia, di figli non ne avrebbe fatti: in quegli anni, da noi, chi se lo pigliava el negher zumbòn (bailando allegro el bajòn…)?
Se poi, per assurdo, il piccolo Barack fosse nato in Italia e fosse diventato presidente -e saremmo nel 2040, vista la stagionatura dei nostri presidenti-
adesso, anzichè scattante e tirato come un cane da caccia, sarebbe grasso ed unto come un sergente sudamericano, e parlerebbe come un vescovo.

Si sa, i politici italiani non hanno mai brillato per prestanza e fascino.
Quarantanni fa circolava la battuta “Come sono i politici della DC? Piccoli, Preti, Storti e Malfatti”; aggiungerò per i giovinastri che erano tutti nomi di esponenti DC dell’epoca.

L’avete sentito Obama? Bella voce, timbro pacato ma fermo: un piacere sentirlo, anche capendo una parola sì ed una no.
Adesso sentite Napolitano, che farebbe diventare pura retorica un monologo di Lenny Bruce, e tornate con la memoria ai suoi predecessori, quantomeno quelli che ricordo bene io: Ciampi, Scalfaro, Cossiga, Pertini.
Pertini era un galantuomo, ma portava il discorso sulla Resistenza anche se il tema da trattare era “W la figa” e, concedetemelo, era un uomo di un altro secolo e il modo di esprimersi era da Libro Cuore.
Il Gladiatore Picconatore è stato forse il meno retoricamente stentoreo del gruppo, ma la parlata era da barzelletta vivente.
Scalfaro. Serve dire altro, oltre a rimpiangere il fatto che non sia stato annichilito da una ragade anale che, partendo dal suo stesso culo, se lo inghiottisse a mò di buco nero?
Ciampi era il nonno che tutti vorremmo, se solo fosse stato meno noioso: quando era in Banca d’Italia parlava da persona normale, poi, una volta eletto, ha cominciato a parlare da Presidente della Repubblica.

Continua.

Dottordivago

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L’idea era di dare un altro titolo a questo post, qualcosa di più confacente alla mia delicata prosa, qualcosa tipo “I cow boys culattacchioni del Wyoming” piuttosto che un elegante calembour sul “Monte Rottinculo” del film.

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Oh, non ce l’ho fatta.
Per due motivi: il primo è che si tratta di un film bellissimo, che, a torto, non resterà nella storia del cinema come una qualsiasi noiosata felliniana, ma che tocca il cuore; e se non sbaglio, questo è l’effetto che un’opera deve ottenere per guadagnarsi la definizione di “opera d’arte”, e non l’affermazione di un critico prezzolato; il secondo motivo è che Ennis Del Mar è un nome straordinariamente bello nel suono, nella grafìa e nel significato.

Per chi non lo sapesse (io, ad esempio, fino a dieci minuti fa…) spiegherò che Ennis, in irlandese/gaelico, significa “isola” mentre Del Mar in antico aramaico significa “occhio alle chiappe”; no, non è vero, ho dovuto per forza dire una cagata: significa, molto più semplicemente, “del mare”, in spagnolo.
Quindi “Isola Del Mare”, e ditemi voi se è mai possibile avere un nome bello così; andrei di corsa da mia mamma per prenderla a calci: va bene “Gallia”, il cognome quello è; ma sul nome, non è che ci potevamo impegnare un momentino di più, no?…
Senti che roba: Ennis Del Mar Gallia, col cognome che compare solo sui documenti.
Per il mondo, *Ennis Del Mar*.  ‘Aazz!…

Da bambino detestavo il mio nome, Carlo: mi suonava di vecchio e nessuno lo usava liscio, tutti dovevano correggerlo in Carluccio, con qualche Carletto a tradimento, che riuscivo a sopportare, ma Carlino mi ammazzava.
Quindi, se ogni tanto storpio il nome di qualcuno di voi -Marcolino, Paulìn ecc. ecc.- sono cazzi vostri: io ho già dato…
Nei tre anni della mia vita che ho passato in giro per il mondo, le ho sentite tutte: in Oriente e qualche posto in Africa ero Callo, per i giapponesi Carro, anche se devo riconoscere che Carro-san non mi suonava male.
Ma Ennis lo pronuncia correttamente anche un Klingon.

Sul cognome, c’è di peggio: Gallia ha una nuance di antico romano che non mi disturba, solo che se lo dici ad uno sportello, lo scrivono Gaglia, quindi ti tocca correggere lo scrivente che, se è educato dice “mi scusi…”, se è un cafone dice “ah!… Gallìa…”
Gallìa una merda: si dice Gàllia, fidati, me l’ha detto mio papà, e mio nonno era daccordo…
Però aiuta ad inquadrare l’interlocutore: se gli dico “Gàllia, come l’antica Francia…” e quello mi guarda con l’aria assente, viro bruscamente su “Gàllia, come gallina senza enne…”; si perde tempo, ma almeno capisco che ho a che fare con un ignorante.

Bon, ferma la mula, Dottordivago: stai uscendo dal seminato, dal campo e pure dalla provincia: torniamo al film.

Jack Twist (Jake Gyllenhaal, il moro) ed Ennis Del Mar (Heath Ledger, il biondo, quello che aveva capito tutto e stava sempre dietro…) sono i due cow boys di   “I segreti di Brokeback Mountain”, che ho visto al cinema un paio di anni fa e che mi è piaciuto moltissimo.
Mi sono commosso.
Il cinema non riesce a commuovermi con storie ruffiane di amori infranti o dipartite dei protagonisti, ci vuole altro.
Ci riesce benissimo, ad esempio, una storia in cui a soffrire o morire è un cane, come quei film tristissimi che ci facevano vedere alle elementari: ma porca troia, già che ce ne passavano uno all’anno, farsi due risate con Paperino o il Maggiolino Tutto Matto no, eh?…
Ancora adesso, posso sghignazzare per tutta la durata di Voglia di tenerezza,
ma Turner e il Casinaroimage  mi strappa i sentimenti: quando il cagnone muore mi deglutisco pure la lingua per non piangere.

Comunque, la storia di Brokeback Mountain, quel misto di amicizia, amore e paesaggi, mi ha aperto una crepa nella diga: un minimo di occhio lucido mi è venuto.

L’ho rivisto l’altra sera su Sky: era in seconda serata e finiva tardissimo, ma io e Bimbi non abbiamo quasi mai la sveglia obbligata; un’occhiata complice -“ma sì, ne guardiamo dieci minuti e poi nanna…”- e ci siamo messi comodi, già sapendo che manco fosse scoppiato un incendio…

Quando è finito, io mi davo un contegno, Bimbi aveva il fazzoletto sotto al naso.

E lì mi è venuta la pensata: fuss’ che so’ nu poco ricchione?
No, sto scherzando; la pensata era quella di proporvi un test, cosa che personalmente detesto, ma questo non ha questionari, non si barrano caselle e non si fanno conti alla fine.
Unica conditio sine qua non è avere visto il film, sennò stiamo qui a far ballar la scimmia.
Fatto? Bene.

