Casa mia sta andando a puttane.
No, mi spiego meglio: in casa mia tutti vanno a puttane.
E con questo non intendo ledere la figura morale di Bimbi, la mia rispettabile signora.
Per spiegarmi ancora meglio, dirò che al pianterreno del mio condominio una simpatica famiglia di cinesi ha aperto un casino.
Oddio, famiglia… Spero che una famiglia ce l’abbiano, quella ragazzina ed il suo fratellino minore che sembrano essere i tenutari dell’azienda, coppia che, dato la difficoltà di attribuire un’età ai giovani cinesi, stimo sui 25/30 anni totali.
Fastidio non ne danno, almeno a me che abito all’ottavo piano: per la zitella del primo piano, a piombo sul puttanaio, non garantisco.
Vabbè, a voler essere sofistici, bisognerebbe dire ai clienti della trombata ditta che non sono proprio obbligati per legge ad accendere la sigaretta appena mettono il naso fuori dall’appartamento e potrebbero pure fottersi i polmoni in strada, otto scalini più in là, tenendo conto del fatto che lì dentro non sarà certo vietato fumare, trattandosi di luogo in cui ci si prendono ben altre confidenze…
Il bello è che il lupanare è proprio di fronte all’ascensore, che in un palazzo di nove piani rappresenta un po’ la piazza del paese, dove ci si ferma a fare due chiacchiere, quindi capita spesso di vedere qualche cliente pre-trombante che infila la porta come se fosse inseguito da un pit-bull o un altro, che ha già dato, uscire come se dovesse lasciarsi un incendio alle spalle.
Io mi diverto come un matto quelle rare volte che, fuori dal portone, trovo qualche signore –mai giovanissimo- tutto concentrato a studiare il citofono quando sa benissimo quale campanello suonare, solo che gli scoccia farsi beccare da un condomino proprio mentre entra lì.
Di solito apro il portone e tiro dritto, guardandolo fisso negli occhi come farebbe un inflessibile fustigatore di costumi; una volta, invece, avevo un paio di aperitivi nella pelle ed avevo voglia di fare il pirla, così mi fermo e guardo il citofono pure io; dopo un attimo di imbarazzo, il tipo si sposta e mi dice: “Prego, faccia pure: deve entrare?”
”Mah… più che altro devo… cioè… non so bene…”
Scambio di occhiata aumm’ aumm’, poi…
”Ah, ma allora siamo colleghi: vieni, vieni, che sono di casa”
Suona, entriamo ed io vado verso le scale: “Oh, guarda che è qua…”, fa il tipo.
”Lì? No… io vado da quella del primo piano”
”…Anche lì?…”
”Roba di primiera…” e gli fornisco indicazioni per l’appartamento della zitella settantenne perennemente incazzata.
Chissà se, qualche volta, avrà provato a cambiare fornitore…
Bene, questo per quanto riguarda le risorse interne del condominio, condominio che si muove parecchio anche nel campo dell’importazione.
Tal Nino, residente al settimo piano, sulla sessantina scarsa, è posseduto dal demone della figa: ad ogni donna che vede –e sottolineo ogni– dedica l’attenzione che un critico d’arte dedicherebbe ad un Picasso del Periodo Blu, ma più con l’espressione che ha uno scassinatore davanti ad una cassaforte.
Fino a pochi anni fa credo che si mangiasse tutto a puttane, infatti il viavai era notevole; poi ne ha trovata una, rumena, intenzionata a procurare un tetto per sé e per la figlia poco più che in fasce.
La trasformazione è stata immediata: il buon Nino ha subito perso quell’aria da letto disfatto –o rifatto malamente- che hanno spesso i single di quell’età; per alcuni anni hanno vissuto come una famiglia serena, con la compagnia delle due sorelle minori –carine ed educatissime- della nuova padrona di casa.
