Cecco era un brav’uomo, purtroppo era un povero scemo.
Proprio così, senza girarci tanto intorno: non era “diversamente sveglio”, era proprio un povero scemo senza cervello.
Io ne ho un vago ricordo, lo vedevo ogni tanto da piccolo ma ho memorizzato tutti i racconti su di lui: a suo modo, un personaggio.
Nato subito dopo la “Guerra del 15/18” nel paesino del Monferrato dei miei nonni, era talmente tonto che non gli si poteva affidare nessun compito; e non dico all’interno della sala di controllo di una centrale nucleare: intendo nè nei campi nè, tanto meno, ad accudire le bestie nella stalla.
Un giorno, quando aveva una quindicina d’anni, suo padre si è messo d’impegno per insegnargli a potare la vigna e sfiga vuole che, quando gli ha detto «Prova tu…», i primi due tagli li abbia fatti giusti; suo padre si è allontanato e Cecco è andato avanti col lavoro.
Prima di sera aveva spianato una vigna e sono stati necessari anni prima che i monconi di vite ricominciassero a fare uva.
Allora non c’erano ancora gli sbocchi che ci sono oggi in politica e nel pubblico impiego, la sua famiglia non era ricca, quindi uno così come poteva campare?
Non solo era un peso per la famiglia, era un danno.
Così il padre si è presentato dal prete con il cappello in mano per vedere se fosse stato possibile mandarlo in seminario…
A momenti il prete se lo mangiava: come poteva pensare che un povero scemo fosse in grado di diventare un ministro del Signore?
«Ma no, signor Prevosto… anche solo in un convento… e non a fare il frate, senza “prender messa”… ci manca ancora… Non so, se avessero bisogno un uomo di fatica… Cecco è volenteroso…»
L’unica richiesta di quel pover’uomo era che il figlio avesse un piatto di minestra e un tetto sulla testa per il resto della vita, oltre a stare lontano da un mondo che proprio non faceva per lui.
E a non doverlo mantenere, cosa pesante, a quei tempi.
Un paio di buone braccia a bassissimo costo hanno sempre fatto comodo, così in breve tempo Cecco partì per un convento a una trentina di chilometri dal suo paesello.
Lo riportarono a casa i Carabinieri, sporco e affamato, dopo una settimana passata a zonzo per le campagne.
Dietro richiesta del padre, lo accompagnarono in convento.
Come primo incarico, il frate cuoco gli disse di andare nel magazzino delle patate, prenderne una cesta e di lavarle bene.
«Tutte?»
«Sì, certo…»
Lavò la cesta di patate per il cuoco, si spostò nel magazzino e si mise a lavare tutte le altre; smise quando lo fermarono a calci nel culo.
Purtroppo era un periodo umido e non si riuscì ad asciugarle bene allargandole in cortile, così una buona metà delle riserve di patate ammuffì molto prima del tempo.
Cecco fu dato in affido al responsabile dei campi.
Un giorno, approssimandosi l’inverno, il frate ortolano gli disse di “sotterrare” i cavoli, operazione che consisteva nel rincalzare la terra intorno alla verza per proteggerla dalle prime gelate. «Sai come si fa?»
«Certamente!»
Purtroppo il campo era fuori dalle mura del convento e nessuno lo fermò.
Cecco estirpò tutti i cavoli, scavò come un pazzo e li sotterrò a testa in giù, con la radice in bella vista: il giorno dopo, il raccolto di cavoli di quell’anno era perduto.
Non era il primo danno che faceva ma questo era grosso: cavoli e patate rappresentavano due voci primarie nella dieta di allora.
Venne la primavera.
Il cuoco gli mostrò come si pulivano i cipollotti: «Si tiene il bianco e si butta il verde, capito?» e per essere sicuro lo tenne d’occhio per un po’.
«Bravo, così… Poi il verde lo dai ai maiali, capito?»
Purtroppo dopo c’era da pulire una carrettata di asparagi, di cui Cecco tenne buono il bianco e diede il verde ai maiali.
Lo rimandarono a casa.
L’allora Podestà del paese era una brava persona e gli passava di tasca propria una specie di piccolo vitalizio, poi l’avvento di mutua e pensioni dopo la “seconda guerra” è stato la sua salvezza: qualcuno è riuscito a fargli prendere due lire tutti i mesi, così la sua famiglia non lo abbandonò e non gli capitò una delle tante “disgrazie” che un tempo toccavano a quelli come lui, tipo cadere “accidentalmente” in un pozzo…
Invece è morto di vecchiaia poco tempo fa.
Ora, memore dei cavoli e degli asparagi di Cecco, mi pongo una domanda.
Questi qui, tanto per fare un esempio,
sono ancora al mondo.
Ora, d’accordo che “beati gli ultimi perchè saranno i primi”, ma chi si sarebbe mai aspettato che Cecco, una volta passato di là, venisse promosso Padreterno?
Eh sì, i casi sono due: o Cecco ha preso in mano l’azienda o se Dio è sempre lo stesso deve essere uno sfegatato collezionista di figure di merda.
Dottordivago