Allora, messa giù semplice, le cose stanno così: il metano russo, per arrivare in Europa occidentale, deve passare dall’Ucraina, dove dovrebbe diramarsi in due direzioni, una per il fabbisogno interno ed una per evitare i geloni al resto del continente.
Quando esisteva ancora il non-rimpianto-Impero-Sovietico, l’Ucraina ne era parte, e la bolletta non gli arrivava: pagava Pantalonev, ‘tanto al Cremlino credevano che i soldi li cagassero le renne, così si permettevano di mantenere tutti quelli che appiccicavano falce e martello sulla bandiera, tipo Cuba ed altri esempi di democrazia socialista.
Poi è andato tutto a puttane.
Chi si è mosso bene, si è sistemato, tipo Abramovic, che si sarebbe potuto permettere di tenere Beckham come autista e quel ragno di sua moglie come sguattera.
Le nuove repubbliche ex sovietiche si sono trovate un po’ in mezzo a una strada, con una classe dirigente impreparata e corrotta, una classe media inesistente ed un proletariato cresciuto secondo la vecchia regola “tu fai finta di lavorare ed io faccio finta di pagarti”.
Quindi, per non saper nè leggere nè scrivere, molti sono rimasti nell’orbita della Grande Madre Russia, che ha passato un brutto momento comunque, ma possedere metà delle materie prime e delle fonti energetiche del pianeta è sempre un bell’aiutino, se non una gran bella botta di culo, nonchè una sicurezza per la vecchiaia.
Alcuni, invece, hanno detto “no, grazie, a noi ci piace la Coca Cola”, senza pensare che non la passa la mutua, così sono ancora in mezzo a una strada adesso, tipo l’Ucraina.
Con l’aggravante che “chi volta el cùu a Milan, il volta el cùu al pan” (porca troia, come si fa a scrivere la u coi puntini sopra?), ma chi gira il culo a Vladimir Putin rischia di più che girarlo a Vladimir Luxuria, visto che si becca la megabollettona del gas.
Siccome Putin è un bravuomo, per i primi tempi gli ha fatto un prezzo da amico -circa un quarto di quanto lo pagavamo noi- per vedere se mettevano la testa a posto; il fatto è che questi non ci sentono, e continuano a volere la Coca Cola.
In più, oltre a bruciargli il gas, gli bruciano anche il paglione: niente di che, giusto un paio di miliardate di euri di vecchie bollette, una cifra che il buon Vladimir può spianare personalmente con quello che ha in una qualsiasi banca di Zurigo piuttosto che di Londra o Francoforte.
E’ una questione di principio, che diamine.
Così gli ha detto di chiudersi il rubinetto da soli, visto che la centrale di smistamento è in Ucraina.
“Fidati”, gli hanno risposto.
E si sono attaccati alla nostra canna del gas, ‘tanto “dove ci si scalda in due, ci si scalda anche in tre”; se poi pagano gli altri due, è la quadratura del cerchio.
Adesso, noi occidentali siamo dei pirla, ma i conti li sappiamo ancora fare, così abbiamo contestato la bolletta: già stiamo ingrassando quel mezzo milione di puttanoni che ci hanno mandato, Dio li benedica; già cerchiamo di rimettere in bolla quei bambini fosforescenti che, povere stelle, vengono qui a togliersi la più grossa, che Dio gliela mandi buona; insomma, non è che possiamo prendere tutta l’Ucraina su ‘ste spalle, eh?!…
E così il rubinetto l’ha chiuso lui.
Adesso tutti, in Europa, caragnano che il Vladimir fa un uso politico dell’energia, che vuole affossare il governo filo-occidentale dell’Ucraina, che vuole mostrare i muscoli all’Occidente; gli Ucraini, poi, fanno gli offesi.
Tutto ciò è incontrovertibilmente vero, però…
Però al mio paese hanno sempre detto “Prima spiana i gobbi e poi parla pure”.
Vi è mai capitato di avanzare dei soldi da qualcuno?
Se sì, avete mai provato a chiederglieli?
Se sì, qual’è la prima reazione?
Si offende.
Oddio, qualcuno, a botta calda, si sforza ancora di cercare una scusa, ma se insistete, statene certi, si offende.
L’ho capito, la prima volta, a18 anni: avevo venduto non ricordo cosa, forse un disco, ad un amico che non si è mai sognato di pagarmelo; ho provato a farglielo presente, con molto tatto, un paio di volte, ottenendo come risposta qualche grugnito incomprensibile misto ad alcuni “ma figurati…”; alla terza volta, non ci crederete, si è offeso; mi ha guardato, ferito nella nostra amicizia, e mi ha domandato:”Cos’è, hai paura che mi dimentichi?”
“Sì”.
Oh, mi ha tolto il saluto…
Quella è stata la prima, ma ho rivisto la stessa scena per anni da Baleta.
Cazzo, ragazzi… Baleta!

Ad Alessandria basta la parola, ma questo è un blog ad ampio respiro e, siccome “nemo propheta in patria”, ho più lettori in India e Brasile che non nella mia città -forse perchè ne avranno le balle piene di sentirmi- quindi dirò due parole su Baleta.
Baleta era un posto.
Anzi, era il posto.
Ricordate Cheers e la canzone Where everybody knows your name?
Da Baleta tutti conoscevano il tuo nome, però ci aggiungevano sempre “coglione!”
Parafrasando Louis Armstrong quando parlava del jazz
se uno deve chiedere “cos’era Baleta”,
non lo capirà mai.
Aperto nel ’29, una sorta di sberleffo alla Grande Crisi, chiuso nel ’91.
Passato di padre in figlio, come un reame.
