Ero più bravo.
O avevo solo molto, molto più tempo?
Morale della favola, volevo scrivere due belinate sui miei gusti alimentari, cosa nata in un paio di commenti con Marco.
Così, prospettando di parlare dei cibi su cui ho cambiato idea, ho pensato al titolo “Solo gli imbecilli non cambiano mai idea”.
Poi, però, mi sono ricordato di aver già usato la stessa frase, così ho verificato; trovato il pezzo, l’ho riletto, poi il seguito.
E ci sono rimasto male.
Ero più bravo, non ci sono cazzi.
Oh teste di minchia, è la seconda volta che lo dico e non uno, dico “non uno”, che si schifi di darmi una grattata in testa di consolazione…
Ok, me lo dico da solo: avevo più tempo, questo è certo.
Prova ne sia il fatto che riesco a mettere giù qualcosa in questo momento, grazie (grazie una merda…) ad un temporale che mi lascia senza internet a singhiozzi, roba che per uno che lavora con le email…
Comunque, c’è chi con un punto d’appoggio prometteva di sollevare il mondo e chi, come me, si accontenterebbe di un pomeriggio libero per portare il cervello a correre e sporcare su queste pagine, né per sollevare il mondo né per cambiarlo di una virgola, solo per scrivere due minchiate.
Facciamo così: vi riscaldo un po’ di minestra.
Anzi, faccio come hanno fatto negli ultimi venticinque anni un sacco di creativi, a seguito di un famoso cornuto “che non lo sputo sennò lo profumo” che ha messo le mani su un mio format prima che io lo registrassi, format che prevedeva di far vedere la pubblicità alla gente con la scusa di fargliela studiare, valutare ed eventualmente premiare. Allo stesso modo, con la scusa del titolo già usato, vi infilo un riciclaggio.
A proposito del format, ve lo ricordate “Diogene: dalla parte del consumatore”? Scritto e condotto da Antonio Lubrano, era l’antesignano di “Mi manda Lubrano” (poi diventato “Mi manda RAI3”).
Bene, io avevo pensato ad un programma “dalla parte del produttore”, per il famoso principio che “i soldi bisogna prenderli ai poveri”, e prevedeva tutta una serie di presentazioni, test e altro, tutto con lo scopo di fare la più smaccata pubblicità, mantenendo la gente incollata al televisore, anzichè col dito fumante sul telecomando.
Il famoso stronzo, di cui non dico il nome per evitare una querela, se n’è impossessato per vie traverse e l’ha smembrato come fanno i pescecani della finanza con le aziende, privandolo della massa critica e creando una serie di programmucci poi diventati spunto per altri, poi altri ancora, tutti senza successo.
E nessuno ha capito che mancava il coraggio di produrlo così come era stato pensato: una cosa che le sparava grosse, anzi enormi, proprio per essere credibile, tipo la religione, per capirci: due miliardi di persone darebbero credito alla storia del figlio di una coppia di impiegati che a 33 anni prende la maturità e tre giorni dopo guarisce dal raffreddore? No.
Invece: padre falegname, mamma vergine, figlio di Dio (che sul curriculum fa un figurone), crocifissione, resurrezione.
Bisogna spararle grosse, per essere creduti.
Vabbè, la connessione internet è tornata, devo finire un lavoro, così vi copio-incollo i due post, ovviamente non perchè non ho il tempo di scrivere altro, ma quando mai…
È una specie di Amarcord, che fa da prologo ai miei prossimi cambiamenti di idea.
Torniamo al 2008.
1) Solo gli imbecilli…
…non cambiano mai idea.
Dottordivago.
Veramente non sarebbe una pensata mia, ma ho dato un’occhiata in rete e chiunque la citi la attribuisce a qualcun altro, da Socrate ad Einstein, passando per Gesù Cristo e Rasputin: oh, se non la vuole nessuno, la firmo io.