Si vedeva benissimo che non si trattava di zoccola in carriera ma di una poveraccia in mezzo a una strada con una bimba piccola, infatti si è trasformata in serissima –fin troppo: tirarle fuori una parola era un’impresa!- donna di casa, prima, e donna tutto lavoro e casa, poi.
Ed il buon Nino era sempre lavato, stirato e lucido come un pavone.
Ma voi, conoscete storie del genere che finiscono bene?
Io no.
Infatti, mi scappa di divagare.
Lasciamo perdere i coglioni che si sposano la prima troia che trombano in Brasile piuttosto che a Cuba, solitamente più brutta della vicina di casa, che però non ha mai avuto l’intenzione di farla anche solo vedere al vicino, novello turista trombante per necessità; non necessità della stracciona che gliela affitta ma necessità dello sfigato di stappare il bottiglione.
E va già bene se, dopo avergli mangiato qualcosa, la zoccola trova uno più in carne di lui, con cui mettersi d’impegno per costruirsi un felice ritorno a casa, col necessario per fare la signora a vita.
Vi ho già detto che i miei suoceri, valdostani, svernano in Brasile dopo aver acquistato una villetta con tre camere da letto e tre bagni, in riva al mare, pagata quanto un box- auto nella ridente città alpina; purtroppo quella zona fa capo all’aeroporto di Maceio, raggiungibile con volo diretto solo con Livingstone; poi c’è Recife a 250 km, mentre se uno vuole arrivarci da Rio de Janeiro o San Paolo è meglio se si avvia a piedi, se vuole evitarsi quattro o cinque voli interni ed avere una minima speranza di ritrovare il bagaglio.
A me il Brasile non è mai piaciuto.
Ho fatto un giro e mezzo del mondo ma me lo sono sempre evitato, poi mia suocera compra casa lì e da allora le mie vacanze invernali hanno come unica destinazione “o pais tropical”, sennò i suoceri si offendono; solo nel 2006 ho fatto loro le corna ed ho portato Bimbi in Messico, dove non era mai stata, per la precisione sulla riviera Maya, novità anche per me visto che il mio Messico era sempre stato quello della costa pacifica.
Non so se mia suocera ha fatto dei corsi di macumba, resta il fatto che il mio primo acquisto messicano è stato un ombrello che mi è servito più che il costume da bagno; inoltre i discendenti dei Maya –intendo quelli veri, piccoli e tarchiati, non altre razze che si sono stabiliti lì- sono simpatici come gli albergatori liguri, solo più maleducati e brutti come la fame.
Comunque, l’anno dopo si torna in Brasile.
Per il periodo che ci interessa trovo un volo per Natal, 600 km da Casa Suoceri; ce ne sarebbe uno diretto per Maceio, la settimana dopo, ma non avendo mai visitato il nord del Brasile propongo a Bimbi di fare prima un giro a Natal, tanto la casa e mammà non scappano.
”Ma sì, va bene; chissà come sarà Natal?”
Me ne faccio un’idea prima dell’imbarco dove, su trecento persone, ci sono 250 puttanieri più una ventina di ex-puttanieri con le attuali mogli brasileire che vanno a trovare i parenti; devo riconoscere che una di queste coppie ha un’aria felice e due belle bimbe morettine.
Per il resto, un desolante quadro di umanità dolente: gruppi di amici che vanno a fare il pieno di sesso e che torneranno col vuoto pneumatico nel portafoglio, nelle mutande e nell’anima, visto che li aspetta un altro anno di sacrifici e pippe.
C’è anche una specie di gruppo di XMen, solo che invece di avere ognuno un superpotere diverso, ognuno ha una diversa supersfiga: un obeso, un rachitico, un alopeciato con le tettine pendule sotto la canottiera ed un cerebroleso con lo sguardo vacuo e la bocca perennemente aperta.
”Bimbi, ho capito cosa c’è a Natal: un giacimento di troie”.
Infatti, appena arrivati intervisto un po’ di dipendenti dell’albergo per sapere cosa c’è da vedere, a Natal; tutti rispondono “La duna…” e noi ci riproponiamo di dedicare la giornata seguente all’ottava meraviglia.
