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Posts Tagged ‘djerba’

Vi avevo già raccontato che dopo l’invasione irachena del Kuwait, nel 1990, non ho più avuto notizie dei miei amici Jakob e Alì, che vivevano nella capitale.
Gli avvenimenti tunisini di questi giorni mi hanno fatto stare un po’ in pensiero per alcuni amici che vivono là, anche se i pericoli a cui potrebbero essere esposti sono infinitamente minori a quelli corsi dai Kuwaitiani a suo tempo.

Uno è il padre di un amico che si è trasferito là con la sua azienda che produce galleggianti per la pesca e per vie traverse ho saputo che sta bene.
Del secondo, Salem, non ho proprio speranze di avere notizie: si tratta di un grande amico e, allo stesso tempo, di un amico per modo di dire, che ho conosciuto nel 1996 e che non ho più rivisto, semplicemente perchè sono un coglione.

In quell’anno, due coppie di amici hanno deciso per una vacanza primaverile a Djerba, al di fuori di festività o ponti, giusto per stare una settimana a fare un cazzo; sapendo che in situazioni simili io non giro il culo agli amici, hanno tirato dentro anche me e Bimbi.
È stata la mia prima esperienza di Villaggio Vacanze: si trattava del Bravo Club, allora gestito da Alpitour, un posto abbastanza bello, con una cucina di livello mediocre, rivalutata negli anni a seguire, dopo essere stato in altri tre villaggi (Formentera, Cayo Largo e ancora Djerba) ed aver chiuso, mi auguro a vita, questo tipo di esperienza.

Al Bravo Club Bimbi era nel rosso dell’uovo, ci stava come un maiale nella merda.
Io volevo morire, ovviamente vendendo cara la pelle e portandomene dietro quanti più possibile.
C’era un servizio animazione assolutamente soffocante, praticamente 20 ore al giorno (ma secondo me qualche rompicoglioni lo trovavi in giro anche alle 4 del mattino…) e questo andava a scapito della qualità.
Se in televisione hai idee per dieci minuti, allunghi il brodo con due inseguimenti e una sparatoria e ti esce il telefilm, altrimenti allunghi l’acqua con cui allunghi il brodo –si chiama TV omeopatica…- e ci fai una fiction di quattro episodi o una telenovela di venticinque anni.
In teatro, con dieci minuti di idee fai una commediola da quattro soldi che non cagherà nessuno; se le idee bastano per due minuti, fai una ponderosa opera di teatro sperimentale osannata dalla critica.
Al cinema, con cinque minuti di prodotto puoi scegliere: se si capisce che è una cagata, puoi diventare un Vanzina, se non si capisce neanche quello, diventi un Fellini.

In un villaggio vacanze hai un programma che deve accompagnare gli ospiti per una settimana, poi ricominci; però, se durante la settimana vuoi fare 20 ore al giorno di intrattenimento, o sei un fenomeno o raschi il fondo del barile: in quel posto il fondo non c’era più: raschiavano la terra sotto il barile.
Ovviamente ho passato il primo giorno dicendo “no grazie” a tutte le proposte di giochini, corsi e tornei; il secondo giorno sono passato a “non rompetemi più i coglioni” e dal terzo giorno sono diventato una specie di fantasma del villaggio.
Non sono un orso, tutt’altro, solo che non capisco perchè in vacanza dovrei lanciarmi in attività che rifiuto tutto l’anno, anno in cui rifuggo come la peste i rompicoglioni volontari, figuriamoci quelli pagati per farlo.

La spiaggia era bella e dove la sabbia lasciava il posto a una bassa scogliera c’era una baracca circondata da un mezzo acro di vasellame e ceramiche, alcune molto belle, Made in Tunisia, visto che i cinesi non erano ancora usciti dal loro cortile.
Lì viveva Salem.

