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Archive for febbraio 2010

Mi collego a a quanto detto dal me amìs Tuttoqua a proposito dell’orca “assassina” di SeaWorld, Orlando, Florida, USA: è uno che si documenta, il nostro ragazzone.
Non lo definisco un primo della classe solo per il significato negativo dell’accezione, diciamo che è il compagno sveglio che ti passa il compito di matematica.
Aspettavo di avere due minuti per documentarmi e mettere insieme qualche minchiata sull’argomento ma…
Primo: odio documentarmi.
Secondo: l’approssimazione al potere!
E così mi faccio passare il compito da Paulìn…

La storia la sapete: un orca –senza apostrofo, trattasi di maschietto- ammaestrata (ma non rincoglionita e, di sicuro, un po’ infamina…) ha giocato a “vediamo chi resiste di più sott’acqua” con la sua maestra: ha vinto lei.  
L’alunna, intendo.
Ah, ne parlo comunque al femminile perchè, a definirlo “un orco”, passo da pirla.
Domandata (domanda/divagata): se il leone ha la leonessa, il maiale ha la scrofa, perchè l’orca è sempre femminile?
Non è che, sotto sotto, ‘sto bestione si incazza periodicamente proprio perchè si rompe i coglioni –fidatevi, li ha…- di sentirsi chiamare “bella” e di vedersi sempre regalare corredini rosa?

Non per altro: non so se avete letto da Paulìn o se avete sentito qualche notiziario, ma il nostro amico è già alla terza tacca che fa sul segnapunti.
Daltronde, vive in “cattività”, non in “bontà” o “mansuetudine”…

Nel ‘91 ha lanciato svariate volte un’altra addestratrice e l’ha stampata come un manifesto; dice: “per loro è un gioco”, però la tipa l’hanno fatta su a fascicoli settimanali come le enciclopedie…
Nel ‘99 ha segato un barbone che ha praticato lo “scavalco notturno” per scroccare un bagnetto in piscina: con questo non ha giocato, questo l’ha proprio mangiato; con le maestre si limita a “giocare”: troppo pulite e profumate, praticamente una fettina di vitello da latte, poco saporite; forse il pesciolino ama il gusto di selvatico e con un bisunto barbone non si è tenuto.
Altra domandata: ma che sfiga c’ha ‘sto barbone? La Florida può esportare piscine in tutto il mondo, praticamente ogni casa ne ha una, addirittura ci sarà della gente che prima fa la piscina poi chiede il mutuo per la casa, è più facile mettere un piede in piscina in Florida che pestare una merda di cane su un marciapiede di Alessandria e questo, dove scrocca due bracciate?
Nell’unica piscina dove ci sono più denti che acqua, denti nella bocca di una testa di cazzo di 6 tonnellate. 
Mah…

Poi, l’altro giorno, la maestra ha fatto la fine dei gattini che nessuno vuole.

Brutta storia, ma si sa, chi va per questi mari, questi pesci piglia: il mugnaio si infarina, lo spazzacamino si annerisce, chi gioca col fuoco si brucia.

Avete notato che tra gli addestratori le donne sono una percentuale altissima?
Forse perchè sono un po’ scollegate dalla realtà, come quando, in macchina, fanno “il dito” a quattro albanesi che tagliano loro la strada: queste donne avranno tutte le ragioni del mondo, ma se poi quelli si incazzano…
Allo stesso modo, secondo me non si rendono bene conto che nella bocca di un’orca ci sta comodamente una lavatrice e che un colpo di coda è come fare a testate col Torino-Reggio Calabria.

A causa del vizio che ho di aggredire i cani per strada –non mi tengo, se vedo un bel cagnone gli salto addosso e mi rotolo per terra con lui- mi hanno sempre detto: “Qualche giorno ti fai mangiare”; lo so, non è mai successo ma potrebbe capitare.
Il fatto è che, se mi va male il colpo, rimedio un morso; se poi si trattasse di cane feroce, i morsi potrebbero essere due, non di più: basta non perdere la testa e strizzargli la trachea come se fosse un limone, alla peggio gli si infila un dito in un occhio –tutto il dito-; pugni e calci non servono a niente, ricordatevelo, in caso di emergenza.
Con un orca di sei tonnellate il sangue freddo non serve: ce l’hai nel culo, punto e basta.

Divagata di servizio: visto che questo è un blog che “insegna a vivere”, donne, sappiate che la stessa cosa dei cani vale anche con gli uomini, in caso di aggressione; ricordatevelo e recitate spesso questo mantra: occhi – gola – palle, occhi – gola – palle; fatelo spesso e potreste ritrovarvi pronte in caso di necessità.
Per una volta non scherzo, fatelo davvero: la testa deve essere pronta più del corpo, lasciate perdere i pugni al sacco in palestra, non siete attrezzate e solo al cinema la gente va giù per un pugno; allenatevi a pensare a cosa fare in una situazione di emergenza, concentratevi sulle parti molli e delicate
–occhi, gola e palle, appunto-
e ricordate che un ombrello non è una spranga, non datelo in testa come le vecchiette delle comiche ma usatelo di punta, con il peso di tutto il corpo.
Ma tutto deve partire dalla vostra testa: occhi – gola – palle, occhi – gola – palle, da ripetere una decina di volte al giorno.
Li voglio cattivi, i miei angeli…

Tornando in Florida –magari!…- non prendo posizioni: è un problema senza soluzioni.
La gente –anche chi poi si scandalizza- vuole lo spettacolo, e quello, indubbiamente, lo è: vedere certi animali da pochi metri è fantastico, vedere la maestra/spuntino/giocattolo che vola cinque o sei metri fuori dall’acqua, spinta da un animale meraviglioso come un’orca adulta, ha qualcosa di magico; inoltre, entrambe fanno il loro mestiere, con la differenza che alla maestra non l’ha detto il dottore mentre l’allieva, forse, ne farebbe a meno; se poi capita che l’orca va un po’ lunga, sarebbe buona cosa ringraziarla per i servizi resi fino a quel momento all’azienda e lasciarla andare dove dovrebbe stare, ma alla prima volta, e non cominciare a pensarci dopo il terzo “incidente”: è la stessa cosa che dovremmo fare con i nostri politici.

A proposito: perchè non far sapere in segreto a Berlusconi e Bertolaso, grandissimi cani da figa, che ad Orlando c’è un gran pezzo di (s)orca che li aspetta per una nottata in piscina, dopo la chiusura?
Anzi, no: come diceva Hannibal Lecter

“Vi aspetta per cena”.