Nella seconda parte del film, quando loro, ormai quarantenni e nel corso di quello che sarà il loro ultimo incontro clandestino, capiscono che la loro storia non avrà un lieto fine, Jack ha un flash back dell’ultimo giorno a Brokeback Mountain, ventanni prima; stanno per tornare a valle, fuori dal piccolo mondo perfetto che si erano creati; lui sta guardando il fuoco, ormai quasi spento, ed Ennis lo abbraccia da dietro

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sussurrandogli “Cosa fai, dormi in piedi come i cavalli? …Me lo diceva sempre mia madre…”
E’ un momento di tenerezza così profonda che nessun melodrammone studiato apposta a tavolino è mai riuscito a rendere.
Tenete da parte un attimo questa scena.

E’ una cosa che mi succede spesso, e la notizia buona è che io lo faccio con Bimbi: se la vedo persa nei suoi pensieri, magari mentre fa una cosa normalissima come stirare o sistemare la cucina, mi sento una “cosa” dentro, nella pancia, che non so descrivere, so solo che devo abbracciarla e stringerla forte; per fortuna lei capisce e non mi dice “Ancora?!… Non vedi che c’ho da fare, coglione?!…”

Alla fine del film, quando Ennis è a casa dei genitori di Jack, apre l’armadio e trova le loro camicie sulla stessa gruccia, quella denim di Jack sopra alla sua a quadri, quasi ad abbracciarla e proteggerla.

Lì sto male.

Nell’ultima inquadratura, quando Ennis, nella roulotte dove si è ridotto a vivere, apre l’armadio ed accarezza la sua camicia a quadri su quella denim di Jack, sulla stessa gruccia, quasi ad abbracciarla e proteggerla, e capisce che Jack è stato la cosa più bella della sua vita, ma che non c’è più, ecco, lì sto pure peggio.

Bene, cosa c’entra tutto questo col test?
Semplice: se un giorno, nella vostra vita, vi capitasse, come a volte mi succede, di sentirvi …inariditi, sì, inariditi è la parola giusta, pensate a questa due scene: se rimarrete indifferenti, sono cazzi vostri.

Se, come me, vi commuoverete, non buttatevi via: avete ancora un’anima.

Dottordivago.

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Ho sempre invidiato i napoletani, i veneziani, i siciliani e chiunque viva in un luogo considerato bello.
Fateci caso: se siete in un gruppo di persone, che so, in vacanza all’estero, e domandate a qualcuno da dove viene e questo risponde “Napoli”, ci sarà sicuramente qualcun altro che esclamerà con aria sognante “Ah… Bella, Napoli…”, fosse pure un leghista più integralista di Borghezio.
La stessa cosa succederà se la risposta sarà Venezia, Sicilia ed un milione di altri posti.

Ora provate voi, miei concittadini, e rispondete “Alessandria”.

Se l’interlocutore è di Torino, rischiate ancora di aggiustarla: un’idea ce l’ha.
Se l’interlocutore fosse di Genova, potrebbe anche mettervi una mano sulla spalla, con in faccia l’espressione “ti capisco, amico, ti capisco…”
Se si tratta di un milanese -a me è successo un sacco di volte- quasi sicuramente vi racconterà di una volta che è venuto dalle “vostre parti” a mangiare i funghi, a Cuneo, e voi vi sentirete obbligati a spiegargli che da Alessandria a Milano, da casello a casello, sono 80 km, mentre da Alessandria a Cuneo ce ne sono 130.
Se l’interlocutore vive al di fuori del Triangolo industriale, vi guarderà come se aveste risposto “strippa la velopendula” poi, dopo un attimo di disorientamento, accennerà “…Ah, in Piemonte?…”
Potrebbe anche rispondervi “ti struzzo la sferonosfenoide”, o recitarvi l’alfabeto ruttando, come limitarsi ad un laconico “Ah…”, ma mai, credetemi, mai, potrete udire qualcosa del tipo “Ah… Bella, Alessandria…”
E se dovesse succedere, lasciatelo perdere: o è falso come Giuda o è un pazzo.

Non ho mai visto una città capoluogo di provincia più brutta di Alessandria;
oddio, Vercelli e Novara non scherzano, ma almeno sono più ricche.
E poi riponiamo sempre speranze nelle nuove province…

Avrei voluto iniziare il post con lo stemma della mia città -sapete com’è, ogni scarrafone…- e così cerco un sito che lo riporti; il primo della lista è questo:
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Vado a colpo sicuro e ci clicco su; quanto segue è una porzione della pagina:

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Così, tanto per capirci, eh?…
Andiamo avanti, che è meglio.

Bimbi -mia moglie, per chi non frequenta assiduamente queste pagine…- è di Aosta
-ah… Bella, Aosta…-
e quando si è trasferita qui nel ’92, per i primi tempi ha creduto di trovarsi in un comune della Locride: strade devastate dall’incuria, illuminazione notturna yemenita, arredo urbano assente o maltenuto; ha anche fatto conoscenza con gli scarafaggi, che nella sua dolce -e ricca- Valle non aveva mai visto prima, ma che da noi sono quasi un’icona, l’amata babona panatera.
Poi, alla prima nebbia, ha capito di non essere in Calabria.

Va beh, non tutte le città possono avere mare o monti: stare in Val Padana è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve fare.
E se una città non ha avuto nel suo passato una grande casata nobiliare, se non è stata capitale di un regno o anche solo di un ducato o marchesato, non si può pretendere di trovarci eleganti palazzi o splendidi monumenti.

Solo che noi ci mettiamo anche del nostro, da sempre.

Federico I, detto Il Barbarossa, era uno dei “signori della guerra” da cui sarebbe valsa la pena di lasciarsi conquistare, visto che la storia lo definisce come sovrano illuminato -per quei tempi…- e mecenate delle arti che ha portato sì, guerra, ma anche civiltà e cultura.
Bene, Alessandria è stata l’unica città che non si è lasciata conquistare, manco a farlo apposta.
Se invece di resistere fino all’ultimo uomo -che poi non è andata così…- gli avessimo spalancato le porte, forse ora avremmo qualcosa di bello da proporre agli improbabili turisti, oltre a la curt del sent bagasi (la corte -il cortile- delle cento puttane, ndr).

Però abbiamo avuto anche il nostro momento.
Sapete quale è stata, a livello mondiale, la prima, vera, grande griffe del made in Italy?
Borsalino, Alessandria.
BIP! Un segno di vita nell’encefalogramma cittadino.
Fino agli anni 50 il mondo comperava più cappelli di Borsalino che bottiglie di Coca Cola, poi la cosa è calata negli anni 60.
Qualcuno, in Italia ha cominciato a dedicarsi alla moda, partendo dal nulla, cito Armani e Versace giusto per fare due nomi.
“Vuoi mica che la gente nasca senza testa?” è stato l’epitaffio dell’unica azienda del mondo al cui nome abbiano dedicato un film.
Quando ci siamo accorti che i cappelli non li portava più nessuno, c’è stato un tentativo di riconversione del marchio nel settore moda, assolutamente maldestro, ignorato dai più e da dimenticare.

