Due dritte: il post contiene frasi in dialetto alessandrino, che richiedono una pronuncia particolare; il simbolo fonetico tʃ indica la “c” dolce di “cielo”, dʒ indica la “g” dolce di “gelo”, ø indica una vocale che è un misto tra una “o” e una “e”, ä indica una “a” molto chiusa, quasi una “o”.
Possiamo partire.
Alla facciazza del Pirata, che non sopporta i “continua”, per ultimo ho lasciato il terzo amico “tunisino”: Carlo, alessandrino in pensione a Biserta.
Lo conosco da anni, in quanto grande pescatore e, soprattutto, gran narratore: non importa cosa dice, è come lo dice, considerando anche che si esprime rigorosamente in dialetto alessandrino.
Le uscite in barca con lui potevano dare frutto o meno in termini di pescato, di sicuro mi pelavo dal ridere per tutto il tempo; se a questo aggiungiamo che io adoro sentire raccontare storie di vita vissuta dei tempi andati, la “storia raccontata dalla gente”, si capisce come si potesse verificare un evento di portata cosmica come quello che si ripeteva regolarmente quando eravamo insieme: un altro che parla e io che ascolto.
No, davvero, qualche volta è successo… E va beh, allora non credeteci!…
Carlo è nato nel 1940, quindi non ha visto nulla della guerra, se non i risultati, e i suoi ricordi iniziano nell’immediato dopoguerra.
Uno dei più vividi è quello dell’arrivo degli Americani in Alessandria, evento che ha cambiato il pensiero politico di suo padre; pur essendo più di sinistra che di destra, non riusciva a negare che Mussolini avesse fatto anche qualcosa di buono ma, dopo aver visto gli Americani, ha sentenziato:
’U Duce l’auriva guadagnè an con sa gent? L’era ‘n pover semo!
(Il Duce voleva vincere contro questa gente? Era un povero scemo!)
Carlo era andato con suo padre a “vedere gli Americani” il giorno in cui sono arrivati in città e tutti quanti si erano straniti nel vedere quei giganti sia bianchi che neri che regalavano cioccolato e sigarette; pensandoci bene, credo che nella nostra storia recente sia stato l’avvenimento più simile allo sbarco di extraterrestri sul nostro pianeta.
C’era da capirli: da noi si faceva la fame da secoli, il rachitismo era diffuso quasi come l’obesità oggi e la statura media rispecchiava il pranzo medio.
Come la signora che diceva “Credevo che la mia camicia fosse bianca…”, i miei concittadini credevano di aver già visto tutto con l’arrivo dei Tedeschi, cosa che aveva fatto dichiarare al padre di Carlo:
C’me ca fuma a perdi la ‘uera ansema a sa gent?
(Come possiamo perdere la guerra, insieme a questa gente?)
Anche se ad Alessandria le truppe tedesche erano composte principalmente da “territoriali”, cioè poco più che impiegati in divisa, lo stato di salute ed il livello di equipaggiamento degli Unni facevano invidia a gente che da secoli mangiava polenta, patate e nient’altro, gente che prima dei bombardamenti, quando si scappava nel rifugio, si premurava di portarsi dietro la bottiglia dell’olio, vero e, spesso, unico patrimonio di famiglia.
Lo spettacolo si era tenuto in centro; terminata la parte scenografica a favore del popolo, i liberatori cominciarono a sbrigare un po’ di lavoro, tra cui occuparsi dei prigionieri tedeschi che si erano asserragliati dentro i loro capisaldi e per giorni avevano rifiutato di arrendersi ai partigiani: era molto più sicuro farlo con gli alleati.
Nel dubbio che partisse qualche fucilata per sbaglio, tutti se n’erano andati.
Carlo e il padre se ne tornavano a casa, in periferia, vicino al fiume; erano quasi arrivati, quando vengono raggiunti da una Jeep con quattro Yankees a bordo i quali, a gesti e con tre parole in italiano, spiegano loro che cercano il ponte.