Dottordivago

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La Mercedes non mi è mai piaciuta, io sono un turbotarro da BMW.
Ma la prossima scelta sarà Mercedes, che di cognome fa Bresso.

Parliamo un momento delle prossime elezioni regionali, nel modo meno scassaminchia possibile.

Premetto che, per me, la regione Piemonte ha un “presidente”, non ha un “governatore”: mi va bene il Governatore di Maracaibo, acerrimo rivale dei Compagni della Filibusta; mi va bene il Governatore della California, che si è fatto le ossa come Conan il Barbaro e come Terminator.

Quello che gestisce la regione Piemonte è un “presidente”, è uno –nel nostro caso “una”- che tuttalpiù si fa una cioccolata al Bicerin e non tracanna rhum dal barilotto, è uno/una che maneggia i nostri euri e non i dobloni del Re di Spagna.
Quindi resta un/una presidente.

Bene, a noi piemontesi, a breve, toccherà scegliere tra confermare presidente Mercedes Bresso, centro-sinistra o eleggere Roberto Cota, centro-destra.
Prima di decidere di smettere –sono tornato a votare solo per contribuire ad eleggere l’attuale Sindaco- ho sempre votato a destra; stavolta andrò a votare e lo farò a favore della BMW, pardon, la Mercedes.

Non la conosco, non provo particolare simpatia o antipatia, così come non conosco Cota, per cui nutro gli stessi sentimenti.
C’è però una cosa che fa pendere la bilancia a favore di BMW Bresso.
Premesso che il motto di questo blog è “L’approssimazione al Potere”, quando Cota è stato eletto in parlamento, il secondo classificato/primo dei trombati dello stesso collegio è stato quel galantuomo di Maurizio Grassano, già Presidente del Consiglio comunale di Alessandria.

Se dico delle cagate, correggetemi, ed io rettificherò prontamente: mi risulta che questo signore lavorava per una ditta di tinteggiature che aveva in organico, oltre al titolare, proprio il sig. Grassano; il suo apporto era assolutamente determinante, tant’è vero che il Comune di Alessandria si è ritrovato a pagare –non so se a lui o alla ditta, costernata per cotanta perdita- uno stipendio di circa 200.000 euro all’anno, 18.000 euro al mese malcontati, cosa, peraltro, assolutamente conforme a quanto prevede la legge.

La stessa legge che definisce i vostri stipendi.

Preciso che la ditta di cui il signor Grassano era insostituibile perno, non si occupa della verniciatura del rivestimento termo-isolante dello Shuttle nè del rifacimento della Cappella Sistina: si parla di imbianchini.
Poi qualcuno si è reso conto che l’imbianchino –o direttore o Gran Mogol degli imbianchini, non so- meglio pagato d’Italia, forse l’aveva fatta fuori dalla tazza.
Gira e rigira, sembra che non percepisca più quello stipendio a carico di noi alessandrini: non so –e non ho voglia di approfondire una cosa che mi dà la nausea- se l’hanno cortesemente messo da parte o se ha dato le dimissioni, resta il fatto che il Comune di Alessandria, indebitato per le prossime dodici generazioni, che non sta pagando i fornitori per mancanza di fondi e che si trova ad un passo dal commissariamento, almeno quella voce di passivo se l’è tolta.

Ma l’Imbianchino dei Re, nonchè Re degli Imbianchini, ha un asso nella manica: se Cota diventasse Presidente del Consiglio Regionale, sapete chi prenderà il suo posto in Parlamento?

Proprio lui: Maurizio “Pennello d’Oro” Grassano.

Questo post, che potrebbe sembrare ostile al povero imbianchino, in realtà parla in suo favore.
E ve lo dimostro.

Signor Grassano, lei la deve smettere con la politica, lo dico per il suo bene, la politica la danneggia.
Già con lo stipendio del Comune andava si e no pari con quanto percepiva nel settore tinteggiature; ora, se ci si mette la sfiga e si libera il posto di Cota in Parlamento, si rende conto che a Roma lo stipendio è da fame?
Parliamo di  16.000 euro malcontati al mese: ma quanto finirà per rimetterci, di questo passo?
Non so se lei ha una famiglia: se ce l’ha, pensi a loro, e mandi avanti quell’azienda d’oro.
Dia retta: a conti fatti, meglio l’impalcatura o la scala alessandrina che la poltrona romana.

Spero che il signor Grassano mi dia retta, anche perchè uno come lui, in Parlamento, in mezzo a delinquenti di portata planetaria, sarebbe come un ragazzino effeminato in mezzo agli ergastolani…
Nel dubbio, io intendo evitargli l’insano gesto e voterò per BMW Bresso ed invito tutti a fare lo stesso: che ci stia Cota, a Roma, col suo stipendio da fame.

Piemontesi, fate girare queste quattro righe, diamo una mano ad un animo nobile che si sta dissanguando per la Politica, quella con la P maiuscola.

Vota BMW.

Dottordivago

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Berlusconi dichiara che non sarà una nuova Tangentopoli.

Vero: allora, qualcuno in galera c’era passato, oggi si sono rubati pure Di Pietro.

Dottordivago

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Quando è partito questo blog, il bel titolo dell’ancor più bel libro di Fruttero e Lucentini era nelle mie nomination, nel senso che era tra i nomi papabili con cui battezzare Ilpandadevemorire. 
Dopo aver dato un’occhiata ‘ngopp’ internèt ci ho rinunciato: “La prevalenza del cretino” è talmente bello che milioni di “scrittori” ci avevano pensato prima di me, quindi ho rinunciato. E poi, un nome così mi avrebbe imposto di parlare solo di cretini, al punto che i lettori avrebbero potuto pensare che il titolo fosse tutt’uno con l’autore. 
”Ilpandadevemorire”, forse perchè meno intelligente, era venuto in mente solo a me, quindi…
E poi, dài, “Ilpandadevemorire” non è brutto, no?

Oggi, però, quel titolo mi serve, ne ho bisogno come il pane.