E siamo arrivati a ieri: nel ’94 l’alluvione ha fatto danni e morti.
Mi ricordo ancora la faccia costernata dei volontari che arrivavano da ogni città d’Italia: si guardavano intorno mormorando “…una città devastata…” alchè rispondevo che noi, ringraziando la Madonna, non ci facevamo molto caso perchè faceva schifo pure prima.

La neo-eletta giunta leghista di Francesca Calvo si trovò di fronte ad un disastro, ma si ritrovò anche a maneggiare la più imponente mole di denaro che si sia mai vista in città, e bisogna riconoscere che non se la cavarono malissimo.
Vi ricordate quando il maestro, alle elementari, vi parlava dell’antico Egitto e delle piene del Nilo che depositavano il fertile limo che rendeva i campi rigogliosi e produttivi?
Beh, anche la merdazza del Tanaro non ha scherzato: tranne chi ha avuto dei morti, la maggior parte firmerebbe per un’alluvione un anno sì e un anno no, giusto per non farsi massacrare dai reumatismi.
E se qualcuno si scandalizza, è perchè, in realtà, ne vorrebbe una tutti gli anni…

Nel dopo alluvione questi occhi hanno visto cose che voi umani ecc. ecc., e da allora mi sono fatto un’idea del perchè il terremoto dell’Irpinia è costato il doppio di quello di Kobe, che da un punto di vista economico ha fatto il trentuplo dei danni (“trenta volte”, si dice trentuplo?…)
Certo, fossimo stati che so, in Francia, ora Alessandrià sarebbe un incrocio tra  la Silicon Valley e Gardaland, ma, comunque, qualcosina, innegabilmente, migliorò, almeno a sentire Bimbi, osservatrice imparziale, che notò nella città un che di diverso, negli anni a seguire.
Nonostante molti miei amici che con lei hanno collaborato ne dicessero un gran bene, non ho mai amato la defunta Francesca Calvo, peraltro senza una ragione particolare, ma l’ho rimpianta amaramente quando arrivò la giunta Scagni.

Sapete perchè i russi hanno avuto Stalin, i tedeschi Hitler, i cinesi Mao e noi la Scagni?
Perchè loro hanno scelto per primi, i bastardi…

L’ex sindaco Mara Scagni, secondo me, ed esprimo un’innoqua preghiera concessami dalla libertà di culto, se mai esistesse un Dio avrebbe dovuto farla morire tanto tempo fa.
Mara Scagni ha fatto cose per cui, in qualsiasi paese civile, l’avrebbero impiccata con la fascia tricolore.
Alessandria è tornata ad essere la città più sporca e mal tenuta d’Italia, in compenso hanno realizzato i blocchi del traffico più inutili del mondo ed  i divieti più ridicoli, tipo chiudere il centro alle “euro zero” ed “euro 1”, così un marocchino  con una macchina di ventanni, senza documenti e permesso di soggiorno, senza bollo ed assicurazione, non transitava in centro per paura della multa…
Ma non soffermiamoci su certa gente, Mara Scagni merita l’oblio.

E siamo arrivati ad oggi.

Aggiunta successiva: venuto a conoscenza di quanto segue, il Sindaco Fabbio ci ha messo una bella pezza. Marca “bravo” al Sindaco.

Abbiamo cambiato sindaco con un consenso bulgaro -la Scagni ha fatto il miracolo di farsi odiare da tutti- e non è cambiato niente.
Di questo nuovo so poco, mi sono limitato a dargli il voto, fatto che non si ripeterà in futuro, e questo vale per almeno un centinaio di famiglie nel mio palazzo ed in quello adiacente, vera antologia di cazzate cittadine.
Ma lasciamo perdere le cose che non funzionano: qui nella dependance della Piana di Gioia Tauro non è facile far funzionare la cosa pubblica; vediamone solo un paio curiose.
A parte il fatto che siamo un popolo di mangiamerda, incapaci di usare i cestini, per anni non ho visto uno spazzino per strada, ed intendo quello con la scopa, non quelli a bordo di mezzi di tutti i tipi: un mezzo per ogni tipo di bidone o cassonetto o incombenza, dall’Ape customizzato ad una specie di mietitrebbia per rasare le aiuole due metri per due; le cartacce vengono consumate dagli agenti atmosferici, il non biodegradabile, alla lunga, viene pietosamente spostato altrove dal vento.

Poco tempo fa, era già autunno, esco di casa e vedo non uno, ma due spazzini!
Incredibile. Grande Fabbio! (il sindaco, ndr)
Solo che uno sta appoggiato ad una cabina telefonica, in down da farmaci o non so che schifezza e chiede sigarette ai passanti, biascicando una specie di mantra; l’altro, che è un’altra, è completamente fatta, e neanche di roba cattiva, a giudicare dal balletto surreale che esegue intorno a pochi pezzi di carta: finge di prenderli, li stuzzica con la scopa, poi gli sorride, ogni tanto si ritrae impaurita.

Due tossici.
No, non mi sono spiegato bene: DUE TOSSICI!
Non ex tossici senza denti che provano a rifarsi una vita, no: due tossici fatti marci, di cui mi sfugge l’utilità ed il decoro per la città.
Li ho rivisti spesso, mai più in quello stato, per fortuna, ma neanche mai con l’aspetto dignitoso ed attento degli spazzini della mia infanzia.
Complimenti vivissimi all’ufficio assunzioni, e pure al sindaco, anche se non può vedere tutto.

Anzi, direi che, come il trucco, “il sindaco c’è ma non ci vede”.
Oppure, come i maharajah salgariani, ha degli apripista che puliscono tutto e spargono petali di rosa.
Sennò, come è possibile che non veda questa città di merda?
Ma non come dispregiativo, intendo come elemento architettonico nonchè come possibile svolta per la città, una sorta di puzzolente New Deal mandrogno: c’è un tale strato di merda di cane sui nostri marciapiedi che in confronto le scogliere di guano del Cile sono lindi campi del Sussex e se mai trovassimo come piazzare il prodotto sul mercato dei fertilizzanti, lo potremmo esportare in tutto il mondo.

Solo che se mai qualcuno lo raschiasse via dai marciapiedi, temo che alcune case crollerebbero, come cadono i denti di un malato di piorrea: palazzi come enormi zanne, saldamente ancorati da una gengiva di merda.
E se la colpa è indubbiamente dei proprietari dei cani, che dire di quelli che dovrebbero controllare gli zozzoni e multarli? Ed in mancanza di questi, che dire di quelli che dovrebbero pulire?