Davanti a casa di Carlo c’era un muròn, un gelso, la cui ombra era un invito a nozze per quattro ragazzoni affamati e lontani dall’occhio dei superiori, così decidono di fermarsi e mangiare un boccone: Carlo, ancora oggi, è convinto che abbiano scelto quel posto per poter dar da mangiare anche a quel povero Cristo e mezzo che erano lui e suo padre.
A quel punto il racconto diventa entusiasmante, Carlo lo rivive con una partecipazione totale e un’impressionante lucidità di particolari.
La prima cosa erano le scarpe: loro avevano scarpe con almeno due o tre proprietari precedenti, gli Americani sfoggiavano anfibi in vitellino alti fino a sotto il polpaccio; suo padre non si era mai neanche sognato un paio di scarpe così, tant’è vero che guardando quello che poteva avere la sua stessa misura, gli mise una mano sulla spalla e disse:
A l’è mei c’at tena d’otʃ : s’i ‘t masu, mei a pei el scarpi…
(È meglio che ti tenga d’occhio: se ti ammazzano, mi prendo le scarpe…)
L’Americano rispose con un divertito “Okkey, Okkey..”
Poi arrivò il cibo: questi tirarono fuori delle scatole di carne che Carlo descrive “grosi c’me ‘n sidèl” (grosse come un secchiello), una ciascuno; probabilmente non erano così grosse ma una sola rappresentava comunque l’apporto proteico annuale per la sua famiglia.
Quando ne diedero una ciascuno anche a loro, suo padre ebbe quasi un mancamento: una finì immediatamente sotto la giacchetta lisa, l’altra se la divisero, accompagnandola con le gallette.
Carlo sostiene di non aver mai mangiato una cosa così buona, anche se si trattava del famigerato SPAM, il patè di manzo e maiale con cui l’esercito USA ha impestato -ma anche sfamato- mezzo mondo; nelle Hawaii, poi, è diventato il vero piatto nazionale.
Ancora oggi, Carlo adora il Jambonet della Montana, proprio perchè gli ricorda quel giorno.
Mi scappa di divagare, astenersi under 45.
C’è poi Jambonet, che puoi fare a fette, |
E poi il cioccolato: Carlo aveva così tanta saliva in bocca, la vera acquolina, che spruzzava dappertutto cioccolata liquida, con suo padre che gli diceva “manda giù, manda giù!”, mentre gli americani si ammazzavano benevolmente dal ridere.
Chi è stato in guerra ha sempre visto il nemico come un orco mangiauomini, per poi scoprire, una volta faccia a faccia, che si trattava di un uomo come lui; quel giorno è successo l’opposto: contro dei giganti così ben nutriti e calzati, “solo quello scemo del Duce poteva pensare di vincere una guerra”.
Fino al 2003, Carlo aveva una barca a Genova, con tanto di baracca –quasi un monolocale- sulla banchina dell’imbarcadero, in cui viveva praticamente in pianta stabile dopo il pensionamento, avvenuto in tenera età, in quanto ex dipendente pubblico; tornava a casa un po’ più spesso di Salem (post precedente), diciamo un giorno alla settimana; si faceva vedere dalla moglie, poi si fiondava in negozio da me, quando stavo in armeria: la scusa era quella di rifornirsi di roba da pesca, in realtà ce la raccontavamo per tutto il giorno.
Proprio in un’occasione simile, si presenta l’altro, l’amico comune che ha spostato la fabbrica di galleggianti a Biserta.
“Oh, maruchèn… c’me ‘t stai?…” (Oh, marocchino, come stai?)
Quattro cagate, poi el Maruchèn guarda Carlo e gliela butta lì:
“Ma cosa ci fai ancora in Italia? Hai una bella pensione e qui non ti manca niente ma là faresti l’Imperatore. Conosco tutti, ti faccio sistemare bene; poi c’è tanto di quel pesce che a Genova te lo sogni; si mangia da Dio: frutta, verdura, carne e pane sono come da noi cinquant’anni fa; gli uomini giovani sono tutti a lavorare in Europa e le vedove sono giovani e belle, per niente smorfiose: uno spettacolo! Se ‘t speci, gnuränt?” (Cosa aspetti, ignorante?)