In sintesi, “La prevalenza del cretino” sostiene che è accettabile un 10/20% di cretini all’interno di una società; quando la percentuale supera il 50%, il cretino diventa prevalente.
Comunque, il cretino prevale sugli altri individui per un fatto di smaccata evidenza. 
Se lanciare questo allarme negli anni 80 era segno di particolare intelligenza ed acutezza, oggi è una specie di mantra che mi recito per buona parte della giornata, infatti un numero impressionante dei miei post può essere sottotitolata “La prevalenza del Cretino”: se ne facessi una categoria, sarebbe quella con più titoli collegati.

Allora, ieri ero invitato a pranzo da mio cognato, in occasione del compleanno di sua moglie, mia sorella.
Sì, anche lei è nata in febbraio, come me: evidentemente, nel periodo maggio/giugno, a mio padre scattava la malvasìa, oppure a mia madre succedeva come  alle leonesse del Serengeti e lo costringeva ad un centinaio di sedute giornaliere, morale, eccoci qua, mai sister end mi.

Mio cognato… ecco… a parte il resto, non si intende un granchè di cibo, così siamo finiti in un posto di cui fingo di non ricordare il nome, che poi non so cosa significhi, il nome, e non mi interessa; io ci andavo ventanni fa, quando dentro c’era un mio amico; finita la sua gestione, non ci sono più andato, un po’ perchè mi ricordava Maurone, che non si è ritirato dagli affari di sua volontà ma si è ammazzato in moto, un po’ perchè è ubicato in un paesino che… va beh, ho visto di meglio: per darvi un’idea, ieri lì c’era la nebbia mentre ad Alessandria splendeva il sole; vi basta o devo infierire?

Arriviamo al ristorante: in strada c’è il posto per parcheggiare la flotta aziendale della Hertz; io, personalmente, parcheggio a sei metri dall’ingresso, esattamente a 5 metri da da questo esempio di coerenza ed intelligenza automobilistica:

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 quello che si intravede dietro è l’ingresso del ristorante

e qui lo vedete meglio:

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Ingresso mozzafiato, eh?
Ah, mi accorgo adesso che ho scattato le foto con l’immagine ribaltata, probabilmente mi si è imbizzarrito il cellulare; comunque, nel caso la vista esterna non fosse eloquente, beccatevi il retro della medaglia:

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Prima Regola della Ristorazione: rendere difficile l’accesso al locale.
Se non è sufficiente il parcheggio dissuasivo, occorre rafforzare le difese, tenendo ostinatamente chiuso metà portone.
In questo caso, poi, forse il portone ha l’occhio pigro e bisogna chiudere un’anta perchè guarisca, come si fa con gli occhiali dei bambini.
E poi: ”Dove siamo, a Lourdes? Se un handicappato volesse mangiare un boccone, siamo attrezzati per tirarglielo con la fionda: siamo gente del mestiere…”

Fatti sette o otto passi, si passa a fianco della zona-griglia: sotto al piano di lavoro –porca troia, mi son perso la foto!- ci sono alcuni sacchi di patate, quelle da fare alla brace; ora, va bene che hanno la buccia, ma non sarebbe male presentarle lavate in un contenitore anzichè un po’ nei sacchi ed un po’ per terra.
Tranquilli, sono sicuro che subiranno un lavaggio maniacale prima di finire nella brace…

Altri cinque passi e si arriva all’ingresso vero e proprio:

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Seconda Regola della Ristorazione: ammucchiare quanta più rumenta possibile dove passano i clienti.
Se poi questi inopportuni insistono e, oltre ad entrare, vogliono sedersi a tutti i costi, si passa alla successiva, tassativa, Terza Regola della Ristorazione:

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che prevede di far sedere i clienti –oh, se la sono voluta!- vicino ad un’altra discarica d’emergenza, possibilmente –ma solo nei locali veramente di classe- attaccati ad una gabbia di cocorite, o cosa cazzo saranno, le quali, ringraziando la Madonna, scoppiano di salute e cagano come orsi.
Per la precisione, quel mucchio di cappotti sulla sedia sono i nostri: ”No, dico, pretendete pure il guardaroba!? E dove siamo, a teatro?”
Sulla sedia seminascosta c’era seduta Bimbi, a cui lascio sempre il posto spalle al muro, così può godersi la vista del locale: mmm… non so se le ho usato una cortesia o se le ho fatto un dispetto…

Gente, sono ospite: cominciare a caragnare è come dire “Ma dove cazzo mi avete portato?”, quindi zitto e mosca, che ne ho già da pensare: metti che le stesse maniacali attenzioni riservate alla presentazione del locale vengano rivolte anche alla scelta delle materie prime ed alla lavorazione delle medesime?

Per non pensarci, mi guardo intorno con occhio attento e mi concentro sull’individuazione del potenziale cliente dal parcheggio disinvolto: uno che si fa portare in giro da 25 quintali di SUV, a quattro km per litro, che praticamente blocca l’ingresso, deve essere evidente come un cane in chiesa.
Mah, a prima vista non vedo baüscia o facce da pappone… dove sarà? Uno così, per un occhio allenato, dovrebbe essere come una specie di faro nella notte, oltre che un dito nel culo per l’umanità.
Ah! forse ci siamo.
C’è un trucido stravaccato sul divanetto di fronte al camino, in penombra, con gli occhiali da sole tipo Blues Brothers: eh eh, ti ho beccato…
No, non ci siamo: dopo dieci minuti si alza ed indossa una tenuta scura ma indiscutibilmente da cuoco.
Non può essere lui.
Vabbe’, ci rinuncio.

La faccio breve sul cibo: salame e parmigiano per antipasto, il tutto già sul tavolo da non si sa quanto tempo, come previsto dal ponderoso trattato “Ossidazione e rinsecchimento degli alimenti”.
Due primi: una montagna di “pappardelle al dado” –la Knorr ringrazia, il fegato meno…- seguite a ruota da agnolotti commestibili.
Per secondo, carne alla griglia: mi è già capitato di peggio, si lascia mangiare.
Dessert furbo, buon risultato col minimo sforzo: pere, banane e savoiardi da passare in una fonduta di cioccolato.
Molti apprezzeranno la possibilità di alzarsi con la caraffa in mano e fare ripetuti pieni di vini alla spina (si può trovare di peggio in alcune bottiglie) e birra, senza limitazioni o controlli, una specie di “all you can drink”: l’iniziativa sarebbe da proporre in Francia, dove l’acqua costa quanto il vino da noi ed il vino costa come Chanel N°5.
Tutto sommato, se vi portano lì a mangiare, incappucciati come la vittima di un sequestro, in modo da non potervi godere la cura dell’ambiente, rischiate di non litigare: 30 euro, salvo isole felici, sono il minimo della pena, anche considerando che la quantità di “dado” nelle pappardelle sarà costata quanto una grattata di tartufo.

