Con un filino di preoccupazione, da un po’ di tempo mi ritrovo d’accordo con Gramellini, ulteriore sintomo che qualcosa nella mia capoccia non funziona come prima.
Impossibile scollarsi dagli occhi quel giovane del Minnesota freddato sulla sua auto da un poliziotto per un fraintendimento banale, e agonizzante in una pozza di sangue mentre dal sedile accanto la fidanzata riprende la scena col telefonino. Ha fatto benissimo, naturalmente, ma è incredibile che lo abbia fatto. E in quel modo. Con una lucidità che lascia ammirati e anche un po’ sgomenti. Riguardate il filmato che sta incendiando l’America nera. La donna vede il suo compagno riverso sullo schienale e un poliziotto che gli punta ancora addosso la pistola attraverso il finestrino aperto. Chiunque altro invocherebbe aiuto, abbraccerebbe il moribondo, riempirebbe di insulti il tizio in divisa, se la farebbe sotto. Invece Lavish Reynolds mette il telefono in modalità selfie e documenta l’omicidio in diretta su Facebook, rivolgendosi all’agente con calma apparentemente glaciale e chiamandolo sempre sir, signore. Come se fosse una reporter addestrata a filmare scene di guerra e non una normalissima ragazza a passeggio con il fidanzato. Come se per trasmettere un’emozione agli altri avesse rinunciato a viverla lei. Come se in quel momento fosse più connessa col mondo che con i suoi sentimenti.
Tra qualche tempo ce ne renderemo conto meglio, ma si è trattato di qualcosa di rivoluzionario. Qualcosa di intimamente legato allo stato d’animo dei neri d’America, che ormai escono di casa con lo spirito vigile di chi va in trincea, però anche alla trasformazione avvenuta in noi umani da quando ai quattro arti ereditati dagli avi abbiamo aggiunto la protesi del telefonino.
Come dargli torto?
Avevo già condiviso quest’indegnità su FB:
Metti un gruppo di persone speciali, tipo i calciatori della nazionale più forte del mondo, l’Argentina. Metti che abbiano appena vinto una partita importante e mettili nello spogliatoio seduti fianco a fianco, spalle al muro sulla stessa panca, prova impressionante di cosa significhi essere una squadra. Una grande squadra: Messi, Aguero, Mascherano, Higuain.
Mettili nelle condizioni di compiere un gesto che esprima la loro appartenenza a un gruppo di amici uniti dal medesimo intento. Un gesto urgente, da fare subito, prima della festa e persino della doccia. Metti che impugnino all’unisono la protesi esistenziale dello smartphone e vi sprofondino la testa per sapere cosa il mondo sta pensando di loro. Metti che nessuno parli, neppure al telefono: ciascuno in fondo perso dentro i fatti suoi, come cantava Vasco, con la differenza che la sua almeno era una vita spericolata. Metti che questa scena di multiformi solitudini, immortalata dallo smartphone del loro compagno Lavezzi, te ne ricordi una analoga vista al bar, sulla metro o magari allo specchio. E metti che all’improvviso capisci finalmente come siamo Messi.
Ora, di scritti di vario livello sull’abuso dello smartphone ne è pieno il web ed il mio scroto. Il punto non è ciò che fanno gli altri, lo sappiamo tutti, volevo solo dirvi come mi comporto io, caso mai a qualcuno avanzasse un briciolo di compatimento e volesse girarmelo, con tanto di scrollamento di testa del tipo “qui non c’è più niente da fare davvero”…
Lo smartphone non lo voglio, chiaro?
E per cominciare posso trovare svariate ragioni di ordine pratico/logistico.
Passo la giornata davanti a un pc e averne un altro in tasca non mi va.
Poi… “tasca”… Il mio Samsung a conchiglia sta nella quinta tasca dei jeans, uno smartphone no e, se ci sta, non serve a un cazzo, è talmente piccolo che non si vede niente.
Quindi tasca anteriore, con effetto “polenta sul torace per far maturare il catarro” sulla coscia, per non parlare di piegarsi per allacciarsi una scarpa.
