“Song’ ‘o fetente” era la frase che ripeteva sempre Lello Arena nella parodia della sceneggiata napoletana, frase che giustificava il gesto più efferato, visto che, se certe cose non le faceva lui in quanto “fetente”, chi mai avrebbe potuto farle?
E quando scrivo cose particolarmente lontane dal pensiero comune, amo considerarmi ‘O Fetente: se certe cose non le dico io…
Dunque, abbiamo visto che il bene primario più demonizzato per quanto riguarda il prezzo, la benzina, costa meno oggi che trent’anni fa, giusto per capire che fare i piangina in televisione non ha senso: non ha mai senso, in questo caso in particolare.
Perchè oggi ci sembra più caro ciò che in realtà non lo è?
Semplice: è lo stesso motivo per cui un organismo debilitato è più facilmente preda degli agenti patogeni, dal raffreddore all’HIV.
Quando arrivi a fine mese e, come si faceva una volta, hai messo via qualcosina, nel senso che non hai completamente spaccato la faccia allo stipendio, sei un organismo sano e il virus dell’aumento della benzina non te lo inculi proprio; quando con lo stipendio “non arrivi alla quarta settimana”, diventi un organismo debilitato, “vai via storto”, come quei fagiani che hanno un pallino in un’ala e diventi preda di ogni “malanno” economico.
Cosa debilita il portafoglio?
Non tanto il leggero calo del potere d’acquisto, che innegabilmente c’è stato, quanto l’abnorme aumento del tenore di vita o quantomeno delle cose ritenute indispensabili o dovute, anzi, sacrosante.
E se il tuo tenore di vita cresce più dello stipendio, non solo ti debiliti ma alla lunga puoi pure morire di fame.
E per colpa di chi?
Il peccato originale è del ‘68, Dio lo maledica, che ha buttato via il bambino con l’acqua sporca: ha giustamente svecchiato il mondo ma ha anche diffuso i germi di una malattia sociale, il “vietato vietare”, che ha generato interpretazioni sbagliate di buonismo e uguaglianza, roba che ha dato frutti come lassismo, impunità, sbilanciamento del rapporto diritti/doveri tutto a favore dei primi.
Quindi, Dio maledica il ‘68; ma alla fine della fiera, se oggi sei povero è colpa tua.
Sì, colpa tua, è inutile fare quella faccia.
Che poi, a pensarci bene, non sei povero, visto che vivi da (quasi) ricco, a differenza della generazione precedente che spesso ha vissuto da povera per morire (quasi) ricca e lasciare qualcosa ai figli.
Quand’ero bambino mia mamma mi ha detto almeno mille volte:
«Gioia, quella non è roba per noi…»
Lei lo sapeva ed io mi adeguavo.
Mio padre, addirittura, a volte ridacchiava:
«Quanto costa quella bicicletta? SETTANTAMILA LIRE? Hi hi hi hi…»
Ecco, lui l’avrei ucciso….
Poi ci hanno detto che possiamo permetterci tutto, anzi, che dobbiamo, che lo dobbiamo a noi stessi: solo che io non ci ho creduto, tu che sei scemo, sì, così io arrivo alla fine del mese, tu ci arrivi indebitato.
Che di per sè non sarebbe sempre negativo: l’indebitamento per un’attività, per il lavoro, si chiama “investimento”, mentre indebitarsi per riempire la casa di cazzate si pronuncia “passo più lungo della gamba”, spacciato per “volersi bene” da chi ti ha convinto che il mondo è lì, che basta allungare la mano e prendersene un pezzo.
Per carità, personalmente sono poche le cose che mi piacciono -e che mi posso permettere- a cui rinuncio, ma mai e poi mai indebitarsi per delle cazzate.
E se tutti portano come esempio di gesto insensato quello del viaggio o della vacanza pagata col finanziamento, io non sono d’accordo: un viaggio può essere cibo per l’anima, il jeans “firmato” da 300 euro o una diavoleria elettronica che dopo tre giorni è superata, assolutamente no.
È da una vita che me lo sentite dire, eh? Che palle…
E pensa un po’ che lo dico da ancora prima, tipo quella volta che…
Domenico ha lavorato un po’ di tempo per me, una quindicina di anni fa.
Soprannominato “Kato”, come il domestico dell’ispettore Clouseau -per l’abitudine di seguirmi passo passo in officina, roba che se mi fermavo mi veniva a sbattere dentro, mi stava talmente attaccato che se mi giravo di scatto ci tiravamo una testata- Domenico, dicevo, un bel giorno mi spiegava che “con lo stipendio da operaio non si fa più niente”.