Verso le tre ce ne andiamo, per ultimi, ed il sacrilegio a motore è ancora parcheggiato lì: è del titolare, quello che se ne stava in penombra, stravaccato, a guardare il camino con gli occhiali da sole.

Bravo.

Ma si può fare di meglio: pagare qualcuno perchè stia nascosto dietro al SUV, con la mansione di lanciarsi in tackle scivolato sulle ginocchia del cliente che, nonostante tutto, si ostini a voler entrare.

Dottordivago

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Benvenuta Anna

benvenuto

 

Sapere che esisti, Clarice, fa del mondo un posto migliore.
Hannibal Lecter

‘Tanto, dopo quella del gatto, l’idea che ti sei fatta di me si avvicina molto al personaggio…

Dottordivago

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No, Dottordivago eated the cat.

Non ho assistito in diretta all’infelice uscita televisiva di Beppe Bigazzi, quella in cui l’incontenibile gastronauta, nel corso del programma “La prova del cuoco”, confessava di aver mangiato carne di gatto spesso e volentieri, però me la sono vista su youtube.
Per questa affermazione Bigazzi è stato cacciato dal programma e, dietro pressioni di animalisti, gattare e vari esponenti del panda-pensiero, la Rai minaccia azioni legali nei suoi confronti, anche se spero si tratti di un “atto dovuto”, nell’attesa che si calmino le acque; di sicuro -non ho dubbi in proposito- non nell’attesa che tutti quanti si rendano conto di quanto sia ipocrita e fuori luogo questa alzata di scudi.

Mi scappa di divagare.
Ora, posso capire che tutti si scandalizzino se un personaggio tv come Morgan dichiara di fare uso di cocaina contro la depressione, c’è il rischio fondato che qualcuno di quei tre o quattro italiani che non pippano si faccia venire la curiosità di provare se funziona davvero; e non vale dire che fior di artisti, scienziati, pensatori e filosofi ne facessero uso quando la bamba te la vendeva il farmacista; se poi il farmacista si chiamava Pemberton, alle foglie di coca ci aggiungeva l’estratto di cola e non si doveva neanche rompere la testa per trovare un nome alla bibita; da quando la coca è diventata illegale, la premiata ditta estrae l’alcaloide tanto caro a Morgan –ma oggi meno caro che negli anni 80…- dalle foglie incriminate.
Domanda: che fine fa la parte “buona” delle foglie? Non lo so, ma non è un caso se i dipendenti Coca Cola hanno sempre un sorriso che va da un orecchio all’altro…
Comunque, è chiaro come il sole che con la bamba ci si può rovinare di brutto, quindi che Morgan stia pure a casa sua e non vada a Sanremo, tanto non me ne fotte un cazzo di Morgan –che ho profondamente invidiato quando faceva la festa a quella torbidona dell’Asia Argento- e del festival.
Ok, ho divagato.

Certo che facciamo schifo, eh?

No, dico, va bene censurare il tossico, ma se un signore di quasi ottantanni, parlando di una millenaria tradizione –era lì per quello- dice che qualche micio se l’è sdernato, si devono temere fenomeni di emulazione come per i sassi dal cavalcavia?
Cos’è, c’è il rischio che la Niki, nota tenutaria di gattodromo del web, si guardi attorno e dica “Cazzo, ho il frigo vuoto… Va beh, per cena faccio la festa ad Arturo; peccato per i testicoli, che quel pirla del veterinario ha buttato via…” ?
No, non c’è pericolo. E poi, scommetto che i suoi gatti li lascia felici e trombanti, la Niki.

Lasciando a casa Bigazzi, ritorneranno forse i gatti negli accampamenti rom dove oggi, chissà perchè, non ce n’è uno a pagarlo come Rin Tin Tin?
Figurati se, tra un appartamento svuotato e un portafoglio sfilato, il bisunto indo-europeo non si rifocilla con l’incauto micio che passava di lì: se andare in giro a rubare e rompere i coglioni è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve fare, questo qualcuno avrà diritto ad un po’ di proteine nobili, no?

Ho subito premesso che quella di Bigazzi è stata un’uscita infelice: in quanto cantastorie della “cucina della memoria”, doveva limitarsi a ricordare questa tradizione, legata più ad uno stato di necessità che ad un accanimento verso l’animale in questione o di una predilezione per la sua carne piuttosto che per un’altra; si parla di tempi in cui la carne era per i ricchi e i preti, non a caso le uniche figure sovrappeso che si vedevano in giro ancora prima della guerra; e non a caso, dalle mie parti, la gotta, malattia causata da eccessi alimentari e, nella fattispecie, da elevato consumo di carne, è chiamata “malattia dei preti”.
Gente, si parla di tempi in cui si stava in piedi a castagne e polenta, le proteine erano date da un po’ di verdura di scarto –quella bella veniva venduta- e da qualche animale cacciato o catturato, vedi alla voce polenta e osèi.
E gatti.

Era questo ciò che Bigazzi avrebbe dovuto dire, e non andare a cercare la storia di quelli che credono di mangiare coniglio mentre nel piatto hanno un gatto, vera leggenda metropolitana, e questo per una semplicissima ragione: oggi gli allevamenti hanno una capacità impressionante di fornire carne di buona o pessima qualità, la decisione di mettere in pentola un animale o uno stronzo dipende solo dal ristoratore o dalla massaia; inoltre, il mercato impazzito ci permette di trovare prodotti sottocosto e questo fa sì che un coniglionzo (il coniglio/stronzo, due o tre chili di letame) tutto intero, pelato ed eviscerato, venduto sottocosto possa costare come un hamburger.
Alla luce di queste considerazioni, ve lo vedete un ristoratore che rischia di farsi mangiare l’azienda per aver servito gatto, che a prenderlo e pelarlo ci vuole una settimana, solo per risparmiare tre o quattro euro sull’acquisto di un coniglionzo? Certa gente è disposta a servire vomito di pipistrello agli ignari clienti, ma deve averne una certa convenienza, quindi il famoso “coniglio che miagolava” è poco più che un modo di dire.