Il primo giorno, canne da pesca in spalla, mi fermo proprio in quella zona e chiedo al tipo se mi posso piazzare lì: a differenza della vicina spiaggia, lì il mare era un misto di scogli sommersi e posidonia, ottimo per la pesca e mortale per pallonari e racchettari.
”Veni, veni, amico: anche io sono pescator…”
Vedere la mia attrezzatura e non staccarmi più gli occhi da addosso è stato una cosa sola: era letteralmente affascinato da quello che usciva dalla sacca e da quella specie di canterano della nonna che è la mia cassetta da pesca.
Vede cose che non immaginava esistessero, che io gli regalo e che lui, con aria levantina, intasca al volo: è fatta, mi sono comperato il posto.
”Ma… posto qui è bono per pesci ma rocce rompono le fil…”
”Basta lanciare appena dopo le rocce: è il posto migliore”
”Come fai tu?… Troppo lungo… come dici tu?… Troppo lontano!”
Non sapeva di avere di fronte colui che a Formentera è stato definito “El mas grande pescador del Mediterraneo”…
Per lui mi esibisco in un lancio “Ground”, con piombo a terra: gesto tecnico pulito e veloce, il piombo vola, vola, vola e tocca l’acqua dieci metri dopo gli scogli, esattamente il triplo della distanza che il buon Salem si sarebbe aspettato.
Strabuzza gli occhi e di colpo non sono più un turista che regala ami ed accessori come facevano gli Americani con le sigarette in tempo di guerra: sono il Dio della Pesca!

Comunque, pescare era quasi impossibile; soffiava un forte vento traverso e in quelle condizioni, con una settantina di metri di filo fuori dall’acqua in balia del vento, lo stesso filo si mette a ronzare come un calabrone; fuori non si sente ma in acqua sì, così si trasmette tutto all’esca: chi di voi azzannerebbe un panino che fischia o che russa?
Normalmente si potrebbe ovviare mettendo la cima della canna in acqua, così tutto il filo resta sommerso e non ronza più ma lì era impossibile: affondando, il filo si sarebbe impigliato negli scogli.
Dopo mezzora capisco che è tutto inutile e sbaracco, aiutato da Salem che non mi ha più mollato: mi sta talmente attaccato che sembro una donna andina con un bambino di ottanta chili nello zainetto.

Parte la chiacchiera, che dalla pesca si sposta al resto dello scibile: ma sai che ‘sto Salem è un bel tipo?
Molto spesso, gli uomini di cultura arabo/musulmana, se non hanno venduto l’anima a qualche stronzo di prete che li incattivisce, sono persone splendide, in grado di tirar fuori una cultura inaspettata o, in mancanza di essa, una saggezza da noi dimenticata.
Morale: ho passato il resto della vacanza con Salem.
Cena e ore serali le dedicavo a moglie e amici ma la giornata la passavo con Salem; un paio di volte ho pranzato con lui, nella baracca sulla spiaggia dove, da bravo musulmano, il menù prevedeva tutta roba “Bono pur manjare…”, come diceva lui: olive, pomodoro, formaggio e baguette intinta nell’olio.
E acqua, porca troia: non me la sentivo di insultarlo presentandomi con un paio di birre fresche.

Mi raccontava della sua famiglia che viveva a Sfax; tre o quattro volte all’anno Salem raggiungeva moglie e figli, giusto per metterne in cantiere un altro.
Spesso davo un occhio alla bottega mentre lui pregava ed erano momenti straordinari, seduto sulla sabbia con il sottofondo del sommesso mormorio della preghiera che si mischiava al rumore del mare e del vento: sono situazioni indimenticabili, in cui mi rendo conto di perdermi qualcosa, nella vita.

Insomma, una settimana full immersion di cultura arabo/musulmana/tunisina.
Vi giuro che la partenza è stata una piccola tragedia, mi sembrava di abbandonare mio fratello.

Ci sono tornato, a Djerba, dieci anni dopo, in un villaggio orribile vicino al Bravo Club.
Era il 2006, l’anno della sfiga turistica: gennaio in Messico sotto una pioggia costante; settimana bianca di Bimbi a febbraio, in un postaccio da Inglesi ciucchi, Marilleva, a causa della sua amica che aveva prenotato lì, settimana baciata da un’unica nevicata durata sette giorni; maggio a Djerba, accompagnati da un ventaccio teso e gelido, roba da stare in spiaggia con la maglietta –io- e la felpa –Bimbi-.
E non sono andato a cercare Salem, volontariamente: l’altra volta eravamo in sei e Bimbi non si annoiava, stavolta c’eravamo solo io e lei e non volevo correre il rischio di trasferirmi una settimana nella baracca sulla spiaggia, anche se avrei dato un braccio per passare un po’ di tempo con Salem: una specie di Brokeback Mountain mediterranea, senza sesso, naturalmente.

Così non ho rivisto Salem ed è per questo motivo che mi sono dato del coglione all’inizio.    

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Dottordivago

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