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Archive for 12 gennaio 2013

E mò voglio i soldi.
Dal Governo, dall’Europa, dalla mutua, da una colletta… ma li voglio.
Per una nobile causa: la Ricerca.

Io sono in più grande ricercatore -e scopritore- del pianeta, anche se in un settore molto particolare:

i sucaminchia.

Antefatto.
Ho un cliente di Torino a cui ho già fatto le finestre per un appartamento in Alessandria. E siccome

to know me is to love me

mò che ha acquistato una casa a Pavia vuole le stesse finestre, il buongustaio…

Vuole anche le porte interne, prodotto che non ho mai amato molto, un po’ perchè si guadagna pochino, un po’ perchè mi sembra di vendere le scarpe: uno vuole quella ma con la maniglia di quell’altra, i coprifili di quella là e il colore di un’altra ancora.
Morale, ho una decina di modelli in esposizione, giusto per far vedere che le tratto, infatti non ho quasi mai quella che interessa al cliente. Solitamente me la cavo con i link delle due aziende che tratto, così uno si guarda e riguarda come vuole tutte le porte in produzione.
Per i più tignosi mi avvalgo dell’esposizione di Massimo, il rappresentante delle due aziende. Il problema -non insormontabile- è che l’esposizione è a Volpiano, hinterland torinese, a un centinaio di km da Alessandria, quindi ci porto il cliente quando proprio capisco che è “caldo”.
In questo caso specifico, poi, meglio di così si muore: il cliente è di Torino, quindi ci può andare quando vuole; inutile e stupido fare da tramite, do a uno il numero dell’altro e che se la sbrighino loro.
E che lascino tranquillo me, soprattutto.

Tutto questo, ieri.
Questa mattina mi serviva un numero di telefono, così, cosa rarissima, accendo il cellulare alle 8.20: solitamente prima delle 9 non se ne parla.
Un secondo dopo il bastardo già suona e a me parte la prima madonna della giornata: cosa ci posso fare, lo odio… e se lo odio, lo odio, eh!… 
È il cliente di Torino che mi informa che oggi telefonerà al rappresentante.
«Devo fare qualcosa?» «No, no, era solo per informarla…»
Bravo.
Ecco… lo scopo dello scambio dei rispettivi numeri era proprio quello di non annichilirmi la uallera… ma va be’, dài…
Questa segnatevela, poi ci torniamo.

Arrivo in negozio e mi chiama una cliente di Novi Ligure: sarebbe bello se io “andassi a far le misure prima che siano finiti pavimenti e rivestimenti, per guadagnare tempo”.
«Io vengo… ma tu conosci i livelli dei pavimenti e gli ingombri dei rivestimenti?»
«So tutto, il piastrellista mi ha spiegato tutto»
«Ci vediamo alle 14.30»

Ri-squilla il telefono: è il rappresentante di Torino, mi informa di essere stato chiamato dal mio cliente…
«Devo fare qualcosa?» «No, no, era solo per informarti…»
Bravissimo.
Ecco… la cosa dovrebbe riguardare loro, lo “spirito” della mia iniziativa di dare a uno il numero dell’altro -diabolicamente astuta, lo riconosco, al punto di non essere compresa fino in fondo- era quello di risparmiarmi un po’ di rotture di cazzo… ma va be’, dài…
Segnatevi pure questa.

Altra telefonata, dopo cinque minuti: è una signora che si è rifatta le finestre con la detrazione del 55%, poco più che quarantenne, non dico rincoglionita come una novantenne ma molto, molto di più; diciamo che a giudicare dal livello di rincoglionimento senile è come se avesse l’età della dorsale appenninica.
Per la terza volta in un mese, al telefono, mi richiede un lavoro del cazzo, 500 euro di veneziane, chiarendo bene che lei non ha nessuna intenzione di pagare l’IVA, quindi di fattura non  ne vuol sentir parlare: «Io sono una statale, mica scarico niente…»
Non sei statale, tu sei un’idiota mondiale, vorrei dirle… Un filo di fumo inizia ad uscirmi dalle orecchie ma se mi muovo si disperde subito, non si nota…
«Signora, la prima volta le ho spiegato che nel nostro Paese è stato intercettato anche l’intoccabile Presidente della Repubblica; la seconda volta le ho chiuso la telefonata sul muso; adesso, dopo averle ripetuto per la terza volta che di minchiate illegali io non ne faccio -e se mai ne facessi non ne parlerei al telefono- le ri-riattacco il telefono in faccia.»
Fatto.
Gente, oggi butta male…

Stranamente sbrigo in fretta il pranzo, normalmente ho tempi molto più rilassati: parto per Novi e ho 40 minuti di tempo per fare 20 minuti di strada ad andatura normale, 15 minuti alla mia…
Ok, decido di provare una cosa aberrante: io, famoso turbotarro, mi metterò a una spanna dal guardrail della Statale bis dei Giovi e percorrerò il tragitto ai sessanta all’ora, pensa che brivido!
Di solito mi rendo conto del tipo di gente con cui condivido il pianeta ma oggi l’ho proprio studiata: ho percorso tutta la strada dietro ad una fila di imbecilli che ho analizzato scientificamente. 
Siamo su una statale dritta come una fucilata e larga al punto che, quando tra Alessandria e Novi trovavi tre macchine, era a quattro corsie, oggi che le auto sono tremila, le corsie sono due, motivo per cui io me ne sto a destra e lascio passare quelli normali, che viaggiano in tutta sicurezza ai 120 all’ora.
Io sono dietro a una colonna di imbecilli che viaggia a 60 all’ora, a cento metri uno dall’altro, senza un camion o un camper che fa l’andatura, è proprio la loro velocità di crociera; solo che io sto tutto a destra, gli altri tengono due corsie.
Mi scappa di divagare. 

