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Archive for 11 ottobre 2011

Negli anni 50 qualcuno pensò che così come gli Europei erano stati bravissimi a massacrarsi per un paio di millenni, forse sarebbero stati bravi anche a darsi una mano. Così decisero di fare l’Europa.
Partire, eravamo partiti bene e nel 1973 eravamo piazzati così: Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca, Irlanda, Regno Unito e, ovviamente, Italia.
Praticamente una bella famiglia, gran lavoratori e timorati di Dio, più un figlio scemo: noi. Ma finchè c’è la salute, dove si mangia in otto, si mangia anche in nove.
Ecco, dovessimo fare quella scelta adesso, quasi quasi l’Italia farebbe bene a non entrare in “qualsiasi club che accettasse soci come noi” ma allora era un’altra Italia, quella della Prima Repubblica, della lotta di classe, della strategia della tensione… Eh, bei tempi…
Non è neppure il caso di parlare di elite europea, era semplicemente l’Europa, i nove Paesi -su ventisette- che ancora oggi rappresentano il 75% del PIL, mentre il rimanente 25% lo sgobbano gli altri diciotto, come dire che in una squadra di tre persone uno fa i tre quarti del lavoro e gli altri fanno un quarto in due.

Anche l’istituzione dell’Albergo Diurno era partita bene.

La nascita dell’Albergo Diurno, idea veramente geniale per l’epoca, interpretava e rispondeva alle esigenze del viaggiatore ospite di una città o per brevissimi momenti, per ragioni d’affari o occasioni di lavoro, oppure di passaggio tra una meta turistica e l’altra, tra una coincidenza ferroviaria e l’altra.
Ma rappresentava anche la nascita dell’idea della cura del corpo e del benessere, offerta anche alla cittadinanza locale, sotto forma di salone di bellezza, con servizi di parrucchiere e manicure, fruibili in ambienti molto curati se non addirittura lussuosi. Del resto non si deve dimenticare che la stanza da bagno non era così diffusa nelle abitazioni cittadine, per cui l’Albergo Diurno aveva anche funzione di bagno pubblico.

Poi è arrivato il 1981, annata niente male per il vino ma per l’Europa… era meglio se quell’anno cascavamo dalla bici e ci rompevamo un paio di costole, così non avremmo avuto testa per altre cazzate. Invece non è successo e qualcuno che si annoiava, tipo le casalinghe disperate, ha pensato di non aver niente di meglio da fare che tirarsi in casa la Grecia, un Paese che, per infrastrutture e mentalità, aveva profonde radici negli anni 40, parlando delle aree urbane, e nell’800 parlando di quelle rurali.
La storica giornata deve essersi conclusa così: «Tutti i nove stati membri sono d’accordo, quindi diamo il benvenuto alla Grecia e sia messo a verbale che da questo momento cominciamo ad avercelo leggermente nel culo tutti quanti…»

E poi ci siamo lanciati negli anni 80, gli anni della spensieratezza globale, del divertimento, dell’assenza di ideali, gli anni dell’edonismo reaganiano, gli anni di “Girls (e pure i boys) just wanna have fun”.
Ecco, pensandoci bene, mia nonna diceva sempre a mio nonno che “i disordini si pagano…” ed è risaputo che i postumi peggiorano in modo proporzionale a quanto è stata divertente la sbronza.
Così nel 1986 ci siamo svegliati una mattina con la bocca impastata e al nostro fianco ci siamo ritrovati Portogallo e Spagna.

Ci siete passati in quegli anni nella penisola iberica?
Io sì. E vi posso garantire che il Portogallo era indietro come le balle del cane, con un grande passato coloniale alle spalle e 365 modi per cucinare il bacalao. Fine delle voci all’attivo.
Come voci passive, ringraziando la Madonna di Fatima, ne avevano un mucchio e bastava farsi un giro per Lisbona per vedere quanto gli abitanti fossero belli tirati come i cani da caccia alla fine della stagione venatoria. 
Con la Spagna, a fronte di realtà europee quali la Catalogna e di gente con voglia di lavorare nelle regioni che si affacciano sull’Atlantico, ci siamo ritrovati a fare i conti con il resto del Paese, con cui abbiamo più che raddoppiato i problemi del sud italiano, forse con qualche criminale in meno ma una vagonata di lavativi in più, gente che fargli strappare una paglia…

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             Missione impossibile!