Sto vivendo un periodo di grandi cambiamenti, il che dovrebbe fornirmi l’alibi per eventuali accuse di imbecillità, ma chi mi conosce un po’ sa che ci vuole ben altro per sviare le indagini…
Da un mese a questa parte ho cambiato modo di vivere: mi sono dato alla sinistra, e con questo non intendo dire che mi sono comperato l’eskimo e la sciarpa rossa e non ho fatto un corso da sindacalista o su come far vincere le elezioni a Berlusconi fino a che vita gli arrida.
E’ che per un mese, in seguito alla sfiga al braccio destro di cui parlo nel post precedente, ho praticamente tenuto la mano destra come elemento di simmetria, tipo la gamba destra di Gigi Riva, ed ho imparato a fare un sacco di cose con la sinistra, battute sulle pippe a parte.
Per fortuna gli anti infiammatori bastardissimi che mi ha prescritto Dado ci stanno mettendo una pezza, ma se la faccenda durava ancora un po’ potevo pure imparare a scrivere con la mano di Leonardo Da Vinci.
Ho letto da qualche parte che fare le cose in modo diverso -ad esempio, lavarsi i denti con la mano insolita- stimola aree cerebrali normalmente inattive, il che pare sia un toccasana per i cervelli un po’ bolliti; questa cosa si è verificata anche nella mia scatola cranica, visto che, nel mio caso, parlare di “aree cerebrali” fa il paio col cercare i funghi su Saturno.
Prima svolta epocale: TIM, vadavialculo.
Me l’hanno veramente fatto a fette con tariffe orarie, geografiche o astrologiche; se chiami a quell’ora, va bene, se sbagli orario è come saltare il contrappello durante la naja: ti fanno un culo così. Se chiami uno dell’Acquario, ok, il Sagittario ti costa come una chiamata satellitare.
Con il mio contratto, vecchio come Noè, posso chiamare a prezzi normali, ma comunque vergognosi, tutti i cellulari ed i fissi 0131, il prefisso di Alessandria; se mi sbaglio a chiamare un fisso a venti chilometri da Alessandria, che so, uno 0143 di Novi Ligure, mi conviene di più lasciare scadere l’assicurazione della macchina ed investire una comitiva di neurochirurghi.
«Oh pirla -mi pare già di sentire- cambia e fai una tariffa flat».
Dunque, TIM ne propone una che sgobba 18 cent al minuto, senza scatto alla risposta, ma tariffata al minuto: in poche parole, se dici “scusihosbagliatonumero” sono 18 centesimi -350 lire!-, se invece parli un minuto ed un secondo, sono 36 centesimi, ed in lire ci pagavi il caffè.
Faccio una doverosa precisazione: non sono un rabbino e non conto i centesimi: prima di scoprire che con il “rito quotidiano dell’aperitivo” non riuscivo a stare sotto gli 80 kg, solo di Beck’s e Prosecco spendevo il decuplo che per il cellulare; il fatto è che trovo sia assai più nobile la cirrosi epatica che regalare il grano agli spacciatori di telefonia.
Vedo la pubblicità delle Poste, che ora offrono anche la telefonia cellulare acquistando traffico da Vodafone; tariffa flat, 11 centesimi al minuto, niente scatto alla risposta, tariffazione a 30 secondi; come dire che lo “scusihosbagliatonumero” di prima, sgobba 5,5 centesimi: essere distratti non costa più come avere un figlio scemo.
Ho chiesto la “portabilità del numero” – farà schifo, sì, come accezione?…- per cui a giorni mi chiamerà una signorina TIM per dirmi che lei, senza me, non può vivere: non vedrei l’ora che succedesse, se mi telefonasse un responsabile di quelli veri, uno che decide con quali porcate rubare i soldi alla gente; purtroppo sarà una che non conta un cazzo e senza colpe, per cui mi limiterò a dirle “Dica ai suoi capi che ci dovevano pensare prima”.