Ed io odio i mocassini.
Tasca posteriore? Forse per gli altri può andar bene; per me, che sono svanito come l’acqua viscì (l’Idrolitina, per capirci), no, non va bene: la prima volta che mi siedo, me ne dimentico e lo piego in due come un libro.
Poi, il mio, quando cade, si separa come gli stadi del Saturno 5: telefono di qua, coperchio di là, batteria dove capita. Li rimetto insieme e “ragazzi giù il gettone, ricomincia il giro”.
Credo che lo smartphone sia molto più delicato e, con la mia sfiga, cadrebbe sempre come la fetta di pane spalmata di Nutella: l’avete mai vista cadere dal lato del pane? Quindi display kaputt, matematico.
Il mio telefono fa tre/quattro giorni di uso medio con una carica.
Ok, da questo momento potete iniziare a dire le vostre ragioni pro-smartphone.
Intanto non mi convincete, perchè, fondamentalmente, non voglio diventare dipendente da quella merda. Dalla guida dell’auto, visto che quel coso è mortale per chi messaggia guidando e per chi ha la sfiga di trovarselo davanti, ed è altrettanto letale per la conversazione con gli amici: c’è una cosa più ripugnante del vedere persone sedute allo stesso tavolo che non si guardano in faccia e si rivolgono la parola solo per condividere una foto o una “massima eterna” trovata su FB?
Sì, va bene, dipende da chi ce l’ha in mano, potrebbe valere quello che ho sempre detto per le armi, paragonandole alla candeggina: se ci pulisci il cesso, è la morte sua, se la bevi, è la morte tua.
E mò faccio la bella e mi salvo in corner con un bel “continua”…
Dottordivago
Allora, vediamo se riesco a spiegarmi: sino all’anno scorso portavo lo smartphone nella tasca anteriore dei pantaloni, e quando mi appoggiavo al posteriore delle colleghe tutte mi guardavano esterefatte e dicevano “maurizio cosa fai?” e io rispondevo “non preoccuparti, se senti duro è il telefono…” poi ho preso l’abitudine di riporre, durante le ore di lavoro, il telefono in un cassetto… ma continuo ad appoggiarmi alle colleghe e loro ridendo dicono “lo so non mi preoccupo, lo sento duro ma è il telefono…..” Bella vita la mia!!!
(Libero adattamento)
“Di’ un po’, Mauri: hai lo smartphone in tasca o sei contento di sentirmi…?”
Un po mi sei mancato….
Giusto qui puoi usare “idrolitina” per fare capire “acqua viscì”. Viva il Cavalier Gazzoni, e abbasso Gramellini.
Confermo : L’iphone cade sempre dal lato della nutella,bello di piatto . 4 volte in 3 mesi nel mio caso , un record.
E anche per tutto il resto hai ragione. Io ce l’ho solo perchè me l’hanno dato per lavoro , ma quando cominci ad usarlo poi diventi dipendente non ci sono santi.
Pero’ devo dire che nei giorni in cui ho avuto come “muletto” in attesa della sostituzione i-phone , un vecchio nokia che faceva SOLO telefonate e sms , e anche qualche foto da schifo , sono stata benissimo. C’è da rifletterci.
intanto ben tornato..anzi,doppio ben tornato (così sistemo anche l’articolo precedente)
Lo smartphone? utile ma non indispensabile…però la comodità di whatsapp (al netto di tutto lo spam che lo contraddistingue) è ormai irrinunciabile, almeno per me che lo uso anche per lavoro. D’altra parte è un programma di messaggistica con una marcia in più. Per il resto, potrei anche farne a meno.. feisbuc? non ce l’ho. E il mio samsung targato marzo 2012, col suo schermetto ridicolo ma tutt’ora privo del benchè minimo graffietto, può andare avanti anche altri 4 anni, per quel che mi riguarda.
Non ho il PC…come faccio a leggerti?mi scrivi
Mi scrivi una lettera tipo Panda deve morire, credo che morirei prima io conoscendo la lentezza delle poste italiane…
e i tuoi post su Facebook? Come tiro avanti senza le tue perle quotidiane? Con le cagate del pirata forse?