Bigazzi ha sbagliato soprattutto nel quasi vantarsi di averlo mangiato più volte, ha sbagliato con quegli ammiccamenti che lasciavano intendere che non fosse passato neppure tanto tempo dall’ultima volta. C’è gente che per il proprio gatto è quasi disposta a dare la vita, per cui un conto è inorridire per una tradizione da loro considerata barbara ed aberrante, un altro conto è vedersi davanti uno che mantiene la tradizione e la sostiene; è un po’ come sentir parlare dell’Olocausto, che già è una brutta storia, o trovarsi davanti un ex aguzzino di Bergen Belsen mentre confessa ridacchiando che il vizietto proprio non riesce a farselo passare.

Personalmente sto con Bigazzi: ha sbagliato la forma, non la sostanza.
Un gatto è fatto di carne, come qualsiasi altro animale, è solo la religione gattara che ne fa un’icona ed un tabù, come i musulmani per il maiale, gli induisti per le vacche e gli ebrei per i “pesci che non nuotano”: no, dico, questi non mangiano i frutti di mare, ci rendiamo conto?

In un post precedente vi raccontavo che una mia merenda classica, a Bangkok, era il serpente fritto: niente da dire, buonissimo, come qualsiasi carne fritta: alcune specie sono morbidissime, tipo coscia di pollo, altre più stoppose, tipo il petto, e Nat spiegava che erano meglio i carnivori che gli arboricoli; grazie alla dieta mista, erano assolutamente favolosi gli acquatici, che ricordavano l’anguilla, solo meno grassi; tuttora mangio frattaglie, lumache, rane, nervetti, cartilagini ed altre cose che non mi vengono in mente perchè io considero ordinaria alimentazione e non immonde schifezze.
Capisco che la storia del gatto è diversa, subentra un discorso affettivo ed etico, ha lo stesso impatto che avrebbe su di me se il menu prevedesse “cane”: per prima cosa rifiuterei, poi ucciderei il cuoco.
Sono già bello, intelligente e simpatico, a cosa mi serve la coerenza?

Sarà che non amo i gatti.
Non li odio, non li maltratto, ma non mi piacciono.
Crudi.

Disturba un’altra divagata?
È successo quando avevo 18 o 19 anni e passavo l’estate in campagna, dai miei nonni.
Mia zia, zitella inacidita a ph=1, viveva con loro ed aveva un gattone meraviglioso, Miccio, sì, con due “c”; anche allora i gatti non mi facevano impazzire ma Miccio era un bestione coccoloso che non graffiava e non mordeva mentre lo accarezzavi, abitudine consolidata del 98% dei gatti, Dio li maledica.
Avevo un vicino di casa completamente selvatico, un vero cajun che avrebbe sicuramente scopato la sorella, se ne avesse avuta una; aveva una curiosa abitudine: convinto di vivere in un bayou della Louisiana, con la carabina ad aria compressa sparava a tutto ciò che si muoveva, cadenzando di secchi ”ciak” i caldi pomeriggi monferrini.

Mi sa che, un brutto giorno, Miccio si è trovato nel posto sbagliato.
Ha strisciato fino a casa, più morto che vivo, con un’orbita vuota e sanguinante: bella mira, niente da ridire.
In quel momento non potevamo saperlo con certezza ma il sospetto era fondato.
In preda alla disperazione, mia zia chiama il veterinario, che visita Miccio e scuote la testa: “Signorina, posso solo fargli un’iniezione, così smette di soffrire…”.
Per poco mia zia la faceva a lui, l’iniezione, ma con un coltello da cucina.

Con le ultime forze, Miccio si accoccola su un piccolo mucchio di fieno per i conigli, il suo posto preferito, assistito da mia zia fino all’ora di andare a letto.
Al mio rientro, a notte fonda, decido di dare un’occhiata al povero Miccio che, come nella peggiore tradizione, non ha passato la notte.

Morto.

“Neh che è morto?…” bisbiglia mia zia dal balcone mentre io lascio una frenata nelle mutande: madonna, che spavento!…
”Sì, zia. Vado a sotterrarlo”.
”Non qui, gioia, per favore, sennò finisce che uno di questi giorni mi ritrovo sulla tomba a dire il rosario…”

Lo avvolgo in un sacco della spazzatura e lo carico in macchina, insieme con la vanga.
Poi mi viene in mente Antonietta.
Trattasi di mamma -veneta come il Leone di San Marco- di due miei amici; l’ho sempre sentita dire che se uno non ha assaggiato il gatto, non conosce la roba buona: ”Se te copi un gato, portamelo, che lo cucino io” mi avrà detto cento volte.

Miccio aveva certe cosce…
Parlandone da vivo, ovvio, con tutto il rispetto.
Però, che spreco…
Sono le due, cosa faccio?
Mi fermo al circolo, da Carletto: “Dì, ho messo sotto una lepre esagerata… Fammela mettere in frigo, che domani vengo a prenderla”.
”Fa vedere…”
”Lascia stare, l’ho presa con la ruota, è sputlita (da “sputlì”, spappolato, ndt)”
”Ah, bon, falla su bene…”

Va beh, qualcuno può considerarla una carognata, ma il giorno seguente dovevate vedere la faccia di Antonietta quando in veneto stretto ha detto che era da trentanni, da quando si era trasferita in questa terra di barbari, che non aveva un bel gatto da cucinare.
Lo ha lasciato in acqua ghiacciata per tre giorni, come diceva giustamente Bigazzi; veramente sarebbe da tenere una settimana sotto la neve, sosteneva Antonietta, ma a luglio ci si deve accontentare.

È uscita fuori una cosa deliziosa: effettivamente il gatto è più saporito del coniglio e meno selvatico della lepre, la carne è bianca e morbida.
Ma per me è stata l’unica volta.
E mia zia potrebbe uccidermi ancora oggi, se lo venisse a sapere.

Devo dire che quando mi sono seduto a tavola ho provato una sensazione strana, poi me la sono fatta passare: metti che avessero ragione quelli di Papua, quelli che si mangiavano il valoroso nemico ucciso per acquisirne la forza…
Ho sempre posseduto un’agilità fuori dal comune: chissà se è per l’essenza di Miccio che pulsa nelle mie vene?
E poi, ve l’ho già detto, odio gli sprechi; se la legge lo consentisse, vorrei che che del mio corpo mortale non andasse sprecato nulla: gli organi buoni ai cristiani che ne hanno bisogno, ok, ma tutto il resto in cibo per cani.
Non per gatti, non mi piacciono.