Certo che i vertici di TIM riescono tutti i giorni a dare nuovi significati al concetto di “faccia di merda”: mi vendono a 18 una cosa che Poste Mobile mi dà per 11, dopo averla acquistata da Vodafone che l’ha avuta da TIM; ora, bastardi, non potevate darla a me a dieci e non ne parlavamo più?
Ho sempre lavorato in proprio e mi domando come mi comporterei se scoprissi che uno qualunque, mai visto, comperando da uno che, a sua volta, compra dal mio fornitore storico, fosse in grado di darmi un prodotto a metà prezzo rispetto al primo della fila; come minimo farei un ordine bello corposo e poi, si sa, pagare e morire c’è sempre tempo.
Solo che con TIM non so come vendicarmi: se avete qualche idea…
Mi sa che Telecom intenda smettere di operare direttamente sul mercato e che, piuttosto, preferisca fare da grossista per gli altri operatori; un po’ come quei puttanoni che, raggiunta una certa età, smettevano con la professione e, oltre a tenersi qualche clientone storico, diventavano le maitresse di qualche casino e si “accontentavano” di vivere con la cagnotta sulle altre ragazze; ragazze che, sì, si tenevano la fetta più grossa, ma gli toccava pure acchiapparsi certi cazzi…
E con questa eterea similitudine dalle alate parole, vi lascio: ho un divano selvatico da domare dieci minuti, poi nanna.
Domani altri grandi cambiamenti, roba epocale: cambio palestra e barbiere.
Nulla sarà più come prima…
2) Continua da “Solo gli imbecilli”
“Se tutto deve rimanere com’è, è necessario che tutto cambi”
Dottordivago.
E allora, cos’è quella faccia lì?
Non ci credete che trattasi di aforisma del Dottordivago?
Sì, c’è stato un certo Giuseppe Tomasi di Lampedusa che ha detto qualcosa di simile, di molto simile…
Però quando Celentano e Don Backy hanno firmato “Pregherò” spacciandola per un loro brano, tutti zitti, eh?
E tutti i tarocchi di Zucchero… eh?
Vabbè, tanto qui non stiamo parlando di finti cambiamenti gattopardeschi, qui si parla di un Dottordivago che dà una sterzata alla sua vita.
Magari partendo da cazzatelle come l’operatore telefonico (vedi post precedente) o altre cretinate che vedremo ora, però hai visto mai che da cosa nasca cosa…
Il problema è che la svolta “TIM, vadavialculo” mi ha dato soddisfazione, altri cambiamenti in corso d’opera meno, tipo il barbiere e la palestra.
Voi, a me mi conoscete, no? Spargo letame e sputo veleno, ma sono un tenerone che dà un valore immenso all’amicizia ed ho un atteggiamento simile anche nel campo delle buone conoscenze-quasi amicizie; anche solo fare due parole storte con un conoscente mi fa stare male, non parliamo di un amico: quand’è successo, non ci dormivo la notte.
Che poi quest’atteggiamento me l’abbia fatto prendere almeno due volte in quel posto a causa di ex amici, è una storia che non ho il piacere di raccontare; preferisco far notare che trombate da estranei non ne ho mai prese, semplicemente perchè non sono il più stupido del mondo, solo non credevo che un amico mi potesse fottere, e se con la guardia bassa si fa poca strada sul ring, anche nella vita non si va lontano.
Diciamo che ora ci sto più attento, ma se sarà destino, succederà di nuovo; non riesco proprio a togliermi dalla mente quel pensiero di merda “Ma figurati se proprio “X” mi fa un colpo del genere…”
Va beh, chiuso l’incidente.
Tema: la mia palestra.
La mia palestra da un mese è la mia ex palestra, e mi dispiace un po’: ci stavo bene e lì ho conosciuto persone che mi auguro proprio di non perdere, in primis Claudiochenecapisceparecchio, il mio guru informatico che non mi caga più tanto ma io lo vogliobbene lo stesso; sarebbe lungo citarne altri ma ci metto dentro almeno la titolare, che ho iniziato anni fa a chiamare signora Maestra e che adesso è chiamata così da metà iscritti.