Sono francamente preoccupato per i sensi del nostro sindaco: a parte la vista, ma l’olfatto?
Alessandria non è mai stata famosa per la qualità della sua aria, essendo circondata da aziende che lavorano le peggio schifezze e che solo grazie a leggi nazionali vergognose non sono obbligate a mettersi a posto ma hanno convenienza a pagare multe ridicole; la notizia buona è che stiamo parlando di sostanze spesso inodori, roba che ti ammazza senza darti troppo fastidio.
Da un paio di anni, o poco più, però, Alessandria è permeata di una puzza nauseabonda che un paio di volte al giorno, per un’oretta, ci dà una smerigliata ai bronchi; un misto di fermentazione, marciume e -indovinate un po’?- merda.
Ma non fresca, no: rancida ed acida, che attacca in gola.
E nessuno fa niente.
E non si sa che odore sia, da dove venga e se sia dannoso.

Signor sindaco, mi permetta una brevissima lezioncina, con cui intendo concludere.
Gli odori, scientificamente, sono classificati come “solidi in gas”, cioè non sono nientaltro che particelle di una certa sostanza sospese in un gas che, nella fattispecie, è l’aria che respiriamo.
Quindi, signor sindaco, quando i suoi concittadini sentono odore di merda, in realtà stanno respirando merda: particelle, sì, ma sempre merda.

Questa cosa accade anche ai suoi polmoni, signor sindaco.
E sarà piccola, ma è una soddisfazione.

Dottordivago

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C’erano quelli con la NSU Prinz.
Poi vennero quelli con l’Arna, che prepararono la strada a quelli con la Duna a tre volumi.

Un campionario di umanità dolente, che chiedeva all’auto solo quattro ruote; da parte loro ci mettevano una buona dose di sfiga (secondo le malelingue) ed ottenevano in cambio la certezza di non essere rapiti perchè scambiati per emiri in incognito.
Ma anche la garanzia di essere universalmente dileggiati, se non ferocemente presi per il culo.

C’erano anche le suore sul pulmino Fiat 850 e quelli col cappello in testa, categorie per cui il limite di velocità era fissato graniticamente a 60 km all’ora.

Oh, ci credete che rimpiango tutti quanti?

Nonostante io sia un turbotarro:
sono quello che se gli lasciate un buco, passa;
sono quello che se non partite entro tre secondi dall’accensione del semaforo verde, suona;
sono quello che, grazie alla patente a punti, non viaggia più in autostrada a 200 km all’ora ma a 170, giusto per non farsi strappare la patente sul muso;
sono quello che non ha un incidente, con torto, dal 1980, quando una cretina visionaria ha frenato col verde: non col rosso, il giallo o il blu, no: col verde.

Però:
non sono quello che, in autostrada, vi abbronza il coppino con gli abbaglianti perchè lo facciate passare sempre e comunque; lo faccio solo se non state sorpassando nessuno ed è palese che avete la testa da un’altra parte o che siete delle teste di cazzo che non si spostano “a prescindere”; a quel punto parte un lampeggio, poi suono -una volta- dopodichè vi sorpasso a destra e vi mando a cagare: ma ve lo siete meritato, no?
non sono quello che zigzaga come uno slalomista o sfrutta la corsia d’emergenza per guadagnare 50 metri;
non sono quello, o soprattutto quella, Diolemaledica, che con mezza macchina occupa due posti nel parcheggio;
non sono quello che si ferma in mezzo alla strada per carico/scarico di amici o parenti;
e neanche quello che fa la stessa cosa per chiedere un’informazione;
e neanche quello che parcheggia in seconda fila o sul passo carrabile o al posto degli handi e se ne va per mezza giornata.

Insomma, sono un turbotarro-gentiluomo.

Ma soprattutto sono uno che non stacca mai gli occhi dalla strada, neanche se sul sedile del passeggero c’è la Canalis che si denuda.
In quel caso, mi fermerei.
Ma non in seconda fila: magari in un motel…

Sono anche quello che guarda sempre quattro o cinque macchine avanti, infatti mi succede spesso di cominciare a frenare prima di chi mi precede

Ho un paio di amici che guidano come Mister Magoo: non vanno avanti manco a spingerli, a supplicarli, a minacciarli:
se al semaforo rosso ci sono due corsie libere ed una con cinque macchine ferme, la loro diventa la sesta;
la stessa cosa si ripete al casello dell’autostrada, anche perchè Mister Magoo crede che il telepass sia un analgesico o un’opzione di Sky;
si fermano allo stop e non ripartono che dopo dieci secondi, anche se non c’è nessuno a cui dare la precedenza.

Io schiumo dalla rabbia.

Fanno questo ed altro, ma sempre e comunque con una costante:
guardandoti francamente ed apertamente dritto negli occhi,
cosa piacevole a tavola o in ascensore o se parli di affari, meno se tu sei il passeggero e loro quelli col volante in mano.

Beh, che ci crediate o meno, rimpiango anche loro.

Li rimpiango perchè una nuova genìa malvagia si è impossessata della strada:
quei rottinculo dei distratti.

All’incirca nell’ultimo mese, ho rischiato il frontale tre volte, e non sto scherzando.
Una volta per colpa di una stronza dimmerda che, mandando o leggendo messaggi col cellulare, è uscita da una curva completamente contromano, ed ha sterzato in extremis dopo aver sentito il mio clacson; io, da parte mia, ero già praticamente nel fosso, pronto a saltare nel prato per evitare il frontale.
Le altre due volte è successa la stessa cosa, ma per colpa di due coglioni, dimmerda, ovviamente, che pasticciavano col ditino sul navigatore appiccicato al parabrezza.
Tre volte, tre peli mica da ridere.
E tre mutande da buttare: le mie, ma mi auguro anche le loro.

Ma brutte teste di cazzo, visto che possedete il dono della vista, che vi auguro di perdere oltre a quanto avete di più caro, potreste usarlo per guardare dove mettete le vostre ruote? (Come sono le ruote? Dimmerda, of course…)

Il cellulare, in auto, è una maledizione, una peste, anche con l’auricolare o lo scarafaggio sull’orecchio; il fatto è che quando parli con uno, e non ce l’hai davanti, te lo figuri, te lo immagini, e fai la stessa cosa se racconti del ristorante dove hai mangiato o della vacanza: è inevitabile che la tua mente torni là, che se ne svolazzi leggiadramente via dalla strada.

Il navigatore, poi, è un’arma: nelle mani giuste può risolvere situazioni, in quelle sbagliate ci scappa il morto. Purtroppo è pieno di imbecilli che lo pasticciano continuamente, anche sulla strada di casa, solo per vedere se funziona correttamente; sì che l’infatuazione, a differenza del cellulare, passa dopo un mese, ma sapete in un mese quante mutande mi fate buttare via, teste di cazzo?
E questo se va tutto bene: se va male, insieme alle mutande, butti via anche le chiappe…

Problema: siamo un popolo di imbecilli.
Soluzione: impedirci di essere imbecilli.