Crudi…  

Dottordivago

P.S. …e così abbiamo dato una bella sfrondata al numero dei lettori…

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Benvenuto SGR!

 

benvenuto

Altro arrivo “recidivo” di questa grande famiglia e conseguente benvenuto tradizionale che scatta al secondo commento.

Oltre al nick, SGR, una sigla che fa un po’ coupe sportiva e soprattutto non indica in che modo fai la pipì, dirò a tutti che nella vita reale sei un maschietto, cosa che ritengo importante per inquadrare ciò che tu esprimi ed esprimerai nei tuoi graditi commenti.

Oddio, uno che riferendosi a  A) Perchè il panda deve morire e precisamente alla parte

…avrei voluto possedere una pelliccia di panda sulla quale trombare Licia Colò in lacrime…

mi fa i complimenti, può essere solo portatore sano di pisello.

Benvenuto!

Dottordivago

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Non quello che “fa bello, fa brutto” di cui si parla in ascensore, bensì quello che non passa mai o che vola, quello che, comunque, scorre.
Tranquilli, non ho intenzione di sottoporvi ad un massacrante bocchino sulle mie riflessioni da neo-cinquantenne (a proposito, grazie ancora a tutti per gli auguri ricevuti); volevo solo dire due parole sul tempo, concetto che ormai sta perdendo significato.

Ieri mattina ho visto la prima vetrina di abbigliamento primaverile.
Qui ad Alessandria –Padania- stamattina c’era un sole meraviglioso.
Almeno credo.
Erano i Pooh che cantavano “Ma il cielo è blu sopra le nuvole”? Che abbiano preso l’ispirazione da un tour in Alessandria?

Infatti, salvo sconvolgimenti per cui dobbiamo aspettare il 2012 -volendo dar ascolto a quei ciulandari dei Maya- il sole c’era, peccato per quello strato di nebbia che lo nascondeva completamente; in più, visto che qui, nel buco del culo del mondo, ringraziando la Madonna, se si parla di tempo di merda non ci facciamo mancare niente, faceva un freddo del cazzo e la nebbia si congelava per aria, creando una precipitazione di polvere di ghiaccio –non saprei come definirla altrimenti- che imbiancava testa e spalle dei passanti come un devastante attacco di forfora.

E cosa ti vedo in un negozio di abbigliamento in centro, chiuso come tutti gli altri?
Una commessa, con la faccia “…e va a finire che manco me lo pagano, lo straordinario, ‘sti stronzi…” che allestiva la vetrina con impalpabili spolverini, eteree gonnelline e magliette rare come la brava gente.
Una situazione che in una bella giornata di inizio marzo ti darebbe una botta di ottimismo, ieri mattina mi ha fatto l’effetto di un tuffo in un lago alpino: il pensiero di essere una donna e di avere addosso, in quel momento, uno di quei capini, mi ha fatto sentire particolarmente vicino al genere femminile: un po’ per un senso di solidarietà, un po’ perchè, a quel pensiero, il pisello mi si è ritirato come i cornini delle lumache quando li tocchi.

In un momento in cui, a livello vendite, non c’è tutta ‘sta abbondanza, perchè un commerciante deve riempire la vetrina con capi che comincerà a vendere, se tutto va bene, fra un mese?
L’inverno inizia il 21 dicembre, dopo dieci giorni iniziano i saldi dei capi invernali, dopo un mese ti propongono l’estivo: ma sì, ‘tanto siamo a Taormina…
Va beh che le donne, per sfoggiare uno straccetto nuovo, sono disposte a rischiare l’ipotermia –daltronde Giovanni Scagliotti diceva che “le donne sono così stupide che più stupidi delle donne ci sono solo gli uomini”- ma stamattina nessuna donna si sarebbe fermata a guardare i nuovi arrivi, anche solo perchè smettere di camminare significava fare la fine del comandante Scott e dei suoi uomini.

Una volta era diverso, grosso modo la roba nelle vetrine rispecchiava quello che la gente era disposta o obbligata ad acquistare in quel periodo, con un’eccezione. Nell’agosto al mare con i miei genitori, c’era un momento che mi intristiva: ad Alassio i negozianti tiravano fuori l’abbigliamento invernale prima di ferragosto; giuro che quella visione mi portava di colpo alla visione di nebbie, freddo ed inizio della scuola: brrrr…

Forse, che uno dei problemi che “soffocano il commercio” sia proprio questa dissociazione dal fattore tempo?
E intendo sempre il tempo che passa, oltre al tempo meteorologico: la gente ha bisogno di abituarsi anche psicologicamente al cambio di stagione.
Alcune aziende lo sanno e si regolano di conseguenza: in previsione del Natale appena passato, il 10 ottobre- giuro, me lo sono segnato- ho visto la prima pubblicità natalizia; eccheccazzo, in quel periodo i bottegai tirano fuori i lumini per il Giorno dei Morti…

Ve la ricordate quella di Einstein?  Quella del paradosso temporale? La storia del padre che viaggia per 50 anni alla velocità della luce e quando torna si ritrova più giovane del figlio?
A parte che il Genio ha trascurato un effetto collaterale, cioè che il bravuomo si ritroverebbe anche un terrificante paio di corna, visto che la mamma di suo figlio non può passare tutta la vita ad aspettarlo come la moglie di un Crociato, con le gambe strette, soprattutto pensando che il marito maturerà la pensione quando lei non ci sarà più, quindi, “campa quanto vuoi, che io, in mancanza della reversibilità, qualche soddisfazione me la tolgo…”
Così si sarà data da fare con particolare accanimento ed i becchini l’avranno infilata nella cassa con gli elastici intorno alle caviglie come quelli che si mettono sulle chele degli astici vivi. 