E si parlava ancora dei bei tempi delle lire, notate bene.
«Mio padre faceva l’operaio, mia mamma la casalinga, eppure mi hanno lasciato la casa dove abito; io faccio l’operaio, mia moglie lavora, non ho spese per la casa ma non ho mai una lira: lo stipendio non basta più…»
Ecco… attenzione… PARTITI!
«Quante vacanze faceva tuo padre?»
«Mai fatto un giorno…»
«E tu?»
«Che ragionamenti… Una volta non…»
«Quante macchine aveva?»
«Sempre andato in bici…»
«E tu?»
«Una macchina… e una mia moglie…ma sono cambiati i tempi…»
«Esatto, sono cambiati i tempi. Telefoni?»
«Andavamo dal vicino per le emergenze, idem quando ci chiamavano. Poi, quando ero già un giovanotto, abbiamo messo il duplex, in società con il famoso vicino di casa, per risparmiare…»
«E tu?»
«Il fisso, un cellulare io e uno mia moglie… ma cosa c’entra, allora non c’erano…» «Appunto, non c’erano. Però c’erano televisori, elettrodomestici, vestiti, alberghi… tutta roba da cui, comunque, tuo padre si teneva lontano»
«Il frigo ce l’avevamo ma mia mamma ha lavato a mano fino a quarant’anni, me lo ricordo ancora quando è arrivata la lavatrice, idem la televisione… ma tu non vuoi capire che sono cambiati i tempi…»
Ho preso un bel respiro e… be’, ancora oggi, quando lo incontro, Kato mi dice: «Minchia… che storia, quella volta…»
La “storia” è stata la mia risposta, approssimativamente questa:
Io capisco benissimo che sono cambiati i tempi.
Tu non capisci che non è cambiato il lavoro che fai e che tuo padre non guadagnava di più, semplicemente spendeva molto meno: è cambiato lo stipendio ma è sempre uno stipendio da operaio, che non permette di comperare tutto ciò che viene inventato; triste dirlo, assolutamente ingiusto, ma la tua situazione è quella: se un operaio guadagnasse il doppio, la roba costerebbe il doppio e gira la ruota. Io sono assolutamente felice che tu, oggi, una volta all’anno possa farti una vacanza ai Caraibi; il fatto è che se la sarebbe potuta fare anche tuo padre, cosa ti credi… Ma tu non avresti ereditato una casa, quindi tuo papà, in ferie, andava a giocare a bocce “ai Ferrovieri”. In bicicletta. E la parola week end per lui non aveva significato, non perchè non conosceva l’inglese ma perchè lavorava anche di sabato e non lo sfiorava il pensiero di mangiarsi in due giorni il lavoro di quattro, a stare stretti.
I miei genitori, come credo pure i tuoi, fino agli anni 80 non sono mai entrati in un ristorante “così, tanto per mangiar fuori”, ci voleva un’occasione, tipo un matrimonio o il pranzo dei 40 o 50 anni; già quello dei 45… era da pensarci. Poi, sistemati i figli, si sono leggerissimamente imborghesiti ma sempre cum grano salis…
Purtroppo, ingiusto fin che vuoi, le cose stanno così e chi dice il contrario ti racconta delle balle o, più facilmente, vuole venderti qualcosa»
La penso ancora così, punto per punto e quando mio suocero mi dice «A sentire te sembra giusto che i poveri lo prendano nel culo» io rispondo che non è giusto, è sbagliato. Ma matematico, infatti è la storia del mondo.
Lo ripeto pure a voi, seguite il labiale: in – giu – sto.
Quello che voglio chiarire è che lo è sempre stato, non è storia recente, addirittura non è neppure colpa di Berlusconi
Anzi, no, per quanto riguarda la voglia di fare gli sboroni è anche colpa di Berlusconi e delle sue televisioni, dei Grandi Fratelli e dei programmi dedicati alla Bella Vita, ai VIP e all’essere famosi.
Forse bisognerebbe fare come Kato, oggi.
L’ho incontrato pochi giorni fa e con il suo classico “Minchia… che storia, quella volta…” mi ha fornito l’ispirazione per questo post.
Cos’ha fatto Kato? Niente di speciale, è stato licenziato.