E’ un posto giusto per me: tutte le palestre che conosco io o sono dei posti da caga-amaretti radical trendy, o sono posti pieni di idioti che si rovinano la salute per scolpirsi fisici ripugnanti, o sono postacci da Pino dei Palazzi -a proposito, Mimmo, c’hai zigarettee?…-
Nella mia ex palestra c’è la gente normale.
E allora, com’è che è diventata “ex”?
Per usare un eufemismo dirò che, come palestra, bellissima non è: scordatevi scintillii inox e luccichii di parquet, sale relax, bar interno e quant’altro; c’è quel che serve, senza fronzoli.
Ma a me è così, che piace.
C’è sempre stata una cosa che mi ha fatto incazzare dal primo giorno: lo spogliatoio.
E’ il locale più freddo, umido e puzzolente della provincia.
Non ho detto che sia sporco, sia chiaro, ma è un buco malsano al pianterreno, in un angolo in ombra dello stabile, con l’umidità che affiora da sotto che cerca di incontrarsi con quella che scende dal soffitto, visto che sopra ci sono i bagni delle donne e gli impianti, è proprio il caso di dire, fanno acqua da tutte le parti.
Praticamente una grotta.
E come tale non è dotato di finestre, tranne due buchi sopra le docce, che se li apri in questo periodo devi usare il bagnoschiuma additivato con l’antigelo.
Al ricambio d’aria dovrebbero provvedere un paio di ventoline del diametro di un cento lire ed un depuratore/filtratore che basterebbe a malapena per una scarpiera, se il filtro non avesse la mia età; e tutta questa profusione di mezzi e tecnologie ha un problema di fondo: è tutto collegato all’interruttore della luce, così il primo pirla che esce dallo spogliatoio e la spegne, stacca tutto, e l’ambiente torna ad essere una seducente fungaia, ricca di odori di bosco sottobosco sottosottobosco e nebbioline.
Peccato che il legno delle panche sia verniciato, sennò ogni autunno un bel raccolto di famigliole da polenta non ce lo toglieva nessuno.
Manca un anti-bagno, cioè qualcosa che separi lo spogliatoio dal gabinetto; ci sarebbe una porta, ovvio, ma se qualcuno, sbrigata una pesante incombenza non la chiude, ti porti a casa sui vestiti ciò che resta della sua cena; con un chiudiporta da 20 euro si eliminerebbe il problema.
Niente.
Voi forse penserete che sono un rompicoglioni, ma voglio mettervi a conoscenza di un fatto: l’odore, detto in soldoni, è determinato dalla presenza di particelle di una certa sostanza in sospensione nell’aria; da ciò si desume che se senti odore di merda, è perchè stai respirando merda.
Daccodo, particelle, ma sempre merda.
Sommando questo fattore al tasso di umidità del locale ed alla ventilazione solo virtuale, si ha come risultato che una cagata media ha il tempo di decadimento del plutonio, circa 20.000 anni.
Avevo richiesto la soluzione del problema, almeno collegando la “ventilazione” -va beh, ventilazione è una parola grossa…- non più all’interruttore ma ad una normalissima presa fissa, intervento dal costo previsto di 10 euro.
Niente.
Ringraziando la Madonna lì dentro fa un freddo del cazzo, sennò, con tutta quell’umidità, lo spogliatoio si trasformerebbe in un utero artificiale, in cui potrebbero svilupparsi forme mutanti dei peggio virus, roba da Alì il Chimico.
Io arrivo intorno alle 12, il riscaldamento parte tre ore prima e fino alle 13 c’è da battere i denti: tutti si lamentano che fa un freddo cane ma nessuno parla.