Era un piccolo bar con una grande sala dedicata al gioco delle carte, una saletta flipper ed un’ampia sala dalle basse volte a padiglione, con pilastri in granito e piccole finestre ad arco che davano su un vicolo, che ricordava più una catacomba pagana che una sala con cinque bigliardi.
I flipper erano le colonne d’Ercole per i nuovi arrivati, che col tempo acquisivano il diritto di passare ai bigliardi.
L’aristocrazia stava nel bar ed in sala carte.
Non esisteva un telefono, tranne quello a gettoni che non poteva ricevere
e le donne, garbatamente, non erano ammesse; ed a quei tempi non esistevano i cellulari.
In più c’erano due ingressi in due vie diverse: una sorta di porto franco, una Tortuga in pieno centro.
Lì nascevano cacce al tesoro, tornei di tennis e di calcio, nonchè la recita del 25 dicembre che, al teatro comunale di Alessandria, scatenava fenomeni di bagarinaggio che neanche la finale del Mundial…
Lì è nata e morta l’Alessandrinità, un misto di umorismo, pigrizia, cattiveria e disincanto.
L’ultimo proprietario, Gino, era soprannominato, ingiustamente, “l’Ebreo” perchè, come dire… non aveva le mani bucate, ecco, ma era -e, per fortuna, è-persona di altissima statura morale, grande cultura e raro senso dell’umorismo.
E’ ovvio che, quando uno ha a che fare con centinaia di clienti al giorno per cinquantanni, debba stare un po’ attento ai conti.
Personalmente ho un ricordo che, per i suoi detrattori, è un po’ ai confini della realtà: Baleta era chiuso da un anno, quando trovo Gino in un negozio mentre sto mettendo giù la mia lista di nozze.
“Oh Gallia, se ‘t fai?”
“La lista di nozze, Gino: stavolta mi tocca…”, rispondo con in mano un macinacaffè a tramoggia semi-professionale.
“E allora il caffè te lo offro io…” e, sotto i miei occhi, paga il pezzo che avevo in mano, mi fa tanti auguri e se ne va.
Alla faccia dell’Ebreo: grazie, Gino; ma non per il regalo: grazie di esistere.
Ehm… Dottordivago, si parlava del gas russo…
…e di quelli che si offendono quando…
Ah, sì, adesso ci arrivo.
Gino aveva la capacità ultraterrena di resuscitare ritagli di focaccia e fette di pan carrè che avevano visto giorni migliori e di trasformarli in toast deliziosi, nonchè la faccia di servire “tre ciliegie” sotto spirito al prezzo di tre belon ; forse è per questi motivi che in alcune biografie non autorizzate si è guadagnato l’appellativo semitico.
Ma soprattutto perchè Gino aveva il Libro Nero.
Quella specie di Neconomicon era un quaderno in cui l’importo dei crediti poteva tranquillamente risanare il bilancio di alcuni stati.
Alcuni facevano segnare per comodità, altri per cronica mancanza fondi; quindi “alcuni” provvedevano periodicamente a spianare il gobbo, mentre agli “altri” bisognava sollecitare più volte la cosa.
Beh, raramente nella mia vita ho visto persone offendersi così: cominciavano col controllare minuziosamente ogni voce, una consumazione sì ed una no dicevano “questa doveva offrirmela il tale”, poi disconoscevano la paternità di una focaccina e “tre ciliegie” e finivano in un crescendo rossiniano di “Ebreo di merda!…”, “Non mi vedi più!…” e porte che sbattevano.
Salvo tornare dopo qualche giorno di noia mortale, nel vicolo, a fare due parole con chi entrava ed usciva, prendere Gino da una parte e dargli qualcosa per “…cominciare a scalare”.
Ma si dichiaravano ancora offesissimi.
Una volta un cliente, anonimo perchè già tornato, si è trasferito in Polinesia, niente meno, lasciando un conto chilometrico; alla domanda “…ma dov’è che è andato Tizio?”, Gino rispondeva signorilmente “Sicuro non a Pago Pago…”, e mai una parola maligna o rancorosa.
Il più offeso del mondo è stato l’Uomo Pera.
Conseguito il diploma di scuola media inferiore presso un istituto privato, ha tirato i remi in barca e dall’età di 15 anni non ha più strappato una paglia.
Il padre ci ha messo qualche anno per capire l’indole del figlio, ma realizzata la cosa ha chiuso i rubinetti, come Putin, e l’Uomo Pera si è ucrainizzato a morte.
A ventanni riusciva a camolare qualche mille lire a mamma e nonni, ma spesso girava con cento lire in tasca, più spesso neanche quelle.
E quindi faceva segnare da Baleta.
Quando la misura era colma, Gino insisteva un po’ di volte -e l’Uomo Pera si offendeva- poi telefonava al padre che, tra un “…non gli dia più niente!” e una serie di madonne, spianava il gobbo.
Una volta, forse a causa del rimbambimento senile di una nonna, l’uomo Pera si presenta con diecimila lire in tasca!
“Gino, una focaccina…”
“Pear Man, il piatto piange…”
“Cazzo vuoi, ebreo di merda… Toh, sei contento? Posso pagartene dieci!” e gli molla il deca.
“Focaccina in arrivo…”
L’Uomo Pera se la gusta e si avvicina alla cassa per il resto; Gino estrae il Libro Nero, fa due conti e tira una riga su una minima parte della pagina, corrispondente a diecimila lire: “E’ una goccia nel mare, ma apprezzo la buona volontà…”
L’Uomo Pera si è sentito come Paperon De’ Paperoni quando trovava il deposito vuoto a causa della Banda Bassotti: ha imprecato, inveito, insultato, minacciato.
Ma soprattutto si è offeso.
Sono passati 25 anni, ma mi sa che è ancora offeso adesso.
Dottordivago
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