Preciso che Carlo aveva una sessantina d’anni ed una forma fisica spettacolare, quindi non era sordo a certe sirene…
Abbozza una difesa: ”Tu sei separato ma io ho una moglie che adesso mi vede una volta alla settimana; se anche fosse una volta al mese, mi mangio la pensione per andare avanti e indietro…”
”Ma fammi il piacere… Là non riesci a spendere i soldi, vivi con un decimo della pensione… e per il viaggio basta dare 50 euro (per andata e ritorno) al comandante di uno dei mercantili che fanno la spola tra Genova e Tunisia e dormi una notte in una cabina alla buona. Hai anche la scusa che la nave riparte il giorno dopo, così dici che non ti puoi fermare e a casa tua non ti rompono i coglioni…”.
Morale: quando el Maruchèn è ripartito, Carlo si è aggregato in missione esplorativa.
Due settimane dopo era tornato, letteralmente euforico: “Ma sai che posto?… Si sta da Dio! Non ho mai mangiato così bene… e non parliamo della pesca!… Mai visto tanto pesce!… Poi c’è un Francese che dirige quattro o cinque alberghi che da una vita cerca uno con la barca che porti i turisti a pescare, vuole un Europeo, visto che dei Tunisini i turisti non si fidano… Altro che mangiarmi la pensione: lì ne metto ancora via…”
E questo era un ulteriore, ottimo argomento per tenere buona la moglie: praticamente andava all’estero a cercar fortuna…
Fatto sta che carica la barca e la Panda su una nave e si trasferisce.
Quando si dice che la vita ricomincia a sessant’anni…
Ogni volta che tornava lo vedevo abbronzato e in grande forma, realmente ringiovanito ed entusiasta della scelta fatta; “Carlèn, a stag ‘me ‘n puciu!” (Carlo –siamo omonimi, non mi chiamo davvero Dottordivago- sto come un pascià!)
E comincia a fare la cosa per cui lo amo: inizia a raccontare.
La cosa che mi fa più piacere è che si trova bene con la gente, dice che gli sembra di essere tornato indietro di cinquant’anni, quando nessuno aveva sempre fretta –non si sa di fare cosa…- e tutti erano disponibili:
A vòt ca’ t’ diga? I son gran brava gent!
(Vuoi che ti dica? È gran brava gente!)
”E le vedove, come sono?…”
Gli brillavano gli occhi: mi raccontava che non si metteva con quelle troppo giovani, ci mancherebbe altro… Però aveva il suo giro di quarantenni a cui non negava mai la possibilità di tirar su qualche dinaro con un bucato o con le pulizie di casa.
E loro non gli facevano mancare niente, come si evince dal seguente inno in favore dell’integrazione razziale, magari a scapito della finezza:
B’sogna abituesi, ‘i än in poc l’udur ‘d servà
(bisogna abituarsi, hanno un po’ l’odore di selvatico)
ma ‘i än del brigni nuasøti e di bodʒ del cü neier ch’i son in spetàcul…
(ma hanno delle prugne –vagine- noisette –color nocciola- e dei buchi del culo neri che sono uno spettacolo…)
Non c’è niente da fare: a girare il mondo, se ne imparano di cose…
”Quindi fai conto di starci ancora un po’, giusto?”
”Un po’?! Sto là finche le gambe mi portano! E quando non mi portano più, torno ad Alessandria a lasciare ammuffire le ossa…”
Evento quanto mai remoto, considerato quanto mi viene riportato; non avendo più l’armeria, lo vedo meno frequentemente di prima ma ho sempre notizie da sua figlia, mia coetanea: adesso Carlo ha 71 anni, ne dimostra 60 e ha le energie di un cinquantenne.
Finora non ha avuto un benchè minimo problema a causa della situazione socio-politica e continua a godersi la vita.
Mi ha già invitato mille volte ma adesso devo smetterla di fare il cretino: appena in Tunisia si sistemano le cose, faccio un salto a trovarlo, deciso.
Sto pensando alla pesca, banda di maniaci: a me il gusto di selvatico piace nel piatto, non nel letto.
Dottordivago
Sarebbe ora! Un amico così simpatico!