Non mi passa per la mente neppure un attimo di tirare in mezzo le istituzioni, siano legislatori o tutori dell’ordine: non posso credere che siano tutti deficienti, quindi devono essere una banda di incompetenti e lavativi che legifera senza conoscenza dello specifico e pretende di controllare il traffico imboscandosi negli uffici.
Quindi passiamo la palla ai costruttori i quali, invece di montare un dispositivo che impedisca di avviare il motore se in auto c’è un cellulare acceso, si lambiccano il cervello per renderne sempre più comodo l’uso, anche lasciandolo nel bagagliaio, con l’ipocrita teoria che più comodo corrisponda a più sicuro.
Mi darete del pirla, ma io ritengo che quel minimo di scomodità, a livello quasi subliminale, roba da Principessa sul pisello, che ti impone il cellulare tenuto in mano, ti consenta di mantenere un labile, quasi impercettibile, contatto con la realtà, a differenza delle mani libere che ti permettono di gesticolare e di estraniarti dal mondo e dalla strada, e questo per la ragione che è più facile addormentarsi in un letto piuttosto che su una catasta di rottami ed è più facile soffrire di eiaculazione precoce con una fotomodella slovacca piuttosto che con Moira Orfei.

Già da alcuni anni si sente parlare del sistema, per ora di uso militare, che permette di visualizzare le informazioni sul parabrezza, così uno non si distrae guardando qua e là.
Risposta dei costruttori di auto?
Navigatori con schermi da Bar Sport, con possibilità di leggere i dvd, di scaricare le guide ai ristoranti ed aggiornare il guidatore sulle tariffe delle zoccole in una determinata zona.
Finito?
Naa… Tetti superpanoramici in cristallo, così, quando uno ha già telefonato, letto la posta, finito il Bartezzaghi, scaccolato lo scaccolabile e non sa proprio più come distrarsi, almeno può dare un’occhiata alle nuvole, alle stelle o alle mutande delle signore affacciate al balcone.

Marca “bravo” ai produttori: è come se la Chicco producesse pupazzi di filo spinato e ciucciotti di naftalina.

Però i produttori d’auto stanno sperimentando un sistema che monitorizza il movimento degli occhi e lo analizza, così, se uno sta per addormentarsi, comincia a vibrare il sedile ed a suonare il clacson.
Propongo una miglioria: quando il sistema rileva lo sguardo fisso sul navigatore, sul cellulare o sul tetto panoramico, esce una mano che ti dà uno scoppolone ed una voce, scaricabile da internet, del personaggio famoso che preferisci, che dice:”Guarda dove vai, pirla!…”

Ma sono troppo avanti, predico nel deserto.

Dottordivago

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Sto notando che Facebook fa un po’ l’effetto della DC, per cui nessuno votava mai, ma si portava a casa un bel 30% quando andava male.
Lì è la stessa roba: sono molto più numerosi quelli che ne parlano male rispetto a quelli che ne sono entusiasti; io per primo non ne sono innamorato, ma ci casco.
Diciamo che, oltre ad usarlo come la candeggina, lo considero come il cestone dei saldi: a forza di ravanarci dentro, qualcosa di buono lo trovi.
Ma ti viene in mano di tutto.

Nei miei primi dieci o dodici giorni di frequentazione ho all’attivo qualche vecchio amico ricontattato ed una cena per sabato 31 con la vecchia compagnia del mare, nonchè la nomina ad Amministratore del gruppo Amarcord Baleta, il posto di cui vi ho già parlato; che carriera, eh?…
L’unico problema è l’overdose di magone che ti fai a maneggiare foto e ricordi di un periodo bellissimo ma molto, molto lontano.

Il resto… Maestro, un LA minore (e se non è di un LA minore che stiamo parlando, non importa):

Tutto il resto è noiaaa
non ho detto gioia
ma noia noia noiaaa…

Non è il mio posto: troppi inviti per troppe cazzate, ottimo per persone sedute davanti ad un computer con una giornata da far passare.
Ti rapiscono, ti sposano, ti iscrivono a gruppi che amano la Nutella piuttosto che il fetish.
No, non è il mio posto.

Però è un periscopio, almeno per me, che durante la giornata ho contatti che riguardano quasi esclusivamente il mondo del mio lavoro; lavoro che, vi ricordo, lascia poco spazio ad approfondimenti sociali o alle nuove tendenze, mentre i pochi amici che vedo più spesso sono molto lontani dal mondo di Facebook e da quello dei blog.
E nonostante ciò vivono benissimo, ed io con loro, sia chiaro.

Nuoto in questo mare tutto il giorno e gli unici contatti col mondo che si evolve, che cambia o che torna indietro ce li ho grazie alla televisione ed ai giornali, nonchè da quel minimo di internet che mi concedo.
Ma tutto ad ampio raggio, niente di locale.
Dice “Bravo pirla, lo strumento che ti mette in contatto con persone dall’altra parte del mondo, tu lo usi per sapere come sta il vicino di casa…”.
Esatto: uso Facebook come un periscopio, per guardare fuori dal mio mondo, ma non troppo in là.
Ad esempio, io non so mai cosa succede in città.
Non parlo di cronaca spicciola; di furti, morti e cazzate dei politici non me ne potrebbe fregare di meno, ma di avvenimenti in zona, di locali alla moda (solo per il gusto di rimanere aggiornato) e di “cose che è meglio sapere”, tipo se domenica prossima ci sono i negozi aperti o se chiudono un ponte piuttosto che un altro, visto che Alessandria è in mezzo a due fiumi ed ha più ponti di New York, ma il più importante è piazzato come un check in dell’Alitalia: non sai mai se lo passi o no.

Breve divagazione:  quando c’è stata l’alluvione, nel 1994 (a proposito, il panda-pensiero è nato lì, quindi prima o poi vi racconterò “la mia alluvione”), sembrava di essere tornati nel più cupo medio evo, quando le città rifiutavano ogni contatto con l’esterno per tenere lontana la peste: l’onda di piena ha devastato una parte del cuneese nella tarda giornata di sabato, ha allagato l’astigiano all’alba di domenica e ha fatto una quindicina (scarsa, però…) di morti in Alessandria verso mezzogiorno.
Tutto questo senza che nessuno di quelli a monte si sognasse di dare un colpo di telefono per avvisarci o, da parte nostra, senza che nessuno si informasse su come si comportava il fiume che, rara certezza in un mondo imprevedibile, scorre in un unico senso.
I danni sarebbero stati gli stessi, magari ci risparmiavamo qualche morto…
In compenso, adesso, quando piove dieci minuti e ad Asti pisciano in tre anzichè in due, qui ci chiudono il ponte più importante.
Qui, in questa dependance della Piana di Gioia Tauro, gestita allo stesso modo, ma con la nebbia.