Sì, c’è anche stato un periodo, prima della crisi attuale, in cui sembrava ci facessero le scarpe ma era solo apparenza, dovuta da una parte al nostro immobilismo senza precedenti, dall’altra a un’economia pompata come quelle bistecche che si liquefano in padella: infatti, appena l’economia ha dato uno scrollone, in Spagna sono stati più quelli che restavano a casa, non per loro volontà, che quelli che alla mattina andavano a lavorare.

E l’Albergo Diurno?
I viaggiatori eleganti erano scomparsi, rimanevano le strutture ma l’istituzione veniva lentamente svuotata di significato.
Cominciava ad arrivare brutta gente.
Una volta, anche nelle famiglie per bene che non navigavano nell’oro, dove per tutto l’anno ci si lavava nel mastello, c’era la tradizione, ovviamente rare volte in un inverno, di andare a farsi il “bagno caldo” all’Albergo Diurno, lusso che, a sentire i vecchi, equivaleva ad una settimana in una Spa per voi debosciati del terzo millennio. E dico “voi” perchè io, se voglio scaldarmi la schiena, non vado a farmi ricoprire di sassi o di fango caldi ma mi siedo contro il termosifone. 
Il mio defunto “amico” Primo -io avevo vent’anni, lui 75…- mi raccontava della prima volta in cui si è immerso in una vasca di acqua calda, in un ambiente riscaldato, senza pelle d’oca alta un dito, senza essere scosso dai “tremòni”, senza le mani di sua mamma che tentavano di infilarsi sotto le ascelle per lavarlo, mentre lui stava tutto raccolto per conservare una briciola di calore corporeo…
Era una domenica mattina e, non ricordo per quale grande occasione, tutta la famiglia era andata all’Albergo Diurno per farsi un bagno “come i signori”, poi a “Messa Grande”, quella delle 11, non quella delle donne, dei bambini e dei poveri alla mattina presto.
Lì aveva visto persone di cui aveva sempre e solo sentito parlare dai suoi genitori, tipo il notaio Tizio, l’avvocato Caio, medici, qualche rimanenza di nobiltà…
E poi a pranzo… al ristorante!
Appena arrivò il cameriere, Primo si presentò con nome e cognome, scambiandolo per un pezzo grosso.
E poi in giro per la città, con tante bancarelle, con suo padre che gli comperò un dolce, la testa che girava…
Questa clientela povera ma onesta andava all’Albergo Diurno come si entra in una cattedrale, in punta di piedi, con il massimo rispetto per cose e persone.
Ma anche questo tipo di clientela, come i viaggiatori eleganti, si era estinta, ormai la gente comune aveva il bagno in casa e l’Albergo Diurno stava tristemente diventando il “diurno”, dove solo sbandati e diseredati andavano a spulciarsi, senza rispetto per sè e per gli altri.

Nel 1995, forse pensando che, dopo la riunificazione interna, la Germania avrebbe annesso l’Europa, dopo un filotto di minchiate abbiamo pescato tre carte buone: Austria, Svezia, Finlandia.
Oddio, l’Austria è grossa come il mio condominio ma è gente quadrata, di cui ci si può fidare; la Svezia poteva mettere sul piatto della bilancia una buona, anche se sopravvalutata, percentuale di figa; con la Finlandia e la sua Nokia potevamo dire la nostra anche con Americani e Giapponesi. 
Avete presente quando dicono: «L’hanno portato all’ospedale ed era messo male; poi, quando sembrava cominciasse a stare meglio, è morto…»
Ecco, mi sa che questi nuovi acquisti sono stati l’equivalente dell’effimero miglioramento…

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Dottordivago

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