Tremate, ci stiamo arrivando, a quel paradosso, perlomeno i più giovani.
Quando avevo 17/18 anni, la casa era un ambiente ostile come la superficie di Mercurio: il pavimento scottava sotto i piedi ed il soffitto sembrava sempre lì lì per crollare, quindi… via veloce!
Mangiavo un boccone e prima delle nove ero già in giro, poco dopo facevo il pirla in discoteca; pochi anni dopo si andava a ballare più tardi, verso le undici.
Poi la cosa ha preso la mano e lo spazio-tempo è andato a puttane: da mezzanotte si è passati all’una, poi le due; poco tempo fa, un amico mi raccontava che suo figlio diciottenne, al sabato sera, dorme dalle 21 alle 3, per andare in discoteca alle sei del mattino; sì che, così facendo, migliora il bilancio delle stragi del sabato sera, ma anche uscire da una discoteca all’imbrunire della domenica, senza sapere in quale giorno stai vivendo, c’è comunque il rischio di dare dei begli schiaffi con la macchina…

Di questo passo, andranno in discoteca come facevamo noi a quell’età, cioè alle 21, ma saranno le 21 di domenica, anche se per loro sarà un dilatamento del sabato, ed il fine settimana diventerà una sorta di limbo tra venerdì e lunedì, quindi il giorno detestabile per eccellenza sarà il martedì…

Oddio, mi gira la testa, mi serve un riferimento temporale fermo.
Giovedì gnocchi.
E vaffanculo alla relatività.

Dottordivago

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Berto

Ripensavo a quanto scritto nell’ultimo post; non tanto sull’argomento “figa” –era tanto per dire due belinate…- quanto la parte relativa a Bertolaso.

E se fosse un galantuomo?

Continuo a sostenere che ha una bella faccia onesta, che mi piace molto, anche se assomiglia un po’ troppo a Michele Cucuzza ed è difeso a spada tratta da Berlusconi e dai suoi chierichetti, due circostanze aggravanti mica da ridere.

Quando si parla di politici, boiardi di stato e zingari, solitamente non ho dubbi: un sospetto di disonestà diventa certezza granitica, matematica.
…Ostia, devo ancora iniziare che già mi scappa di divagare.

Odio gli zingari.
E, come diceva Himmler, non sono razzista; non odio alcuna razza umana ma detesto con tutto il cuore alcune culture perverse.
Una volta si diceva che “Gli zingari rubano, punto e basta: ce l’hanno nel sangue”; giusta la prima parte, sbagliata la seconda; è lampante che un bimbo rom, preso alla nascita ed affidato a una famiglia appartenente al genere umano, avrà le stesse probabilità di diventare il Primo dei Grandi Uomini come l’Ultima delle Teste di Cazzo.
Rimanendo con gli animali che l’hanno generato, con la prima poppata comincerà ad assimilarne pensiero, usanze, indole e comportamenti.
E ricomincia il giro.
Non hanno scusanti nè alibi: ci vorrebbe una Strage dei Colpevoli, un genocidio selettivo che, a differenza della Strage degli Innocenti, salvi i neonati ma cancelli tutti  quelli già corrotti da quella putrida cultura che porta a vivere come zecche sul culo dell’umanità.
E non raccontatemi che sono così perchè non hanno casa e lavoro: non hanno casa e lavoro perchè sono così. ‘Ngi dla!
Ecco, adesso mi tocca spiegare, a chi non lo sapesse, che ‘Ngi dla, in lingua Zulu, significa “ho mangiato”, ed è ciò che i Zulu –“i Sùlu”, si pronuncia con la esse, non “gli Zulù”…- dicevano quando estraevano la lancia –assagai– dal corpo del nemico ucciso, e qui mi fermo: sapete che non amo divagare… 
Chiusa la divagata.

Non ho dubbi che nella gestione delle “emergenze” –e se non sono emergenze, basta farle diventare tali- ne abbiano fatte più di Bertoldo in Francia.
Bertolaso non è un pirla, saprà più di quello che, per ora, dice, però potrebbe considerare il tutto come un male necessario.

Parlavo poco fa con un amico, ex amministratore di una società di capitali; quando il bilancio della società ha cominciato a battere i coperchi, lui, davanti al notaio, ha consegnato i libri contabili ad un liquidatore e si è messo in paziente attesa dei soldi che avanzava dalla società, l’equivalente di un dignitoso bilocale in una grande città: ad Alessandria ci scappava anche il trilocale.
Il liquidatore -lo dice la parola stessa- dopo due anni si è squagliato con il liquido rimanente ed il mio amico, misteri della giustizia, si è ritrovato un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta, per cui il codice penale prevede da tre a dieci anni di reclusione: cornuto e mazziato.
Visto da fuori è un bancarottiere, conoscendo meglio la storia torna ad essere un galantuomo.
Se fosse un politico beccato con le dita nella marmellata, si dichiarerebbe “sereno”, mentre lui, da qualche giorno, proprio bene-bene-bene non dorme, anche se io sostengo che l’avviso di garanzia –probabilmente inviatogli da un pm che ha letto solo i nomi e non gli atti- è un atto dovuto e che potrà dimostrare la sua estraneità ai fatti.

Molte persone oneste vengono diffamate e, in alcuni casi, rovinate da farabutti.
Pensate a quel grande statista che è stato Bettino Craxi, morto in esilio per accuse che…
Mmm… mi sa che stavo sbagliando esempio.

Ora, mettiamo il caso che il Berto nazionale sia un galantuomo: mettiamo che abbia ragionato così:

“Gli appalti pubblici sono comunque una fossa biologica, bene che vada i soldi rubati o sprecati sono l’80%; a peggiorare la situazione ci si mette la burocrazia, che non riduce le ruberie ma dilata a dismisura i tempi, cosa che alla lunga dilata pure i costi, quando non lascia delle opere faraoniche incompiute. Quindi, con le procedure d’emergenza che consentono di scavalcare lacci e pastoie burocratiche, alla fine i lavori si fanno; per quanto riguarda i soldi… beh, quelli, persi per persi, almeno non sono tutti buttati in opere abbandonate, preda dei vandali.
Se poi, in tutta la faccenda, mi ci scappa pure la ciulatina… Eh, non è che il Silvio se lo può consumare, quel povero uccello: diamogli una mano”.

E se oltre alla ciulatina, per altro tutta da provare, gli è arrivato qualche altro regalino, non mi sento di condannarlo.
Chiamiamola real-politik o real-appaltik, se preferite, ma tenendo i piedi nel mondo reale, non volando sulle ali della fantasia e non parlando di un Paese delle Meraviglie in cui l’onestà e la correttezza crescono sulle piante, quello del buon Berto, vi sembra un ragionamento tanto sbagliato?

Diciamo che può disturbare le coscienze più sensibili, tipo quella di Di Pietro, novello sponsor di quel galantuomo di Vincenzo De Luca –pluri indagato lui, la moglie e pure il figlio, una famiglia da sterminare, come gli zingari…- o le coscienze “moralmente superiori”, tipo quelle di mezzo PD.