La mattina seguente apro le tende e cosa vedo proprio lì vicino?
La Duna.
”Ok, Bimbi, l’abbiamo vista, possiamo andare da mammà”.
Ovviamente gli altri sono rimasti a Natal e, ditemi voi: su quattro scappati da casa come l’A-Team della sfiga, vuoi che uno non si porti a casa il primo scrondo che gliela dà?
E non intendo “il primo scondo della vacanza”, intendo il primo della vita.
Quindi, chi pensate che gliela dia, a ‘sti quattro skifidol?
O una specie di Madre Teresa Di Natal, per pietà, o una con una fame congenita che, una volta in Italia, con qualche cresta sulla spesa manderà soldi a casa e cercherà di costruirsi la pensione, con l’alternativa di continuare a darla via anche da noi ma a tariffe da zona euro, il che accelererà il viaggio di solo ritorno, come ha fatto la moglie di un mio conoscente, Gabriele di nome e pirla di fatto.
Torniamo a Nino.
Se una ragazza di 25/30 anni con una figlia in fasce si mette con un ultacinquantenne che non è Richard Gere né il Sultano del Brunei, lo fa per mettersi un tetto sulla testa. Punto.
E quasi sicuramente non ha nessuna intenzione di rimettersi a fare la zoccola. Però c’è un però.
Una volta ripulita, con un lavoro fisso ed un’auto intestata, cioè una volta raggiunta una certa tranquillità, una può anche tirare su la testa che ha tenuto ostinatamente bassa per qualche anno ripetendosi che “ha da passa’ ‘a nuttata” e ricominciare a guardare la vita con altri occhi; e metti che quegli occhi si posino su un giovanotto più o meno suo coetaneo e che se ne innamori, cosa deve fare?
Convincersi di aver preso i voti e passare la vita con Nino?
No, grazie: lo ha accudito e soddisfatto per qualche anno, il debito può essere considerato estinto.
Ed all’amore non si comanda.
Così, poco tempo fa incontro Nino che mi racconta l’accaduto, dicendosi più rattristato per la perdita della piccola che per quella della concubina, concludendo con “Guarda, con le straniere è così…”.
Non sono daccordo: Bimbi è Valdostana e dopo diciassette anni va ancora tutto bene; il problema è la motivazione che spinge uno dei due a mettersi con l’altro: nel caso di Bimbi, se avesse voluto mettersi con uno furbo, sarebbe già tutto finito da mò…
Così il buon Nino ha ricominciato a macinare una bagasa dopo l’altra (sarebbe “bagascia”, alla genovese, ma ogni tanto alessandrinizzo, nda), con la differenza che il Nino di una volta aveva un atteggiamento più circospetto e carbonaro, ora le ostenta pure.
Io svolgo l’attività fisica del fermacarte, per cui mi impongo di fare le scale anziché usare l’ascensore e lo becco regolarmente con qualcuna, alchè lui mi chiama e, bello gonfio come uno svasso reale, me le presenta pure; considerando che in questa stagione il lavoro è relativamente tranquillo, sto stringendo più mani di puttanoni che di clienti.
Non ho mai creduto alle mogli e buoi dell’adagio popolare, ci sono milioni di matrimoni tra compaesani finiti male, matrimoni sulla cui durata chiunque avrebbe scommesso dei soldi.
Ed altri in cui sono stato facile profeta di sventure.
Un mio amico d’infanzia, Roberto, era un bel ragazzo ed ora è un bell’uomo: palestratissimo nel fisico e nella mente -due lauree di quelle vere, Chimica e Matematica, non Filosofia e Scienze Politiche…- a cui aggiungiamo un eloquio fluente e due soldi di famiglia.
No, ragazze, non ve lo presento, meglio di no: non ci sta più tanto con la zucca.