Mi sento come quel suonato che ha vissuto un anno con un branco di lupi, dividendo con loro cibo, freddo e tana ma, ovviamente, sentendosi più intelligente, in quanto uomo confrontato alle bestie.
Io non me la tiro da pilota, ho un controllo del mezzo superiore alla media ma un pilota -non dico un fenomeno, un semplice pilota- è un’altra cosa.
Però sono uno dei migliori “guidatori” del mondo per quanto riguarda l’attenzione alla strada e, soprattutto, la lettura del traffico intorno a me, degli avvenimenti e la previsione di movimenti e comportamenti degli altri.
Non domandatemi, dopo un viaggio, cosa c’era al di fuori della strada: non lo so, i miei occhi guardano solo ciò che sta sull’asfalto che mi circonda, compreso quello delle strade che si incrociano con la mia.
Ho alcuni amici che guidano come Mister Magoo, quelli che al semaforo, se su tre corsie ce ne sono due libere e una con cinque macchine in coda, loro si posizionano automaticamente sesti. Fanno altre mille minchiate, ognuno qualcuna in particolare, ma sono tutti accomunati dal fatto di essere gente seria e franca, non sfuggente, gente che quando ti parla, ti guarda dritto negli occhi.
«Guarda ‘sta cazzo di strada!…» è il mio ritornello.
Gente che non molla un attimo il telefono o che pasticcia il nuovo navigatore…
«Cazzo fai… stiamo andando a casa tua!…»
«Volevo solo fare una prova…»
«Prova una sensazione nuova: guarda la strada…»
Viaggiare a 60 all’ora significa non poter tenere non dico la sesta ma, addirittura, la quinta, salvo viaggiare col motore a mille giri: per le bielle, la morte sua. Ma fin lì sono cazzi loro.
Viaggiare a 60 all’ora su una statale, senza lasciare spazio a chi vorrebbe dare un senso al fatto di avere quattro ruote e non due piedi, o farsi portare dalla macchina in città, a 30 all’ora, a cavallo di due corsie -dove ci sono- significa fregarsene del mondo e campare per rompere i coglioni al prossimo.
Significa non volersi bene.
Non gratificarsi con una serpentina tra due file di cadaveri ai 20 all’ora in circonvallazione, significa essere morti dentro; la serpentina prevede occhio attento, riflessi pronti e capacità di calcolare il momento in cui ci sarà spazio sufficiente per passare, cambiando corsia quando vedi che la quinta auto davanti a te –non la prima, la quinta…- sta frenando.
E tutto questo in modo fluido, senza brusche accelerate o violente frenate, soprattutto senza rompere il cazzo a nessuno e, merce introvabile, fermandosi agli attraversamenti pedonali.
Guidare così è come ciulare una donna sempre diversa, passando sempre a una nuova posizione, piuttosto che dare 30 euro a una puttana e guardare il soffitto pensando ad altro, mentre te lo succhia, col preservativo.
Che tristezza…

Comunque mi sono quasi divertito a guidare con i babbei, non come i babbei.

Morale, arrivo a Novi con dieci minuti d’anticipo: andare più piano era francamente impossibile.
In cantiere c’è l’elettricista, la padrona di casa no; pazienza, inizio a misurare per conto mio, poi lei mi dirà ciò che mi interessa, e spero che lo sappia, visto che di livelli, i segni che indicano un metro di altezza dal futuro pavimento finito, non c’è l’ombra.
Arriva la tipa con due piastrelle, una del pavimento e l’altra del rivestimento.
«Sì, belle, ma io che ci faccio? Vedo che il piastrellista sta gettando l’autolivellante, in alcuni punti sale di due cm, mentre le spallette sono ancora da intonacare e non si sa dove arriveranno: lo spessore delle piastrelle non mi dice niente»
«Ah… io pensavo…»
Sono le quattro, due ore buttate, escluso il ritorno.

Ritorno che avviene a velocità normale, all’antropologia oggi ho già dato  abbastanza. Inoltre, il fumo che mi esce dalle orecchie, ora, richiede molta aria per dissolversi.
Squilla il telefono, è quello di Torino: «Mi sono accordato con il rappresentante…»
Mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmhhh…
«Devo fare qualcosa?» «No, no, era solo per informarla…»
Bravo.
La faccio breve: chi mi chiama cinque minuti dopo?
Esatto, il rappresentante.
«Oh, sono d’accordo col cliente…»
Arrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrgh…
«Devo fare qualcosa?» «No, no, era solo per informarti…»
Bravissimo.

Per i rimanenti dieci minuti di strada ho bestemmiato.
Ho bestemmiato come una bigotta recita il rosario, come un bonzo fa col mantra, come un bambino che ha imparato un po’ di parolacce e le ripete continuamente.
Ho fatto come tutti questi personaggi, solo urlando.
Da solo, in macchina.
Sono bei momenti.

Dottordivago 

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