Microdivagata: giusto per non beccarmi del berlusconiano di ferro, dirò che alle Europee, turandomi il naso, ho votato IDV, solo per dare il voto a De Magistris; se mi si mastellizza pure lui… eh beh, allora…

Tornando alla “superiorità morale della sinistra”, capisco la tigna con cui Bersani chiede a gran voce le dimissioni del Berto, così come capisco che il gruppo costituito dagli amici del Berto ha portato via un bel po’ di appalti alle Coop, ma sicuramente non è per questo, non è per il fatto di essere stati tagliati fuori dalla spartizione di alcune sontuose torte, e dalla speranza di subentrare, che si scandalizzano.
Personalmente sono molto dispiaciuto per i lavori persi dalle Coop, vere Robin Hood dell’edilizia: quando c’è da prendere un lavoro per imprese private che pagano di tasca loro –gli stessi lavori che cerco di prendere io in quanto produttore di serramenti- le Coop tirano fuori certi prezzi, per le finestre, con cui io non riesco neppure a pagare il vetro mentre, quando a cacciare la valuta sono gli enti pubblici, gli picchiano giù certe mazzate che gli fanno fischiare le orecchie.
Appalti da cui io, casualmente, sono tagliato fuori, anche se non completamente: infatti, io come voi, contribuisco a pagarle, le mazzate di cui sopra.

Insomma, fino al momento in cui non ci sarà la certezza che era a capo di una specie di Piovra o di una “Loggia B2”, come dice il portaborse di Di Pietro, beh, fino ad allora io faccio il tifo per il Berto e per la sua faccia onesta.

Dottordivago

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Ai tempi dell’antica Roma i potenti sostenevano che si dovesse beneficiare il popolo romano elargendogli pane e divertimento.

Oggi è cambiato tutto, i beneficiati sono i potenti stessi: agli attuali romani, intesi come politici ed affini dell’entità leghista “Roma Ladrona”, che già il pane e caviale non se lo fanno mancare, è necessario dare il divertimento.
Oddio, tocca dargli anche una barca di soldi, però, a titolo di benefit aziendale, pretendono camionate di troie, con un distinguo: la sinistra, istituzionalmente più progressista e vicina alle minoranze, predilige i trans, come evidenziato dal caso Marrazzo –che fa rima con… pazzo, visto che si è fatto beccare in quella storia di dare/avere con quei mucchi di letame brasiliani- e prima ancora dal caso del braccio destro di Prodi –di cui mi sfugge il nome- che aveva fatto un figurone facendosi beccare a “chiedere informazioni” ad un altro mucchio di letame dotato di tette di gomma e di un aggeggio con cui gli indicava la strada senza usare le mani.

La destra, storicamente, è più tetragona alle innovazioni, tant’è vero che si fregiano dell’appellativo “conservatori”; in quanto tali, sui benefit non transigono: la tradizionale, cara, vecchia figa.

Va beh, “vecchia” per modo di dire: l’aggettivo è riferito alla classicità del bene in oggetto, non all’organo stesso né al suo mezzo vettore, tutt’altro; parliamo di aspiranti veline, roba intorno ai ventanni, che si fanno un po’ di gavetta come bocchine, prima di intraprendere la carriera televisiva o, se non hanno alcuna capacità, ripiegare sulla politica; e siccome si dice “impara l’arte e mettila da parte”, mettendo a frutto il know-how appreso ad inizio carriera, si può anche diventare ministre.

D’altronde (và, ‘na volta tanto lo scrivo con l’apostrofo, per dare un contentino al correttore d’ortografia, ma vi dico subito che non mi piace…) daltronde, dicevo, cosa vuoi regalare a un “politico del cazzo”?
È gente che ha già tutto.
Ad un premier miliardario, cosa regali? Un orologio?
Ma ne avrà già mille: se li regalano tra loro ad ogni occasione ufficiale
–“ufficiale “ significa che li paghiamo noi- e poi si tratta di roba da dieci/ventimila euri a pezzo; con un puttanone, invece, te la cavi con mille euro –tariffa da Listino Ufficiale D’Addario, che sta diventando un po’ come il Bolaffi per i francobolli- e sei sicuro che è un regalo sempre gradito, impignorabile e discreto, se non la prendi per il culo con promesse di carriera che poi non mantieni.

Ad una sorta di Vice Re con poteri straordinari come Bertolaso, cosa regali? Un elicottero?
E poi gli tocca mantenerlo, quando può averlo a disposizione, pagato da noi, in ogni momento della giornata.
E allora vai col puttanone, che per l’uomo di successo sta sostituendo la cravatta, come regalo per tutte le occasioni.

Dico la verità: credevo che niente riuscisse più a stupirmi; invece, la storia di Bertolaso mi lascia con l’amaro in bocca.
Ho un approccio lombrosiano nel valutare le persone e Bertolaso ha la faccia da persona per bene; solo che non conoscevo i fatti e dopo aver scoperto di quali poteri disponeva, dell’assoluta libertà di decidere e disporre, qualche dubbio mi sorge: è umanamente impossibile maneggiare tutti quei soldi e non venirne affascinato, è tecnicamente impossibile gestire una macchina come quella, sapendo chi ci mette la benzina –noi- senza domandarsi chi provvede a lubrificarla.
È un po’ la storia della Prima Repubblica e di Tangentopoli: chi gestiva l’Italia allora –gli stessi che lo fanno ora- salvo essere lo scemo del villaggio, come poteva non sapere, non capire?

Sicuramente Bertolaso è meno peggio di quella gente, quanto meno a livello di minchia: te lo vedi un imprenditore degli anni settanta che manda due escort –che forse, allora, si chiamavano kadett- a Scalfaro o Andreotti? Come portare un cieco dove proiettano un film muto (lo so, è vecchia, ma sempre calzante).

Invece, il Berto nazionale, che scoppia di salute, mi sembra di vederlo: nudo, con elmetto giallo e scarpe anti-infortunistiche, che urla: “Emergenza! Emergenza! È in corso un’erezione colossale, un’eruzione di cazzo duro! Un minchiamoto dell’ottavo grado! Uno tsunami di sperma! Fate intervenire le cagne antivalanga! Chiamate la Croce Zozza!”

Insomma, tutti trombano tutte.
Ma allora, perchè brucia il culo a me?

Dottordivago

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