Nel ‘94 ha sposato una tipa conosciuta in discoteca sei mesi prima, semi-analfabeta, estetista per campare e zoccola per arrotondare; veramente un peccato che il Grande Fratello sia venuto tardi, per lei: sarebbe stata perfetta, anche se un po’ troppo ignorante e volgare…
In quel periodo ci vedevamo raramente e quando Roberto mi ha presentato la sua dolce metà credevo scherzasse, poi ho calcolato una data di scadenza di un annetto scarso, ma sono stato ottimista.
Quando è scoppiata la macchina della merda, con la moglie che un giorno minacciava il suicidio e quello successivo lo inseguiva con un coltello in mano, Roberto ha pensato di darci un taglio e, credo su consiglio della famiglia, non ha chiesto la separazione ma l’annullamento dalla Sacra Rota.
Bravo.
Io credevo che la Sacra Rota fosse un’istituzione riservata ad acchiappacazzi della famiglia Ranieri e similari, invece funziona anche per imbecilli ordinari: basta pagare.
Non fatemi dire nulla in proposito, sapete che non amo divagare.
Va beh, visto che insistete, proprio una cosina…
Oltre ad una montagna di soldi, servivano due testimoni: eccoci, Gianni ed io.
Si presenta una specie di Gran Mogol dei preti, un personaggio avvolto in un’aura di mistero che trasudava potere misto ad un certo fascino, vestito con un clergyman di altissima sartoria che probabilmente costava come l’abito di nozze di Lady Diana: la prima sensazione era quella di trovarsi davanti alla stessa persona che, nei secoli, ha portato il cristianesimo a Roma, organizzato un paio di Crociate, sterminato indigeni in giro per il mondo per portare loro il Verbo, condannato al rogo qualche migliaio di streghe e messo al sicuro in Sud America svariati gerarchi nazisti; ovvio che, un po’ per l’età, un po’ per gli impegni, non si sia accorto dell’Olocausto.
Insomma, mi faceva profondamente schifo, ma, ripeto, emanava un certo fascino luciferino.
L’alto prelato apre una borsa in pelle di smilodonte o di uro o sicuramente di un animale estinto da millenni, dal valore incalcolabile, comunque poca cosa per un membro degli Eterni.
Poi lo spazio-tempo è andato a puttane.
Dalla borsa ha estratto una cosa che noi, come tanti Totti, abbiamo creduto un libro senza titolo ma con una copertina coi controcazzi: invece era un notebook, il primo che vedevamo nella vita, praticamente come questo su cui smanetto, solo quindici anni fa.
È stato un po’ come vedere il Duce stravaccato davanti ad un plasma da 50 pollici.
Con le mie attuali conoscenze, credo che la Chiesa di Roma, con il valore di ciò che indossava e maneggiava l’Eterno, avrebbe potuto vaccinare tutti i bambini del terzo mondo.
Morale, in cinque minuti ha sancito l’annullamento del matrimonio, quel matrimonio che… “ciò che Dio ha unito, l’uomo non osi sciogliere”.
Sto di nuovo divagando?
Mica tanto: ho cominciato parlando di puttane ed ho finito parlando di figli di puttana.
Non sono uscito dal seminato come al solito.
Dottordivago
non so perché ma sta storia della Sacra Rota mi ricorda qualcosa… ho vaghi ricordi di un alto prelato che arrivava in una sede che il Taj Mahal sembra un favela, con una Kawasaki nera e il casco in tinta.
questo non aveva il notebook, aveva la segretaria (gnocca) con il monitor a schermo piatto (parliamo di quasi 10 anni fa), che scriveva per lui…
Sacra rota… reminescenze strane si affacciano alla mente.
Ricordo l’immagine di un caro amico che scrive poche righe più sopra in abito da sposo… lui che non è mai stato sposato?! E io davanti all’altare seduto a fianco come testimone… O forse mi sbaglio?
L’immagine successiva è quella di un prelato che mi schiocca le dita davanti al viso e dice: “puoi andare, figliuolo”.