Quindi, dicevo, trovo che il tam tam di Facebook sia quanto di più efficace esista per tenere un piede nella realtà locale: grazie ai volonterosi possessori di blackberry, tra un “Porca troia, c’è il ponte chiuso” ed un “Inaugurazione tale all’ora tale”, uno si regola.

Volevo solo alcuni chiarimenti da tutti voi chenecapiteparecchio, una specie di Galateo del Feisbuk.
Se venticinque anni fa cagavi poco una persona che vedevi tutti i giorni, e se questa persona oggi ti chiede di diventare suo amico, come ti comporti?
Se lo mandi a stendere, c’è rischio che compia un insano gesto o perde solo dei punti in una ipotetica classifica di cui io ignoro l’esistenza?
E se gli mandi un poke -giusto per star tranquilli- non è che è una cosa brutta, come mandare degli accidenti, no?… Tra l’altro, se qualcuno mi dicesse cos’è, un poke…
Dice una scritta:”Per trovare persone che conosci e che usano già Facebook, prova Trova amici“; io non l’ho mai cliccato, mi puzza di Echelon: se li cerco è perchè non sono ancora nella mia lista di amici e se non sono lì, lui, come sa chi sono le persone che conosco?

Poi, se ti rapiscono, cosa cazzo significa?

E quando leggi “Tizio si è sposato” o “Caio non è più fidanzato”, sono personaggi che parlano realmente di sè -e potrebbe pure essere- o è sempre robba de Feisbuk? Non sto scherzando: stavo per scrivere due righe ad un vecchio amico per sapere come si sente dopo la separazione, poi mi è venuto in mente che forse è un giochino.

Mi sa che temporeggio un momentino; prima di prendere iniziative mi conviene cominciare a capirne un po’ di più, se mi regge la pazienza.
Non è che ho paura di fare una figura da pirla, è che il mio cartellino segnafigure da pirla sembra la guida telefonica di Shanghai, che fa la sborona, finchè non tiro fuori il libro delle figure di merda…

Dottordivago

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Benvenuto, Dutèn

cesto18k

Si firma Piccione Viaggiatore, ma per me è sempre Dutèn, dialettizzazione alessandrina del suo cognome.

E’ un vecchio amico che ho ritrovato grazie a Feisbuk e da una ventina di anni è sempre in giro come le nuvole: non nel senso che è suonato come un tamburo e va dove lo porta il vento, no; nel senso che è super manager di una multinazionale che fa cose cazzutissime.

Dice che ‘sto posto gli piace, quindi si becca il tradizionale cesto di benvenuto.

Lo risentiremo…

Dottordivago

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Allora, messa giù semplice, le cose stanno così: il metano russo, per arrivare in Europa occidentale, deve passare dall’Ucraina, dove dovrebbe diramarsi in due direzioni, una per il fabbisogno interno ed una per evitare i geloni al resto del continente.
Quando esisteva ancora il non-rimpianto-Impero-Sovietico, l’Ucraina ne era parte, e la bolletta non gli arrivava: pagava Pantalonev, ‘tanto al Cremlino credevano che i soldi li cagassero le renne, così si permettevano di mantenere tutti quelli che appiccicavano falce e martello sulla bandiera, tipo Cuba ed altri esempi di democrazia socialista.

Poi è andato tutto a puttane.

Chi si è mosso bene, si è sistemato, tipo Abramovic, che si sarebbe potuto permettere di tenere Beckham come autista e quel ragno di sua moglie come sguattera.
Le nuove repubbliche ex sovietiche si sono trovate un po’ in mezzo a una strada, con una classe dirigente impreparata e corrotta, una classe media inesistente ed un proletariato cresciuto secondo la vecchia regola “tu fai finta di lavorare ed io faccio finta di pagarti”.
Quindi, per non saper nè leggere nè scrivere, molti sono rimasti nell’orbita della Grande Madre Russia, che ha passato un brutto momento comunque, ma possedere metà delle materie prime e delle fonti energetiche del pianeta è sempre un bell’aiutino, se non una gran bella botta di culo, nonchè una sicurezza per la vecchiaia.

Alcuni, invece, hanno detto “no, grazie, a noi ci piace la Coca Cola”, senza pensare che non la passa la mutua, così sono ancora in mezzo a una strada adesso, tipo l’Ucraina.
Con l’aggravante che “chi volta el cùu a Milan, il volta el cùu al pan” (porca troia, come si fa a scrivere la u coi puntini sopra?), ma chi gira il culo a Vladimir Putin rischia di più che girarlo a Vladimir Luxuria, visto che si becca la megabollettona del gas.

Siccome Putin è un bravuomo, per i primi tempi gli ha fatto un prezzo da amico    -circa un quarto di quanto lo pagavamo noi- per vedere se mettevano la testa a posto; il fatto è che questi non ci sentono, e continuano a volere la Coca Cola.
In più, oltre a bruciargli il gas, gli bruciano anche il paglione: niente di che, giusto un paio di miliardate di euri di vecchie bollette, una cifra che il buon Vladimir può spianare personalmente con quello che ha in una qualsiasi banca di Zurigo piuttosto che di Londra o Francoforte.

E’ una questione di principio, che diamine.
Così gli ha detto di chiudersi il rubinetto da soli, visto che la centrale di smistamento è in Ucraina.
“Fidati”, gli hanno risposto.
E si sono attaccati alla nostra canna del gas, ‘tanto “dove ci si scalda in due, ci si scalda anche in tre”; se poi pagano gli altri due, è la quadratura del cerchio.

Adesso, noi occidentali siamo dei pirla, ma i conti li sappiamo ancora fare, così abbiamo contestato la bolletta: già stiamo ingrassando quel mezzo milione di puttanoni che ci hanno mandato, Dio li benedica; già cerchiamo di rimettere in bolla quei bambini fosforescenti che, povere stelle, vengono qui a togliersi la più grossa, che Dio gliela mandi buona; insomma, non è che possiamo prendere tutta l’Ucraina su ‘ste spalle, eh?!…

E così il rubinetto l’ha chiuso lui.

Adesso tutti, in Europa, caragnano che il Vladimir fa un uso politico dell’energia, che vuole affossare il governo filo-occidentale dell’Ucraina, che vuole mostrare i muscoli all’Occidente; gli Ucraini, poi, fanno gli offesi.
Tutto ciò è incontrovertibilmente vero, però…

Però al mio paese hanno sempre detto “Prima spiana i gobbi e poi parla pure”.

Vi è mai capitato di avanzare dei soldi da qualcuno?
Se sì, avete mai provato a chiederglieli?
Se sì, qual’è la prima reazione?
Si offende.