Così c’ho pensato io, facendo notare che diciotto gradi in uno spogliatoio non sono proprio indicatissimi: posso capire che in inverno sia più salutare vivere in case non caldissime, coprendosi magari un pelino di più -tutte balle, a casa mia ho 23° e sto da Dio- ma la cosa è di difficile attuazione in un luogo preposto a svestirsi e farsi poi la doccia.
Qualcuno deve averci pensato e l’ha chiamato “spogliatoio”, non “copritibenetoio” o “mettilamagliadilanatoio”: no, l’ha battezzato “spogliatoio”, luogo dove, per antonomasia, non ci si veste pesante.
La cosa che mi faceva incazzare è che con due lire si metterebbe a posto tutto, cosa che ho fatto notare più volte.
Morale della favola: io voglio bene alla Maestra ma, conoscendomi, ho capito che ero “a una col Jolly” (gergo da Ramino che sta per “essere in procinto di”, ndr) dal farmi una litigata a colpi di “Barboni-spendete-cinquanta-euro-in-quel-posto-del-cazzo”.
Così ho fatto la bella.
E bon.
Tema: il mio barbiere.
Sono due fratelli, e li conosco da trent’anni.
Tra i vari amici, ci siamo sempre domandati come facciamo ad andare lì per farci tagliare i capelli, quando è acclarato che quelli bravi sono diversi e che, a questi, di opere liriche non gliene dedicherà mai nessuno.
Risposta: vai lì, dici quattro cazzate e per mezzora non pensi al resto della giornata che ti aspetta o che sta finendo.
E poi sono bravi ragazzi.
Il fatto è che la situazione va peggiorando: uno dei due è sempre stato temuto come la peste da tutti i clienti, così si fa quelli di passaggio; l’altro, quello bravo, mi ha sempre costretto, nei due o tre giorni che seguivano il suo lavoro, ad accorciarmi in proprio le ciocche che lui dimenticava di tagliare, sempre sul lato destro: e va bene…
Con l’aggravarsi della situazione, diciamo da due o tre anni, ho cominciato a fargli notare che sul lato desto “mi sembrano più lunghi, o sbaglio?”
“Sbagli”, e da lì partono spiegazioni che tirano in ballo l’umidità o la secchezza del clima, le macchie solari, gli esperimenti atomici ed i poteri occulti.
Una volta, palesemente in torto, mi ha detto: “E’ che hai la testa un po’ quadrata e così sembra che…”
IO NON HO LA TESTA QUADRATA.
Al limite trapezoidale, ma per colpa sua.
Ho un sacco di “capelli ricci e belli”, e quelli bianchi tocca cercarli col lanternino.
Tempo fa ho collaborato ad alcuni programmi RAI, quand’era ancora in Via Teulada, ed un barbiere della via, che accorciava peli famosi da quarantanni, mi disse un giorno che avevo una testa perfetta, come Gian Maria Volontè e Marcello Mastroianni.
E allora, eh?
Ho cominciato a curare il mio barbiere e l’ho beccato: se perde mezzora sulla mia testa, passa cinque minuti a destra, cinque minuti al centro e venti minuti a sinistra; gliel’ho fatto presente, e lui mi ha guardato come per dirmi “Vuoi insegnare a tuo padre come si fanno i figli?”.
L’ultima volta, ci siamo superati: lui mi ha fatto una testa come quella che Andrea Lucchetta sfoggiava negli anni 90, trapezoidale, ed io ho fatto finta che andasse tutto bene, salvo lavorare dieci minuti al giorno per una settimana, man mano che le ciocche riprendevano la piega naturale.
Non tornerò dai due bravi ragazzi.
Mò che mi passa il male al braccio e che mi ricrescono i capelli, corro il rischio, nello stesso giorno, di cambiare palestra e barbiere; sicuramente proverò una sorta di disorientamento, come una vertigine.
Ma sarà un momento solenne e mi voglio preparare una frase ad effetto; anzi, l’ho già pensata:
E’ un piccolo passo per un uomo ma un passo da gigante per l’umanità
Sì, mi è venuta bene…
Continua.
Dottordivago
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