Poi però ci racconti tutto, che anche a me piace sentire le storie! Mia mamma era bravissima a raccontare del tempo di guerra, meglio che leggere un libro!
oh, per uno che si sta sentendo vecchio a cambiare vita a meno di 40 anni, sta qua è proprio una lezione.
Okay, avevo intuito grandi cambiamenti, intuizione in parte confermata dalla tua assenza alla tastiera.
Solo che la stessa cosa sta succedendo al Mister: se state mettendo su famiglia tu e lui, fatemelo sapere e ditemi dove fate la lista…
E’ la stessa cosa che mi stavo chiedendo anch’io, se scopri qualcosa fammelo sapere, si potrebbe fare un regalo unico…….. quello in cima alla lista.
Maurizio
P.S. caro dottore vado fuori tema, ma ti comunico ho scritto un post dal titolo “la finestra” e naturalmente sei stato nominato, tu e le finestre siete in simbiosi.
mi sento di rassicurarvi. i miei cambiamenti NON sono così radicali 🙂 conservo ancora la certezza che due cose non hanno soluzione al mondo: la morte e la figa.
ed è sul secondo punto che al momento sono più focalizzato. ho vegetato in una vita di serie b per 5 anni. ora è il momento di svegliarsi e riprendersi indietro me stesso e quel po’ di felicità che mi resta, magari anche soffrendo un po’, ma fuori da questa anestesia generale che era diventata la mia vita.
carlo è stato ad un cena con me ed ex e credo abbia capito al volo, da ragazzo intelligente qual è, dove stava il problema 😉
Caro Storvandre, non ti conosco – se non per interposta persona – ma faccio il tifo per te: mi capitò lo stesso tre anni fa, ed è andata bene oltre ogni aspettativa, il che ti auguro che accada 🙂
Marco
Caro Stor, mi fai più furbo del dovuto: non avevo capito un cazzo.
Adesso che ho capito -e che ho sentito il Mister- non sono contento.
Sono CONTENTO!
Ti mando un “in bocca al lupo che a sua volta si trova nel culo della balena”.
Per la morte non c’è rimedio, per la figa ci sono soluzioni alternative.
va bhe non è la stessa cosa, la settimana scorsa ho chiesto ad un pivellino, un fanciot (dico bene dottore) se mi sapeva dire che differenza c’è tra la figa e la play station, non mi ha saputo dare risposta, ecco come le giovani leve hanno trovato l’alternativa.
io comunque la penso come te, sono all’antica, più ce nè meglio è!!!!
Certo che come si nomina la figa, si diventa tutti solidali.
La cosa che mi preoccupa è il lieve sentore di nostalgia che emanano alcuni dei commenti, come se fosse una cosa remota, di cui s’è persa traccia.
Sperem che sia solo l’effetto dei racconti della guerra.
Cito il mio amico Alberto, paraculo dalla Maiella, “in tempo di guerra ogni bucio è rifucio”.
Buon fine settimana
Paolo
eccolo, direttamente da parigi, il nostro eroe…… Paolo mi viene da farti una domanda……. ma tu preferisci trombarti una figa nuova o vincere il derby?
L’ amore è l’Amore, ma la figa è figa!
questa è una risposta GENIALE!
Io vi racconto una storia in cui c’è tutto: l’amicizia, la guerra, il profumo del mare, il coraggio di cambiare vita…
E mi finite tutti quanti sulla figa, come i bambini col pallone all’oratorio.
Lo sapete, sì, di essere una banda di maniaci?
almeno su questo, ho pochi dubbi.
l’amicizia cos’è? una volta la mia migliore amica mi disse “siamo troppo amici per fare certe cose”.
un amico ti puo dare una mano, ma l’amica ti puo dare la gnocca…… meglio trombare un amica o una sconosciuta?
Per quanto riguarda l’esser banda è una cosa che mi fa molto piacere, ma siccome stasera son pieno di domande, mi vien da dire: ma quando facciamo merenda insieme?
buonaserata a tutti
ilpirata
Mah… io direi che appena si aggiusta il tempo ci potremmo provare.
l’importante è che non finisca cosi:
Va bene tutto, l’importante è che non ci sia l’organizazione del pirata, lui deve solo portare il prosecco.
maurizio