No, no, per carità!… Usa pure lo smartphone…
Offerta speciale, due stronzi al prezzo di uno.
Gramellini sull’incidente di treni in Puglia:
Quale sarà la vera Italia? L’Italia che nel secolo dell’alta velocità boccheggia ancora sopra un binario unico, oppure quella che di slancio si mette in coda nelle corsie d’ospedale per donare il proprio sangue ai feriti? Il guaio è che sono vere tutte e due. La prima Italia, così ripetitiva e immutabile nei suoi vizi, ogni volta ci sgomenta al punto da farci dimenticare l’esistenza dell’altra, sentimentale o semplicemente viva, che invece sopravvive intatta tra le pieghe del cinismo disseminato a piene mani spesso dai ceti più colti
Credo che basti.
Io con lo smartphone ci leggo il Panda!
E la storia della polenta per maturare il catarro come sta?
L’uso legittimo è consentito e benvenuto…
Non è lo smartphone sbagliato ma il suo impiego, quindi non prendertela con il telefono ma con il coglione che solitamente ci viaggia dietro.
Nota sul diario, non sei stato attento: io spiego perché non lo voglio, il resto del mondo ce l’ha e si comporti pure come preferisce
Cartoline da Nizza, caro Carlo.
Ci massacrano. Ed è giusto.
Cinque minuti per non cazzeggiare
http://www.ilfoglio.it/cultura/2016/07/19/europa-senza-vangelo___1-v-144565-rubriche_c428.htm
Magari giusto no, purtroppo inevitabile. Sicuramente ce lo siamo meritato.
Infatti. Cartoline anche dal Piemonte.
http://www.ilfoglio.it/preghiera/2016/07/22/catechismo-o-morte___1-vr-144707-rubriche_c176.htm
…e intanto… qualcuno ….CONTINUA A DARE LA CACCIA A PIKACIU!!!
Anche i poke-mon devono morire… solo che al contrario del panda, loro… morendo lascerebbero davvero un mondo migliore!!!
Avrei scritto un R.I.P. per Gene Wilder, una volta…
Ciao Marco.
Mi sa che in settimana ti mando due righe sulla mail.
ciao. Maria Grazia
O diventeremo islamici a forza, a meno di non volere essere sgozzati, o i bastardi in barba e turbante la pianteranno. Non lo so. Dopo l’attentato a Manchester (ad un concerto con bambini e ragazzine), e i morti, la cosa che mi colpisce di più – stante l’ovvia certezza che da capponi quali siamo la mattanza continuerà – è che immediatamente, e dico tempo zero, quasi contemporaneamente alla strage, è stato individuato “il simbolo”: una coccardina con le orecchiette come quelle che portava la cantante che i morti erano andati a vedere e applaudire. Da subito onnipresente, su giornali e, immagino, social. Tutti lo utilizzeranno “per testimoniare”, ci faranno le magliette, le spillette, o chissacosa. Ecco, è un piccolo segno rilevatore per me: ad una situazione seria, drammatica, orrendamente urgente, la nostra risposta è occuparci di un disegnino. Segni contro violenza. Fuffa contro odio. E non è che dall’altra parte i bastardi in barba e turbante non lo notino.
Per finire, visto che sistematicamete i bastardi in barba e turbante ci uccidono mentre ci divertiamo e, particolarmente, amano farlo mentre ascoltiamo musica – un comportamento che per loro è come pulirsi il culo con il corano – commemoro anch’io. Non con il segno, che non ho manco facebook, ma con una canzone divertente, senza impegno, senza senso, fatta per ballare e divertirsi e basta. E mi piace farlo qui, un piccolo angolo ormai silente ma che ci ha visto per anni parlare liberi, e divertirci, come usiamo fare da queste parti.
Scusate la retorica. I B 52’s, o chi per loro, fosse per i maomettani, marcirebbero in galera. E noi, il segno, la testimonianza. Il rispetto.
Corvo Rosso (o Nero che sia) non avrà il mio scalpo.