Non so, è tutto molto confuso… 😀
Sacra Rota.. ehm.. Ho fatto un sogno, di un amico che scrive poche righe sopra, credo lo steso amico di misterpinna, che torna dall’incontro con un alto prelato, uno che sta nell’empireo forse insieme ai cherubini… E ai (tanti) soldi spesi dalla ex moglie 😉
Non so, ho sognato tutto qto…
Intanto mi consolo, nonostante una vera laurea a sentire il Dottordivago, non ho conosciuto e sposato nessun imbecille in discoteca, pfiuuuuuuuuuu che pericolo ho scampato! 😉
ma tanto per info come sono le tariffe del giochino al tuo pianterreno?
Sei il solito fortunato, sotto casa hai i cinesi, io invece mi ritrovo con “paola” un travestito con barba e baffi, però svolge la sua funzione sociale, Quando lui/lei è al lavoro fa la guardia alle auto posteggiate e se vuoi ti avverte se qualche malintenzionato si avvicina alla tua autoradio. Gli/le ho proposto il garage in affitto ma mi ha risposto che la strada è più eccitante….. cazzi e culi suoi!!!
Parlando di viaggi della speranza, ai miei tempi si andava all’est dove c’erano di quelle gnocche ma di quelle gnocche che ti facevano girare la testa.
allora io sono partito dal piemonte per andare ad est, ma alla prima tappa mi sono fermato (vicenza) e ho conosciuto quella che poi è diventata mia moglie, poi gli amici mi hanno detto che dovevo andare più in là, e infatti la mia consorte non fa girare la testa ma i coglioni si, tutti i giorni anche i festivi.
ormai è fatta ma ricordiamoci sempre il detto “moglie e buoi dei paesi tuoi” se non altro non avrei avuto i figli che parlano veneto.
Infatti quando sono incazzato inizio a smadonnare in piemontese e nessuno mi capisce e così passo anche per il matto che urla dicendo cose senza senso.
“ma va da via i ciap” e mio figlio mi chiede cosa vuol dire? gli rispondo che è la traduzione di “ma va in Mona”.
Ecco vedi ho iniziato parlando di culi e sono finito in mona com’e’ strana la vita.
ciao maurizio
Di tutti gli errori che si possono fare nella vita il peggiore in assoluto è quello di sbagliare la moglie ( od il marito ).
E’ COME CON LE VETTURE!!!
Vi esorto a provare tanti modelli, versioni, annate e accessori, colori e allestimenti, almeno quanti ne testate prima di cambiare l’ auto.
Se poi non vi rendete conto che è meglio continuare con i test e che l’anno prossimo uscirà un modello migliore, sappiate che in questo caso la garanzia non c’è, e non c’è neppure rottamazione, anzi, per precisione vi posso dire che la rottamazione è a carico del propietario e che costa tanto più quanto è scarso il rottame.
Ma non disperate: uno su un milione ce la fa, ma i posti vincenti sono pochi e uno sembra del Dottor Divago, un altro è mio… ne resteranno altri 20\30 in Italia.
Per chi non lo avesse notato parlo così ed ho una moglie favolosa, figurarsi cosa penserei se fossi uno del 99,999% restante.
anch’io ho una moglie favolosa, ma rompe i coglioni, è nel suo dna.
ciao
Ma la mia è favolosa perchè anche se è nel suo dna ( ed anche nell’ rna e pure nel trna ) si contiene e non li rompe mai a me ma solo ai fornitori ed agli impiegati degli uffici; e lo fa al posto mio! Caro non mi batti!
Anche le asiatiche non scherzano.
Poveretti che si sposano la tailandese, le comprano la macchina, le intestano la casa (che la fanciulla è incinta arriva l’erede) sistemano la famiglia di lei fino alla settima generazione. Poi vanno in vacanza in Tailandia con moglie e pargolo e lei gli fa: io resto qui, tornatene in Italia. Il bambino tienilo tu che è figlio tuo.
Alla faccia dell’amore materno!