Oddio, qualcuno, a botta calda, si sforza ancora di cercare una scusa, ma se insistete, statene certi, si offende.
L’ho capito, la prima volta, a18 anni: avevo venduto non ricordo cosa, forse un disco, ad un amico che non si è mai sognato di pagarmelo; ho provato a farglielo presente, con molto tatto, un paio di volte, ottenendo come risposta qualche grugnito incomprensibile misto ad alcuni “ma figurati…”; alla terza volta, non ci crederete, si è offeso; mi ha guardato, ferito nella nostra amicizia, e mi ha domandato:”Cos’è, hai paura che mi dimentichi?”
“Sì”.
Oh, mi ha tolto il saluto…

Quella è stata la prima, ma ho rivisto la stessa scena per anni da Baleta.
Cazzo, ragazzi… Baleta!

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Ad Alessandria basta la parola, ma questo è un blog ad ampio respiro e, siccome “nemo propheta in patria”, ho più lettori in India e Brasile che non nella mia città -forse perchè ne avranno le balle piene di sentirmi- quindi dirò due parole su Baleta.

Baleta era un posto.
Anzi, era il posto.
Ricordate Cheers e la canzone Where everybody knows your name?
Da Baleta tutti conoscevano il tuo nome, però ci aggiungevano sempre “coglione!”
Parafrasando Louis Armstrong quando parlava del jazz

se uno deve chiedere “cos’era Baleta”,
non lo capirà mai.

Aperto nel ’29, una sorta di sberleffo alla Grande Crisi, chiuso nel ’91.
Passato di padre in figlio, come un reame.
Era un piccolo bar con una grande sala dedicata al gioco delle carte, una saletta flipper ed un’ampia sala dalle basse volte a padiglione, con pilastri in granito e piccole finestre ad arco che davano su un vicolo, che ricordava più una catacomba pagana che una sala con cinque bigliardi.
I flipper erano le colonne d’Ercole per i nuovi arrivati, che col tempo acquisivano il diritto di passare ai bigliardi.

L’aristocrazia stava nel bar ed in sala carte.
Non esisteva un telefono, tranne quello a gettoni che non poteva ricevere
e le donne, garbatamente, non erano ammesse; ed a quei tempi non esistevano i cellulari.
In più c’erano due ingressi in due vie diverse: una sorta di porto franco, una Tortuga in pieno centro.

Lì nascevano cacce al tesoro, tornei di tennis e di calcio, nonchè la recita del 25 dicembre che, al teatro comunale di Alessandria, scatenava fenomeni di bagarinaggio che neanche la finale del Mundial…
Lì è nata e morta l’Alessandrinità, un misto di umorismo, pigrizia, cattiveria e disincanto.

L’ultimo proprietario, Gino, era soprannominato, ingiustamente, “l’Ebreo” perchè, come dire… non aveva le mani bucate, ecco, ma era -e, per fortuna, è-persona di altissima statura morale, grande cultura e raro senso dell’umorismo.
E’ ovvio che, quando uno ha a che fare con centinaia di clienti al giorno per cinquantanni, debba stare un po’ attento ai conti.
Personalmente ho un ricordo che, per i suoi detrattori, è un po’ ai confini della realtà: Baleta era chiuso da un anno, quando trovo Gino in un negozio mentre sto mettendo giù la mia lista di nozze.
“Oh Gallia, se ‘t fai?”
“La lista di nozze, Gino: stavolta mi tocca…”, rispondo con in mano un macinacaffè a tramoggia semi-professionale.
“E allora il caffè te lo offro io…” e, sotto i miei occhi, paga il pezzo che avevo in mano, mi fa tanti auguri e se ne va.
Alla faccia dell’Ebreo: grazie, Gino; ma non per il regalo: grazie di esistere.

Ehm… Dottordivago, si parlava del gas russo…
…e di quelli che si offendono quando…
Ah, sì, adesso ci arrivo.

Gino aveva la capacità ultraterrena di resuscitare ritagli di focaccia e fette di pan carrè che avevano visto giorni migliori e di trasformarli in toast deliziosi, nonchè la faccia di servire “tre ciliegie” sotto spirito al prezzo di tre belon ; forse è per questi motivi che in alcune biografie non autorizzate si è guadagnato l’appellativo semitico.

Ma soprattutto perchè Gino aveva il Libro Nero.

Quella specie di Neconomicon era un quaderno in cui l’importo dei crediti poteva tranquillamente risanare il bilancio di alcuni stati.
Alcuni facevano segnare per comodità, altri per cronica mancanza fondi; quindi “alcuni” provvedevano periodicamente a spianare il gobbo, mentre agli “altri” bisognava sollecitare più volte la cosa.
Beh, raramente nella mia vita ho visto persone offendersi così: cominciavano col controllare minuziosamente ogni voce, una consumazione sì ed una no dicevano “questa doveva offrirmela il tale”, poi disconoscevano la paternità di una focaccina e “tre ciliegie” e finivano in un crescendo rossiniano di “Ebreo di merda!…”, “Non mi vedi più!…” e porte che sbattevano.
Salvo tornare dopo qualche giorno di noia mortale, nel vicolo, a fare due parole con chi entrava ed usciva, prendere Gino da una parte e dargli qualcosa per “…cominciare a scalare”.
Ma si dichiaravano ancora offesissimi.

Una volta un cliente, anonimo perchè già tornato, si è trasferito in Polinesia, niente meno, lasciando un conto chilometrico; alla domanda “…ma dov’è che è andato Tizio?”, Gino rispondeva signorilmente “Sicuro non a Pago Pago…”, e mai una parola maligna o rancorosa.

Il più offeso del mondo è stato l’Uomo Pera.
Conseguito il diploma di scuola media inferiore presso un istituto privato, ha tirato i remi in barca e dall’età di 15 anni non ha più strappato una paglia.
Il padre ci ha messo qualche anno per capire l’indole del figlio, ma realizzata la cosa ha chiuso i rubinetti, come Putin, e l’Uomo Pera si è ucrainizzato a morte.
A ventanni riusciva a camolare qualche mille lire a mamma e nonni, ma spesso girava con cento lire in tasca, più spesso neanche quelle.
E quindi faceva segnare da Baleta.
Quando la misura era colma, Gino insisteva un po’ di volte -e l’Uomo Pera si offendeva- poi telefonava al padre che, tra un “…non gli dia più niente!” e una serie di madonne, spianava il gobbo.

Una volta, forse a causa del rimbambimento senile di una nonna, l’uomo Pera si presenta con diecimila lire in tasca!
“Gino, una focaccina…”
“Pear Man, il piatto piange…”
“Cazzo vuoi, ebreo di merda… Toh, sei contento? Posso pagartene dieci!” e gli molla il deca.
“Focaccina in arrivo…”
L’Uomo Pera se la gusta e si avvicina alla cassa per il resto; Gino estrae il Libro Nero, fa due conti e tira una riga su una minima parte della pagina, corrispondente a diecimila lire: “E’ una goccia nel mare, ma apprezzo la buona volontà…”
L’Uomo Pera si è sentito come Paperon De’ Paperoni quando trovava il deposito vuoto a causa della Banda Bassotti: ha imprecato, inveito, insultato, minacciato.
Ma soprattutto si è offeso.