I distintivi panciafichisti sono per le panciafighette, la “Pussy Generation” della quale parlò Clint Eastwood l’anno scorso: li lascio volentieri – e mi trovo peraltro in ottima compagnia – a quegli utenti dei social media ben indottrinati da Zuckerberg & PC.
Lo stesso giorno di codesto tuo intervento, che naturalmente sottoscrivo in toto, sulla pagina Facebook del Doc – e poi in casa mia – commentavo nel modo seguente (autocitarsi non è elegante, di solito, ma in questo caso il riferimento è più a lui che a me):
– La soluzione? Uguale al numero delle piccole vittime di Manchester, 22, ma seguìto da “hollow point”. Così come insegnano i classici:
https://ilpandadevemorire.wordpress.com/2016/03/23/faccio-le-pulizie/
L’autore ha sùbito recepito l’input, cosa di cui gli sono grato, riproponendo il link all’articolo del Panda nella vetrina principale della sua bacheca, con una breve quanto pregnante introduzione: “Questa è leggermente sopra le righe, scritta più di un anno fa, adesso sono più incazzato: astenersi buoni a tutti i costi”.
Sono andato a rileggere, e mi sono ripetuto… l’età. Però l’altra volta ero più incazzato. Si vede che insieme all’età avanza anche la rassegnazione.
Comunque, anche la cultura può fare, se li prendi e devi farli parlare.
Billy Wilder ha tracciato la via, sicuramente un mangiarossi come te conosce sia il film che la scena:
Ecco, io gli farei peggio, comincerei con questa:
Non posso mettere un’emoticon ìlare, né scrivere “Laughing Out Loud”, perché le tregue concesse alla rabbia hanno durata sempre più breve. Ma desidero comunque rispondere al tuo ultimo intervento.
Grazie per l’etichetta – come dire? – “viscerale”, nella quale non potrei riconoscermi più di così. E almeno una volta, avendo una madre che (bontà sua) tende sempre a smussare gli angoli, le ho sicuramente risposto – fra il serio e il faceto – proprio ispirandomi al magnifico Jimmy Cagney di «Uno, due, tre!»:
– Non penserai che siano tutti uguali…?
– Non lo so, non li conosco tutti.
Secondo link di YouTube. Non avevo presente codesto pezzo alla Fred Buscaglione, ma ricordo Pino D’Angiò abbastanza bene: tra l’altro, lessi su un settimanale che lui aveva studiato proprio a Siena (medicina e chirurgia, forse gli mancava soltanto la tesi – sull’assorbimento del calcio a livello intestinale – o poco più).
Che cosa aggiungere, alla playlist sostitutiva del waterboarding? Anche se tu non sei iscritto ai social network, probabilmente saprai che il cantante più “canzonato” di oggi è un conterraneo di Pino: il neomelodico napoletano Gigi D’Alessio. (Il quale prenderà la cosa con filosofia, immagino, se non addirittura con soddisfazione, visto che attualmente è anche presentatore dello show cabarettistico «Made in Sud»).
Lasciando perdere le gag di cattivo gusto e zero sensibilità, come esempio della beffarda tendenza èccovi il link ad un simpatico ridoppiaggio tratto dalla pagina Facebook “Fake Off Italia – Falsi d’autore” (e caricato di necessità sul mio cloud di Google Drive), soprattutto per gli addentellati di ambientazione con la commedia di Billy Wilder e la pregevolezza tecnica dell’omaggio all’immenso Ferruccio Amendola:
https://drive.google.com/file/d/0B_fFmc29C1N_eW1EYXU4WW8xNHc/view?usp=sharing
A un anno dal tuo ultimo post, ti mando questa canzone. Il koala del film voleva mollare, ma poi… va be ‘ è un film americano. Un po’ perché è una bella canzone e poi c’è Stevie Wonder, un po’ perché non si sa mai, la picchio qui.
In un anno di paralisi alle dita te ne saranno capitate, magari qualcuna la scrivi. Abbracci.
Rieccomi! Ma non lo aggiorni più il tuo blog?