Eravamo partiti bene.
Purtroppo, oggi il villaggio è diventato un nido di vipere, in cui il pettegolezzo e le maldicenze sono le uniche attività a tempo pieno e se in Italia abbiamo uno stronzo o un coglione da esportare, state tranquilli, lo trovate lì.
Avete presente quegli improbabili bar nella giungla, luoghi popolati da anime perdute, che i film degli anni 40 ambientavano solitamente in Africa o in Amazzonia?
La fauna era varia: si andava dall’ex Legionario alla nobildonna alcolizzata, dall’Ungherese fuggito lì dopo aver ucciso la moglie al rampollo di buona famiglia tisico che giocava a carte con una vecchia cantante lirica pazza.
Noi, al villaggio, siamo specializzati in stronzi.
Sembra incredibile, lo so, a volte penso di essere quello contromano in autostrada che dà la colpa agli altri, se non che la mia opinione è condivisa dagli amici brasiliani, che non riescono a capacitarsi di quanta gente di merda ci possa essere in Italia.
La cosa che mi fa più piacere, visto che si tratta degli osservatori più spassionati, senza interessi nè preconcetti, è che i pochi giovani brasiliani con cui parlo (e parlo dei giovani-bene, tipo i nipoti di Milton, visto che non frequento poveracce minorenni che la danno via per poco) mi trovano “diverso” dagli altri Italiani e per quanto mi sforzi di spiegare loro che proprio lì, manco a farlo apposta, si concentra il peggio dell’Italia, mi guardano poco convinti, come se gli altri fossero quelli normali ed io avessi due teste.
Morale della favola, i miei suoceri se lo sono fatto a fette ed hanno venduto la casa, con decorrenza aprile: dall’anno prossimo, senza obblighi morali (per altro mai esistiti), potrò farmi le vacanze invernali dove voglio.
L’ultima mia visita al villaggio risaliva al 2008.
Ritornarci dopo tre anni mi ha quasi fatto la stessa impressione del rivedere la Grecia dopo quindici anni o il Portogallo dopo venti, con una differenza: avevo lasciato Ellenici e Lusitani magri e poveri, li ho ritrovati ingrassati e cellulare-dipendenti; per i Brasiliani vale la stessa cosa, tranne il fatto che erano già grassi prima.
Mi ha sempre stupito questa cosa: il Brasile è uno di quei pochi posti al mondo dove anche i poveri sono grassi e la cosa ancora più stupefacente è che ad essere grassi sono i poveri che non fanno un cazzo, quelli che vivono con i sussidi di Lula, che mette a loro disposizione casette 4 mt x 4 mt ed elargisce contributi, oltre ad ipernutrirli con la mitica
cesta bàsica che possono ritirare al supermercato, presentando un documento che prevede il disbrigo di una pratica della durata di mezzora, alla cassa, dove solitamente sono in coda io, visto che mi dimentico di guardare cosa contiene il carrello di quelli davanti…
Naturalmente si tratta di lavativi che a loro volta garantiscono il voto a Lula o, recentemente, alla sua marionetta Dilma, sistema inventato da Achille Lauro a Napoli e messo a punto da Chavez in Venezuela.
Questo remake di “La classe inoperosa va in Paradiso” mi ricorda molto la situazione degli Indiani d’America o di Aborigeni e Maori: per carità, tutta gente che stava benissimo a casa propria prima che arrivassimo noi a fare i guappi, solo che oggi il 90% è costituito da una banda di alcolizzati e obesi che vivono di sussidi.
In Brasile, per assurdo, ci sono tanti poveri che si incaponiscono nel lavorare e si fanno dei buchi del culo come la Bocca della Verità, quella che ci passa la mano dentro; ovviamente quelli sono magri e tirati come cani da caccia a fine stagione venatoria.
In quella zona del Brasile, inoltre, salvo qualche carretto trainato da piccoli cavalli, tutti quanti hanno scoperto l’auto: mò che scoprono anche come si guida e che capiscono che oltre agli abbaglianti esistono anche altri tipi di luci, siamo a posto.
Però hanno capito in fretta che gli Italiani sono una banda di idioti, da cui il titolo “Bacio le medaglie, Comandante: avete colpito ancora!”
Sì, come al solito, ce l’abbiamo fatta, a farci conoscere.