Lavorava dal mio amico, che a sua volta produceva per me, nell’officina in cui mi tendeva gli agguati come all’ispettore Clouseau; l’amico ha chiuso e Kato è rimasto a spasso, nel 2007.
Ha cercato un altro lavoro con poca convinzione, tranne fare il filo per un anno ad un posto da magazziniere in una torrefazione, a 50 metri da casa sua.
Purtroppo il posto è sfumato e Kato non ha fatto una piega: ha fatto come le lumache, si è chiuso nel guscio e ha azzerato il metabolismo.
Sua moglie prende uno stipendiuccio, lui ci mette la casa di famiglia con orto annesso -così per sette o otto mesi all’anno ha qualcosa da fare- e da lì non si muove. Io un paio di volte gli ho detto che se avesse voglia di mettere qualche finestra per me, io lo chiamerei pure ma lui è un uomo da officina, una specie di orologiaio, poco incline alla fatica del cantiere, così non se n’è fatto nulla.
E così, quello che con due stipendi non arrivava alla fine del mese, adesso ci arriva con uno: ovvio, ha persino smesso di fumare, la macchina è sempre la stessa Corsa targata AP del ‘96 e di vacanze non se ne parla proprio ma lui si dice “molto rilassato”.
Oh, scelta insindacabile.
Ecco, io avrei voluto consigliargli di tenere d’occhio la moglie, che una di queste notti non apra il gas come la moglie del conte Mascetti, tragedia scongiurata, nel film, da un provvidenziale taglio della fornitura per morosità.
Ma quasi nessuno fa come Kato, cosa peraltro positiva, almeno il mondo rimane un po’ più vivo. Il lato brutto della medaglia è un altro, cioè che questa smania di acquisti e di vita da sciuri in molti casi non porta ad una voglia di miglioramento della propria posizione ma solo di miglioramento del guadagno.
E da lì inizia il triste e vergognoso andazzo di oggi: sempre più dipendenti sorpresi a rubare sul luogo di lavoro, addetti ai bagagli che frugano nelle valigie, postini che aprono la corrispondenza altrui in cerca di contanti, poliziotti che spacciano le droghe sequestrate.
Nessuno ne è immune, addirittura medici o un fior di primario che si fa beccare con la mazzetta di 5000 euro per ridurre i tempi di attesa per un intervento…
Bastardo.
Mi fa schifo lo stesso ma posso quasi capire uno che porta a casa 15.000 euro all’anno, con un figlio che vorrebbe l’iPhone, e provo ancora più schifo per chi, magari, vuole tenere il passo con la vita dispendiosa di amici più fortunati.
Però si tratta di poveracci, poveracci dentro, intendo.
Ma un primario che porta a casa centinaia di migliaia di euro, se non milioni, non è la cosa più ripugnante del mondo? Per me è peggio dei politici corrotti.
‘Azz… volevo tornare a bordo della 128 del 1970 ma il tempo è tiranno, gente.
Continua
Dottordivago
obolo di lettrura versato!
Ligio Paolo
Facciadaculodicanedacaccia…
obbligato!
Davvero, Paulìn, bentornato.
Tutto sacrosanto…. che tristezza!
Ehi, perché anonimo?? Sono io, la Simona!!! … Ho dimenticato di mettere il nome…. meglio andare a dormire….
128 rossa e giardinetta, roba forte! Stereo con due manopole grandi come una mela con ghiera sotto che non ho mai capito a casa servisse… correva alla grande!
se anzichè fare cazzate mettevo via i soldi a quest’ora ero milionario, però me la sono goduta…. a casa mia funziona cosi: io pago tutto e mia moglie mette via il suo stipendio, se mi molla sono rovinato!
E c’è gente che si iscrive a sociologia.
Quasi tutto vero, direi. Quasi, perchè non mi torna che lavorando come il classico negro, come in effetti faccio, mi dovrei poter permettere il tenore (insomma, è un parolone) che vorrei: e in effetti potrei, se solo la mia cassa professionale e lo stato non mi trattassero come una vacca da mungere senza ritegno. Bah.
Provato a evadere e truffare? Di solito ti cambia la vita…
non ce la faccio. per ora.
Tu sei sociologo inside..
Denghiu, mai darling.
E’ proprio così. Me le ricordo anch’io queste cose. E conosco tanta gente, anche famigliari, che non hanno mai fatto un giorno di vacanza e durante le ferie facevano lavori di manutenzione in casa o, addirittura, ne costruivano un pezzo.