Sono passati 25 anni, ma mi sa che è ancora offeso adesso.

Dottordivago

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Bon, questa è la volta buona che riusciamo a dare un senso a questo titolo, ricorrente dall’inizio dell’anno e che non ho mai giustificato nè in Dio maledica il ’68 nè in Dio maledica il ’68. E due… 
Daltronde, se non facessi regolarmente certe pirlate, mi chiamerebbero Dottorattento o Dottorpreciso e non Dottordivago.

Durante il cenone di Capodanno è buona cosa evitare scorregge ed argomenti impegnativi, con possibilità di deroga sulle prime: si sa, sò ccose di natura…
Quindi, quando è partita una discussione su maghi, stregoni e fattucchiere, ho evitato di impegolarmi in discussioni sicuramente sterili.
E poi, in cucina, avevo il lavoro che spingeva.

La sera successiva, quella in cui si finiscono gli avanzi, è ripartita la musica: un amico, che domenica 4 si è poi guadagnato la mia imperitura riconoscenza per il ristorante che ci ha fatto scoprire a Nizza (la Franzosa, non la Monferrina…), si dichiara scettico, ma ci racconta di una fattucchiera, dei cui servigi si è avvalso molti anni fa, che con lui ci aveva azzeccato di brutto.
Io ho fatto presente a tutti la storia di James Randi , decano mondiale degli illusionisti che fa tutto ciò che fanno i vari fenomeni paranormali, ma precisando che lui è un illusionista, non un fenomeno.

Da lì la storia si è allungata e si è finiti col discutere sulla salute mentale di quelli che vanno dal mago; io ho sempre sostenuto che il mago, così come l’omeopatia e le varie “medicine alternative”, possono avere un ruolo importantissimo, se si limitano a sfruttare l’unico effetto reale che possiedono: l’effetto placebo. Affiancandoli alle cure vere, possono dare ottimi risultati, visto che il nostro cervello ci aiuta realmente a guarire; se, invece, l’esperto occulto o lo pseudo-medico alternativo si vuole sostituire al medico, è meglio investirlo con la macchina.
Morale della favola, abbiamo deliberato che, nel caso di situazioni di altissimo stress -tipo gravi malattie- è lecito andare dal mago.

Poi qualcuno ha detto: “Sì, ma chi può definire la gravità di una situazione?”
Te la definisco io: se hai un maramau che ti mangia, oltre che dall’oncologo puoi andare anche dal mago; se ti molla la morosa, piuttosto che dal mago, fatti mangiare i soldi da un bel puttanone, che è sempre la cura migliore.

Apriti cielo: “Tu ti basi sulla tua soglia di sopportazione dello stress, ma se uno ritiene insopportabile già l’essere mollato dalla morosa? Chi può definire quanto una persona può reggere?”
Te lo definisco io: per millenni è stata valida la legge “Se sei scemo, stai a casa”, a braccetto con l’altra suprema massima “Chi sbaglia, paga”.

Fino al ’68, Dio lo maledica.

Sono rimasto l’unico a riconoscere di aver fatto una minchiata, quando la faccio?
Nessuno sbaglia più, nessuno ha mai colpa; e se proprio qualcuno deve pagare, che sia almeno la comunità, lo Stato.

Ce ne saranno state ideologie che hanno fatto danno all’umanità, ma la “Rivoluzione Fricchettona” è sicuramente testa di serie, la più subdola.
Comunismo, fascismo, nazismo, estremismi religiosi: tutti hanno fatto dei rotti, salvo pagare il conto quando la gente si accorgeva di ciò che gli avevano fatto.  O fatto fare.
L’ideologia sessantottina ed i suoi strascichi stanno sfasciando il mondo, ma chi propugna quegli “ideali” è considerato innovatore e progressista, anzichè un povero pirla senza contatti con la realtà.

Tutti i giorni trovo metastasi di quell’ideologia malata che voleva cambiare il mondo e che l’ha realmente cambiato, ovviamente in peggio.
Doveva essere uno sprone al cambiamento, il punto di partenza per un mondo più giusto, ma è quasi subito diventata il pretesto per giustificare qualsiasi cagata venisse in mente a quella generazione, la prima ad aver capito che a fare gli scemi spesso non si va in guerra; poi lo hanno capito le generazioni  successive.

Si è cominciato col mettere in discussione tutto, anche le cose indiscutibili.
Delinquente? No, colpa della società.
Tossico? No, vittima della società, mica di sè stesso.
Delinquente e tossico? Attenuante.
Fatemi capire: se mi faccio di brutto ed ammazzo uno a coltellate, è un’attenuante; se mi rifaccio, o mi inciucco, mi metto alla guida ed asfalto la vecchia, è un’aggravante.
Devo dire che quest’ultima mi suona giusta, ed infatti è roba recente, non figlia del ’68-Dio-lo-maledica; mi sa che a breve ci ripenseranno, faranno toh-toh sulle manine allo sbronzo stiratore di pedoni e bolleranno come tentativo di revisionismo questo breve momento di lucidità di un legislatore.

Lavativo a scuola? No, povera vittima di losche macchinazioni: quanti ne avete conosciuti, negli anni settanta, “bocciati per motivi politici”? E da lì, il “6 politico”, per arrivare ai debiti e ad una generazione di semi-analfabeti.

Lavativo sul lavoro? No, mobbizzato. E vai col sindacato pronto a blindarne il posto.

Bassa soglia di sopportazione dello stress (giusto per tornare al punto di partenza…)? E’ il mondo che deve cambiare, non tu che ti devi svegliare.

Tutto questo mi ricorda molto la storia del panda.

E’ scesa una cappa di buonismo, nei fatti e nelle parole: dal cieco che diventa “non-vedente” al disabile che diventa  “diversamente abile”: sì, lo so, è roba già sentita, ma se mi dicono diversamente abile, io penso agli X Men, che si fanno i cazzi loro ma, quando serve, tirano fuori un’abilità diversa, tipo uno che ti carbonizza con lo sguardo o un altro che, come diceva il sommo poeta Rasa, è in grado di “buttare la merda sui tetti e l’odore in cantina”: superpotere surreale, ma la poesia ha le sue licenze.
Se per fare tre scalini ti serve un elevatore, non sei diversamente abile, sei disabile, e vorrei farlo capire a quelli che giocano con le parole invece di far sparire i tre scalini o mettere l’elevatore.

Sapete cosa vi dico?
Che non ho più voglia di incazzarmi scrivendo di questo argomento e, senza se e senza ma, pianto lì baracca e burattini.
Non è giusto nei confronti dei lettori?
Beh… non è mica colpa mia: rivolgetevi alla Società, alla Famiglia o alle Istituzioni.

Io sono una vittima.

Dottordivago.

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