Per trovare un ristorante in stile brasiliano bisogna fare 30 km, visto che in quella zona ci sono solo Italiani che pare non possano resistere più di mezza giornata senza mangiare la pizza, così non si parla più di scofanarsi un bel churrasco o un secchiello di camarão, scordatevi galinha o feijoada: ovunque ti giri, vedi solo “Pizzeria forno a lenha”.
Che tristezza…
Non c’è un cazzo da fare, noi Italiani diamo il meglio se siamo sotto pressione, nel calcio come nell’emigrazione: negli stati del sud, tipo Minas Gerais, Paranà, Santa Catarina e Rio Grande do Sul ci siamo arrivati con le pezze al culo insieme agli altri Europei e li abbiamo trasformati negli stati-locomotiva del Brasile.
Nel Nordeste ci siamo arrivati ora, da agiati turisti e quella zona è diventata una specie di antipatica Little Italy: dopo il “nostro” villaggio ne sono stati costruiti altri, visto che tutti i neo proprietari si portavano dietro degli amici che a loro volta desideravano farsi la villa in riva al mare a prezzi da monolocale ai Lidi Ferraresi.
Finchè gli impresari erano Brasiliani –ma di origine italiana- i prezzi erano vantaggiosi, infatti i miei suoceri, insieme ad alcuni altri Italiani e pochi indigeni, hanno comperato “sulla carta” ad un prezzo stracciato.
Poi, molti nuovi arrivati hanno comperato le ville inizialmente di proprietà dei Brasiliani, strapagandole; si è sparsa la voce e gli indigeni si sono disfatti più che volentieri delle loro seconde case (è rimasto giusto Milton, che non ha bisogno di soldi e gli piace il posto…), ricavando il triplo della cifra spesa ed il sospetto di avere a che fare con dei coglioni.
Ma questa è una coglionaggine veniale: quando per una villetta con tre camere da letto e tre bagni, in riva al mare, ti chiedono l’equivalente di un box a Milano, non stai a tirare tanto sul prezzo.
Dopo pochi anni, alcuni Italiani con un po’ di soldi da spendere hanno iniziato a comperare terreni e a costruire, vista l’alta richiesta da parte dei connazionali, naturalmente pagando il triplo attrezzature e materiali e rivendendo le case a prezzi sensibilmente più elevati.
Ma questo è solo l’inizio.
Continua.
Dottordivago
La prima volta che son stato in Brasile, non c’era Lula e si stava veramente di merda. Pare che adesso il miglioramento sia sensibile non c’è da stupirsi se lo votano.
Se i più contenti sono quelli che non fanno un cazzo, non è un buon segno…
vai dott, aggiornaci. tutto quello che so del brasile extracalcistico risale a “te lo do io il brasile” di Grillo.
“beati gli ultimi che un giorno saranno i primi” ….. …… ……. a prenderlo nel culo.
ilpirata
Scusa doc se commento un post non nuovissimo. Ma che differenza c’è tra una Little Italy con pizzerie in Brasile e una Chinatown con ristoranti cinesi in Italia?
Nel senso: a me che sono italiana piace/piacerebbe molto trovare questi quartieri nella mia città.
Perchè una cosa è deprecabile e l’altra (forse, in realtà non so come la pensi in merito) e l’altra no?
A Little Italy, quella vera, i ristoratori e pizzaioli erano italiani e la cucina era la loro tradizionale; lì sono tutti brasiliani che si adeguano alla nazionalità dei turisti di maggioranza, proponendo schifezze immangiabili.
E chi come me può vivere due settimane senza pizza, se vuole mangiare una picanha o una galinha, deve fare trenta km per trovare una cucina locale decente.
C’è anche di peggio: conosco italiani che fanno trenta km per mangiare degli schifosissimi spaghetti cucinati da uno zozzone di Bassano del Grappa trasferito lì da vent’anni.
È un posto dove si impara il galateo: se appoggi i gomiti ci lasci la pelle (dei gomiti), tanto sono appiccicosi i tavoli.
Senza fare troppa strada, qui a Vicenza ho trovato un locale che fa solo primi piatti, tra i quali anche gli agnolotti.
Sarà stata la nostalgia della mamma, sarà la voglia del mio paese d’origine…… li ho provati.
Una porcheria così non l’avevo mai assaggiata, l’esperienza insegna, la prossima volta mi limiterò a polenta e baccalà.
maurizio