Ma mi ricordo anche quelli più granosi, i borghesi dell’epoca , quelli che si compravano la casa al mare o in montagna ma in città giravano con le loro Fiat o , al massimo, Lancia e non facevano l’uovo fuori dalla cavagna.
A casa mia eravamo già fortunati perchè i miei lavorano entrambi e mio padre aveva più attività. Però non si “sgarava”. Si cercava di comprare roba che durasse e fosse “bella” e le vacanze erano “canoniche”. Però , una enorme differenza c’era: il fisco. Si pagava poco e lo stato non rompeva le balle come oggi che sembra di essere a Sherwood senza neanche Robin Hood.
E c’è anche un’altra cosa: penso effettivamente che per i nostri vecchi sia stata per certi versi più facile: 1) durante la guerra erano bimbi o ragazzi, e non l’hanno fatta; 2) poi, da giovani adulti, si è aperto un ventennio magico: spazio per tutti, occasioni, tanto lavoro da fare, bastava averne voglia (nel mio campo anche un cane avrebbe fatto soldi, io che son bravino – fanculo la modestia – se va bene avrò il culo veramente al caldo non prima dei 55 anni, sopratutto se mi ostino a non evadere); 3) il ventennio successivo gli ha assicurato tante di quelle sinecure sociali, talune scandalose, che scontiamo noi oggi; 4) volere o volare se il discorso del dottore è ineccepibile, pure in questo mondo viviamo, e non puoi girare con il calesse se tutti gli altri, pur indebitati, van via in auto: gli Amish reggono solo se stanno per i cazzi loro; per dire, senza internet non si muore, ma oggi se non ti paghi la possibilità di accedere sei tagliato fuori, qualche volta non sei tu a rincorrere i lussi, ma sono loro che rincorrono te, e capita che ti prendano.
Qui in URSS basterebbero un paio di cosette: vero abbassamento delle aliquote e versamento contributivo minimo, che permettano a me di pagarmi un’assicurazione che scelgo (se voglio, se no vaffanculo) e un sostegno minimo – ma minimo davvero – a tutti, da vecchi. Dasvidania.
non tornano i conti, una dozzina d’anni fa si viveva nello stesso modo e i soldi bastavano qualcuno, con l’entrata dell’euro, c’ha fatto la cresta.
Sono d’accordo sul ’68, infatti la reazione la stiamo pagando adesso e salata!
Per puro divertimento rispondo alle domande che ti ha ispirato Kato:
«Quante vacanze faceva tuo padre?»
«Mai fatto un giorno però abitavamo in un posto dove non ne sentivi il bisogno, il paese offriva anche quei divertimenti che per avere lo stesso adesso devi essere benestante»
«E tu?»
«ho girato tanto per lavoro che le rarissime volte che sono obbligato a fare la valigia mi viene la nausea e comunque anche io adesso vivo in un posto dove non sento proprio la necessità di cambiare aria»
«Quante macchine aveva?»
«nessuna, i mezzi erano al massimo dello splendore un ducati 150 cc, però mio padre non ha mai avuto un lavoro distante più di 1° km da casa»
«E tu?»
««Ho un pick-up di 20 anni (quello su cui i talebani montano la mitragliatrice pesante) per il trasporto di legna, spoglie di ungulati e materiali edili vari (sto ristrutturando casa in economia)
poi la mia compagna ha una picoola una piccola utilitaria di 12 anni x muoversi in città e non spostare quelle 2 tonnellate di ferro che pesa la mia. »
« Telefoni?»
«Andavamo dal vicino per le emergenze, idem quando ci chiamavano. Poi, quando ero già un giovanotto, abbiamo messo il duplex, in società con il famoso vicino di casa, per risparmiare…»
«E tu? »
«un cellulare io e uno mia la mia compagna ( il mio è della ditta) »
«Appunto, non c’erano. Però c’erano televisori, elettrodomestici, vestiti, alberghi… tutta roba da cui, comunque, tuo padre si teneva lontano»
«Il frigo ce l’avevamo (quando lo hanno comprato io ero bambino e ricordo di aver pensato che eravamo ricchi) mia mamma ha lavato a mano fino a quarant’anni, (la lavatrice l’avevo comprata io con il terzo stipendio da navigante), la televisione era arrivata un po’ prima per un capriccio del babbo…. »
Carlo
P.S.
A me i vecchi hanno lasciato forza, salute e un diploma per poter lavorare, adesso i giovani contrastano la crisi con quello che hanno lasciato gli antenati….